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Home Amici poeti Il giornalismo culturale di Italo Calvino. Di Alberto Alfieri Bordi

Il giornalismo culturale di Italo Calvino. Di Alberto Alfieri Bordi

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Nell’anno della celebrazione del secolo dalla nascita dell’autore de “il sentiero dei nidi di ragno” si ripropone la tematica dell’accostamento dell’anima dello scrittore all’impegno giornalistico

 

Il tema è piuttosto frequente e riguarda spesso grandi firme della letteratura che, per un motivo o per un altro, si sono avvicinate alla carta stampata, ed ancora oggi il dibattito si ripropone integralmente, tirando in ballo scrittori di chiara fama che non disdegnano di scrivere, saltuariamente o con continuità, per testate importanti dei circuiti editoriali.

Anche Calvino ha collaborato con vari quotidiani, come attestato da una cospicua documentazione presente negli archivi RAI come pure nella immensa mole di notizie riversata su internet. D’altra parte per colui che ha fatto del guardare, o meglio dell’osservare (nella mostra alla Biblioteca Nazionale  “Calvino lo sguardo dell’archeologo” c’è una statuetta con cannocchiale donatagli dalla moglie Chichita, che esprime al meglio questa sua peculiarità talentuosa), il suo principio esistenziale, entrambi  i ruoli erano facilmente preventivabili. Da più parti si dice che la veste di giornalista presenti più limiti, come la rigorosa attenzione per le fonti, per la verità dei fatti, la necessità di tempi e misure imposti e ristretti, il minor spazio alla fantasia, qualche pressione sul dire o non dire etc., ma è pure vero che lo strumento di saper raccontare permette di muoversi agevolmente in entrambi i gli ambiti.

Il destino dei grandi scrittori presi in prestito e catapultati nel giornalismo a maggior ragione trova lo spazio ideale nella terza pagina, quella più evoluta ed impegnata, tipica dell’Italia e spesso criticata dai colleghi anglosassoni, per i quali il successo della terza pagina nello stivale nasceva dal fatto che gli italiani leggessero poco,  differenza degli anglosassoni che, invece, conoscono i libri perché leggono tanto, per cui da loro non ci sarebbe bisogno di recensioni ed approfondimenti  perché abituati a parlare di libri  ed confrontarsi sui loro contenuti, al bar, in salotto, durante un viaggio, davanti ad un tè  caldo ed in ogni dove.

Insomma noi saremmo “fustigatori dell’evanescenza” ed i calligrafismi della terza pagina sarebbero  l’angolo di un ricatto o forse di un riscatto  culturale, oppure, come osservò Carlo Bo, non saremmo più creatori di elzeviri intriganti ma di pettegolezzi all’americana.

Eppure la forza della terza pagina è indubbia e non è trascurabile, anche perchè evoca  autori ed intellettuali del calibro di  Ojetti, Verga, Pirandello, Gentile, D’annunzio, Pantaleoni, Fogazzaro, Pareto, Croce, questi ultimi quattro in forze al Giornale d’ Italia, come lo scrivente.

Nel primo periodo di collaborazione giornalistica – 1948-1955 (Italo Calvino nasce il 15 ottobre 1923 a Cuba da padre agronomo e madre botanica che a Santiago de Las Vegas dirigevano una stazione di agricoltura), l’autore del  “Barone rampante” si occupa addirittura di cronismo sportivo, inviato alle Olimpiadi di Helsinki, città che, a suo dire, sa di pesce,  ove gli atleti italiani si notano per la raffinata eleganza dei loro abiti. Si vede subito che lui non resta imprigionato nell’evento sportivo ma spazia nel sociale e nel costume, e fermando, ad esempio, l’attenzione, sul bacio dell’atleta olimpionico brasiliano Da Silva alla bella bionda scandinava. La sua cronaca ha  indubbiamente qualcosa di più. Come Brera non si limita alla descrizione del fatto sportivo, ma racconta come uno scrittore, osservando gli  uomini  in ogni sfaccettatura, dal parlare ai comportamenti, dagli abiti alla provenienza territoriale etc.

Qualcuno lo critica, gli dice di cambiare mestiere perchè scrittori e giornalisti si muovono su palinsesti diversi. Lui scrive su riviste culturali e lavora perfino in un  ufficio stampa, quindi conosce bene le regole, tecniche e comportamentali,  di quel mestiere, così lontano e così vicino a quello di scrittore.

