Dalla tragedia in Ucraina al ricordo di mio padre con la poesia "La preghiera di Mario". Dopo la pandemia è la guerra a destabilizzare le flebili certezze dell'uomo del terzo millennio, sempre più isolato e ricurvo su se stesso, oramai diffidente verso un futuro sempre più fosco ed incerto. In questo scenario un conforto può arrivare dai ricordi del passato
21 marzo, primo giorno di primavera e giornata mondiale della poesia, un binomio caro a tutti che dovrebbe dare sensazioni positive, eppure così non è in questo doloroso 2022. Troppo grande e troppo pesante il macigno di una guerra barbara ed ingiusta, addirittura primordiale per le sue connotazioni, voluta da un pazzo criminale a danno di una popolazione straordinariamente forte ed orgogliosa della propria storia e del proprio territorio. Dentro di noi non può placarsi nemmeno un attimo la rabbia per il vile sopruso posto in essere dal regime del Cremlino (non dai russi, probabilmente contrari alla guerra fratricida, soggiogati o messi allo oscuro della verità) che sta facendo inorridire l'intera umanità civile e cosciente. Il disgusto per gli eventi bellici esalta la nostra vicinanza a milioni di famiglie e persone ucraine che ogni giorno incantano il mondo con atti di eroismo estremo, individuale e collettivo. C'è anche una diffusa delusione per il mondo occidentale, sicuramente prodigo di aiuti in tutte le direzioni per la encomiabile gente dell'Ucraina, ma anche troppo statico e colpevolmente attento prevalentemente alle valutazioni economiche del proprio presente e del proprio futuro, mentre un intero popolo, spinto quasi al martirio da una indomita tenacia, soccombe ad una barbarie inimmaginabile per il terzo millennio, degna dei giorni più tristi e bui della storia dell'umanità.
Con questi ragionamenti, con queste emozioni è impossibile vivere una giornata normale, solo le bestie e gli idioti potrebbero farlo, e di sera lo scenario è ancora più cupo ed è difficile perfino guardare la televisione, che ti propina senza sosta scenari di stragi penose e sacrileghe, come ha sottolineato Papa Francesco; un'atmosfera leggera è inimmaginabile e rappresenta un lusso che un animo sensibile e partecipe delle vicende umane non può proprio permettersi. Ed eccomi allora a cercare rifugio tra i libri o in qualche ricordo, riconducibile ad un passato più gradevole. Quasi magicamente mi trovo tra le mani il piccolo libro di poesie "Tramonto e petali di rose" scritto da mio padre Mario a settantasei anni, capace di tracciare un profilo emblematico della sua vita, della sua persona e della sua sfera intima: in quelle poesie, scritte da un uomo che ha vissuto la guerra come ufficiale, che ha praticato sport come il pugilato, che ha fatto mille mestieri, dal fotografo al commerciante, oltre che l'istruttore di guida, noto nel quartiere come "il professore". In quei versi affiorano tracce dei suoi studi, della sua cultura, della sua simpatia tutta romana, della sua energia, della suo originale modus vivendi. E poi non mancano gli affetti per la famiglia, il senso di giustizia nelle piccole beghe come nei grandi conflitti, la confidenza con Dio, il tutto non disgiunto da una verve umoristica rara, dalla passione per il gioco, dal piacere per la buona cucina, dalla attenzione evergreen per la figura femminile e quindi per l'amore, perduto con la prematura scomparsa della moglie, cercato e trovato in tarda età e talvolta vissuto come una colpa.
Mentre la mia testa ed il mio cuore si scambiano fotogrammi del nostro passato familiare, ascoltando le musiche di Enya, rimango estasiato dalle strofe delle poesie di mio padre. Riesco a rivedermi nella cosiddetta sala da pranzo della mia casa natale, me ne sto bello comodo in una delle due comode poltrone, di fronte al televisore e rivivo una delle tante serate passate col "sor Bordi" a commentare animatamente tutto quello che passava sullo schermo, come pure il nostro quotidiano, dalla bellezza di una donna del quartiere all'estrazione del lotto fino alla sua strepitosa matriciana impreziosita dalla sua ricetta segreta. Ed il pensiero corre fino all' ultimo periodo della sua vita, il senso di solitudine ma non dell'abbandono che talvolta lo aveva immalinconito, la sua vivacità degna di un uomo di spettacolo; la sua personalità forte e rispettosa, esuberante e dignitosa fino alla fine. Caro papà, non hai mai chiesto nulla, sei stato sempre grato a Dio per quello che hai avuto e vissuto, sapevi fare cose incredibili, dalla dizione a memoria di interi brani della Divina Commedia al racconto di barzellette deliziose, avevi una mirabile maestria al biliardo, per non parlare del tuo fischio alla pecorara, una sorta di ultrasuono realizzato con il solo dito mignolo. Rivivo ancora la mia folle corsa per portarti nel letto dell'ospedale un maestoso cono artigianale: che piacere vederti godere dei tuoi gusti preferiti prima di salutarci per sempre. Papà, è sempre stato bello stare con te e la tua presenza, vivida nelle parole delle tue poesie, mi aiuta a sopravvivere a queste giornate da incubo che nessuno avrebbe mai pensato di trascorrere.
La preghiera di Mario (1991)
Signore,
ti ringrazio di tenermi ancora in vita,
di avermi dato una meravigliosa famiglia
e di avermi circondato di tanta gente
che mi vuole bene.
Ti chiedo perdono per tutti gli errori
che ho commesso, che sto commettendo e che commetterò.
Non sono un santo e neppure un eroe;
sono soltanto Mario, piccolo e debole.
Nel mio tramonto ho incontrato la donna del mio cuore.
Il mio amore ha superato i limiti umani
ed io non so concepire un mondo senza lei.
Il senso logico delle cose è oramai annullato.
Signore, so che questo è un errore,
ma io non avrò mai la forza di separarmi da lei.
Perdonami,
che cosa posso fare?
Niente, è tardi.
Ho solo voglia di piangere.
La sola cosa giusta che posso fare è
quella di affidarmi alla tua bontà.