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Home Amici poeti Caro collega Adriana Attili

Caro collega Adriana Attili

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Concorso "Ancora insieme, una lettera a chi non è più con noi" in ricordo dell'amico Roberto Ricciardi - 2015

 

Caro collega,

non ti conoscevo personalmente ma solo di vista, voglio scrivere a te e a tutte le altre persone del Ministero e della mia vita (e cominciano ad essere tante) che negli ultimi tempi  ci hanno lasciato.

Voi colleghi, alcune mie amiche d’infanzia, il primo “batticuore” adolescenziale, il fidanzatino della giovinezza, siete volati via troppo presto.

A volte, soprattutto nel periodo estivo quando il Ministero è semideserto, penso a voi che non ci siete più, guardo gli alberi che sono stati piantati a ricordo di alcuni e sento una stretta al cuore. Tutte le nostre preoccupazioni sul futuro, sulla pensione o sull’agognato rinnovo del contratto sembrano essere pensieri così superficiali, voi non li potete più fare, non vi riguardano più.

Ed allora la mente si interroga sulla vita, sui valori, sull’essenza stessa dell’esistenza.

Tutto si confonde, tutto viene ricoperto da una patina di polvere e le forme perdono consistenza. È come se la polvere del tempo ammantasse questo mondo troppo terrestre, troppo materiale ed a volte anche così cattivo, per questo non nego a nessuno un saluto o un sorriso, non costa niente e aiuta in questo cammino che sembra essere difficile e che poi, a volte, si interrompe bruscamente senza lasciarti il tempo di spiegare, di lasciare tutto in ordine. Allora mi ripeto di non lasciare parole non dette, ombre su un sorriso, un mi dispiace fluttuare nell’aria, no non bisogna che l’acredine come una nuvola nera resti ad offuscare il cielo limpido e che poi, da essa, possa scendere la pioggia come lacrime per un rimpianto. Occorre vivere come se fosse l’ultimo giorno, è vero, senza pensare di rimandare il saluto o il sorriso a domani, perché nessuno può sapere cosa sarà domani.

I visi di alcuni di voi mi passano davanti un po’ annebbiati e, quando vedono una ruga corrugare la mia fronte, sembrano dirmi “non ne vale la pena”,  “non ne vale la pena” quando una lacrima sfugge dagli occhi e corre giù sulle mie guancie perché le ingiustizie fanno soffrire.

Ti chiedi dov’è il senso del vivere e ripensi all’Amleto che enunciava “…….. chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo, gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge, l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo che il merito paziente riceve dagli indegni, ……………………..… se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà e ci fa sopportare i mali ….…”.

Voi quel viaggio l’avete intrapreso, ma dove siete? Ora sapete cosa c’è dall’altra parte, se in quell’altra dimensione si sta bene, se c’è giustizia, se si è in pace o se invece c’è il nulla, il vuoto: luce o buio.

Quando torno al paese natio mi trovo a vagabondare tra le stradine oramai deserte, sembra un paese fantasma, prima i vecchi nonnini, poi i genitori e gli zii ed ora iniziano a volare via anche i coetanei, così cammini nel silenzio interrotto dal rumore del vento o dal latrare di un cane in lontananza e non ti resta che lasciarti andare indietro nei ricordi. Immagini si accalcano: grida gioiose di bambini che giocano, suoni di chitarre e di canzoni sotto il cielo stellato nelle sere d’estate, neve che in inverno come una coltre ricopre i tetti rendendo il paesaggio simile ad un presepe, profumi che sembravano dimenticati, odori di vita, come ad esempio quello del fumo dei camini quando a Natale ci si incamminava verso la chiesa per la messa di mezzanotte.

Solamente quando si perde qualcosa e soprattutto qualcuno si capisce la sua importanza ed i ricordi sembrano affiorare da un’altra vita, una vita che non sembra neanche la tua e che non sai più se è reale o è stata sognata in un tempo troppo lontano. Quei ricordi emersi all’improvviso acquistano potenza e ti trafiggono il cuore nel momento in cui capisci che li hai vissuti, procurando consapevolezza del tuo passato e di tutto ciò che appariva eclissato nell’oblio di una memoria remota, quel passato che ha contribuito a creare la persona che sei diventata.

A volte fa male ricordare quello che si è perso per sempre, rivedere gli occhi di tua madre o l’incedere  di tuo padre, sentire l’abbraccio e le voci amiche. Un brivido corre sulla schiena, sono quasi tutti via e possono vivere solo attraverso i nostri ricordi. Aiutateci, se potete, a capire e ad essere migliori.