Tra il 1946 ed il 1947 scrive per la rivista “Il Politecnico” diretta da Elio Vittorini con il quale collaborerà anche nel 1959  per la rivista “Il Menabò”, che dirigerà  insieme al letterato siracusano.    Lavora poi per la casa editrice Einaudi di Torino, anche nella strana veste di propagandista editoriale e poi redige il “Bollettino di informazioni culturali” finalizzato a  presentare le novità librarie.  Nel 1948 entra nella redazione dell’Unità  (era già stato attivista del PCI) ma poi rientra nella Einaudi ove gli viene affidata la direzione del  settore letterario, un incarico a tempo pieno, di prestigio e responsabilità,  che lo preoccupa perché  gli toglie spazio alla scrittura. La sua  intensa attività editoriale con  Einaudi negli anni 1950 - 1963 si alterna con la scrittura  dei suoi primi romanzi, quali “Bianco veliero”, “I giovani del Po” e la raccolta di racconti “Ultimo viene il corvo”,  le “Fiabe italiane” fino alla trilogia  de “I nostri antenati”, composta da “Il visconte dimezzato”, “Il barone rampante” ed il “Cavaliere inesistente”. Nel 1963 vedono la luce le venti storie bevi per ragazzi “Marcovaldo” ed il racconto titolato “La giornata d’uno scrutatore”.

Tra il 1964 ed il 1985, anno della sua morte per ictus,  a Siena, mentre era intento a lavorare alle lezioni da tenere ad Harvard negli Stati Uniti, prende contatto con la cultura francese, perlopiù legata allo strutturalismo e frequenta il gruppo di letteratura sperimentale Oulipo, con marcato interesse per la semiotica,  scrive inoltre “Le Cosmicomiche” e poi “Ti con zero”, dirigendo la collana Cento pagine e pubblicando  “Le città invisibili”, 18 brevi dialoghi tra Marco Polo e Kublai Kan e 55 descrizioni di città immaginarie. Dal 1974 inizia la collaborazione con il Corriere della Sera fino al 1979, anno che segna il passaggio a Repubblica. Nel 1980, anno del suo rientro a Roma, nella casa di piazza di Campo Marzio n. 5, ove vive con la moglie e la figlia Giovanna (nata nel 1963), pubblica la raccolta di saggi “Una pietra sopra”. Escono nel 1983 “Le avventure di Palomar”, pubblicato con Einaudi, un viaggio sentimentale in cui Calvino riesce a rendere osmotiche le due componenti del  giornalismo narrativo; scrive anche per la rivista inglese Encounter, periodico di  grande prestigio. Il suo è un giornalismo culturale che lascia il segno.

I suoi tratti giornalistici più interessanti sono presenti proprio  in Palomar (protagonista “osservatore”come il monte californiano ove si trova il famoso telescopio americano a Pasadena, nell’entroterra di San Diego). Il canovaccio si dipana senza trama ma con una sequenza di quadri, nel tentativo di capire il mondo. Emerge la sua idiosincrasia per  l’eccesso comunicativo che rischia di polverizzare le relazioni ed i flussi comunicativi. Emblematici i  tre morsi sulla lingua prima di parlare altrimenti scatta il silenzio. Proprio il silenzio viene esaltato come metodo di comunicare alternativo alle parole: icastico l’incontro con il gorilla albino a Barcellona, animale in gabbia ( tema già affrontato in Marcovaldo), vagamente vegetariano, il quale presenta una comunicazione visiva  particolarmente efficace tra l’uomo e l’animale, capace di dire qualcosa al mondo senza parlare.

La tastiera è lunga e larga, è molteplice come lo stile necessario per comunicare; Calvino creativo e camaleontico, ha l’abitudine di elencare i libri che intende scrivere. Occorre guardare il mondo come un bambino, osservare, interessarsi, meravigliarsi, cercare di capire, utilizzare tutti e  cinque i sensi.

Presso la Biblioteca Nazionale di Roma a Castro Pretorio è allestita la Mostra “Calvino lo sguardo dell’archeologo”,  curata da Lorenzo Forlani, dove possiamo vedere cimeli, copertine di libri, oggetti della sua vita, ma anche il suo  divano, la scrivania, la libreria con  i libri forniti da Einaudi, gli  arredi,  i dischi (si è occupato anche di musica insieme al grande Berio), un maglione portato dalla figlia Giovanna, la sua  macchina da scrivere ed altro. Manca solo lui che è però presente grazie alla eternità dei suoi scritti.

 

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