L’amore di una madre è il sentimento più potente rinvenibile nella nostra esistenza terrena al punto da indurci a pensare che esso abbia connotati celesti, magici e trascendentali che toccano la dimensione arcana
Pochi passaggi ma capaci di dipingere un quadro a tinte forti del legame tra filosofia, sacro ed arcano, in questa poesia di Marina Petrillo incentrata sul connotato diacronico di “madre”. E’ un concetto forte, ancora più forte nella trasposizione latina di Mater, a suggellarne la centralità in ogni tempo ed in ogni angolo di mondo.
In questo legame ibrido e ossimoreo tra immanente e trascendente, tra terra e cielo, si muovono i versi della poetessa romana, che già nell’incipit assembla due armonie apparentemente lontane, quella dei segni celesti e quella delle madri terrestri.
Filosoficamente ogni madre della storia dell’umanità condivide con chi l‘ha preceduta e con chi la seguirà, il dono magico dell’aver realizzato, miracolosamente e sapientemente, il passaggio dal non essere all’essere, unica azione che può garantire la proiezione del nostro destino verso il futuro. E questa mirabile dinamica ci affascina e ci stupisce da sempre ed ogni volta perché si fonda sull’unico carburante che potrà alimentare in eterno il motore del mondo , l’amore, quell’amore di cui sono incise “le mani delle madri”. Madri cariche di un principio energetico e vitale come la clorofilla che consente di mantenere intatto il verde degli “alberi della vita”. Se si rimane fermi a guardare questo spettacolo meraviglioso con gli occhi a terra c’è il fondato rischio che non lo capiremo mai appieno; è necessario dunque alzare la testa, inquadrare l’essere Mater in qualcosa di più grande, “nel moto dei pianeti”, forse più vicini a Dio. Questo forse vuole dirci Marina…
MATER
I segni celesti
appartengono alle madri terrestri
Ai loro seni gemmanti latte
Ai ventri floridi di clorofilla umana
Le mani incise di amore
Cosmo di primigenia ventura
Prime alle stelle indomite
Verità della creazione
Sacre, accese di furore
Non gemono parole
Solo gesti che tornano
ad essere, alberi della vita
Gestanti Sephira lucenti
Si conoscono i nomi
Nella sera del mondo
quando bambini scendono
Smemori dell’incarnato seme
Il loro sguardo soggiace
al moto dei pianeti
ma è la Madre il primo essere visto
Impresso in pupille di sole
In iride di vento, mano tesa
all’assoluto pianto,
non loro
del pianeta che in gemito li accoglie.