Ciao a tutti voi e spero un giorno di rincontrarvi.

 

Caro collega,

non ti conoscevo personalmente ma solo di vista, voglio scrivere a te e a tutte le altre persone del Ministero e della mia vita (e cominciano ad essere tante) che negli ultimi tempi  ci hanno lasciato.

Voi colleghi, alcune mie amiche d’infanzia, il primo “batticuore” adolescenziale, il fidanzatino della giovinezza, siete volati via troppo presto.

A volte, soprattutto nel periodo estivo quando il Ministero è semideserto, penso a voi che non ci siete più, guardo gli alberi che sono stati piantati a ricordo di alcuni e sento una stretta al cuore. Tutte le nostre preoccupazioni sul futuro, sulla pensione o sull’agognato rinnovo del contratto sembrano essere pensieri così superficiali, voi non li potete più fare, non vi riguardano più.

Ed allora la mente si interroga sulla vita, sui valori, sull’essenza stessa dell’esistenza.

Tutto si confonde, tutto viene ricoperto da una patina di polvere e le forme perdono consistenza. È come se la polvere del tempo ammantasse questo mondo troppo terrestre, troppo materiale ed a volte anche così cattivo, per questo non nego a nessuno un saluto o un sorriso, non costa niente e aiuta in questo cammino che sembra essere difficile e che poi, a volte, si interrompe bruscamente senza lasciarti il tempo di spiegare, di lasciare tutto in ordine. Allora mi ripeto di non lasciare parole non dette, ombre su un sorriso, un mi dispiace fluttuare nell’aria, no non bisogna che l’acredine come una nuvola nera resti ad offuscare il cielo limpido e che poi, da essa, possa scendere la pioggia come lacrime per un rimpianto. Occorre vivere come se fosse l’ultimo giorno, è vero, senza pensare di rimandare il saluto o il sorriso a domani, perché nessuno può sapere cosa sarà domani.

I visi di alcuni di voi mi passano davanti un po’ annebbiati e, quando vedono una ruga corrugare la mia fronte, sembrano dirmi “non ne vale la pena”,  “non ne vale la pena” quando una lacrima sfugge dagli occhi e corre giù sulle mie guancie perché le ingiustizie fanno soffrire.

Ti chiedi dov’è il senso del vivere e ripensi all’Amleto che enunciava “…….. chi sopporterebbe le frustate e gli scherni del tempo, il torto dell’oppressore, la contumelia dell’uomo superbo, gli spasimi dell’amore disprezzato, il ritardo della legge, l’insolenza delle cariche ufficiali, e il disprezzo che il merito paziente riceve dagli indegni, ……………………..… se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà e ci fa sopportare i mali ….…”.

Voi quel viaggio l’avete intrapreso, ma dove siete? Ora sapete cosa c’è dall’altra parte, se in quell’altra dimensione si sta bene, se c’è giustizia, se si è in pace o se invece c’è il nulla, il vuoto: luce o buio.

Quando torno al paese natio mi trovo a vagabondare tra le stradine oramai deserte, sembra un paese fantasma, prima i vecchi nonnini, poi i genitori e gli zii ed ora iniziano a volare via anche i coetanei, così cammini nel silenzio interrotto dal rumore del vento o dal latrare di un cane in lontananza e non ti resta che lasciarti andare indietro nei ricordi. Immagini si accalcano: grida gioiose di bambini che giocano, suoni di chitarre e di canzoni sotto il cielo stellato nelle sere d’estate, neve che in inverno come una coltre ricopre i tetti rendendo il paesaggio simile ad un presepe, profumi che sembravano dimenticati, odori di vita, come ad esempio quello del fumo dei camini quando a Natale ci si incamminava verso la chiesa per la messa di mezzanotte.

Solamente quando si perde qualcosa e soprattutto qualcuno si capisce la sua importanza ed i ricordi sembrano affiorare da un’altra vita, una vita che non sembra neanche la tua e che non sai più se è reale o è stata sognata in un tempo troppo lontano. Quei ricordi emersi all’improvviso acquistano potenza e ti trafiggono il cuore nel momento in cui capisci che li hai vissuti, procurando consapevolezza del tuo passato e di tutto ciò che appariva eclissato nell’oblio di una memoria remota, quel passato che ha contribuito a creare la persona che sei diventata.

A volte fa male ricordare quello che si è perso per sempre, rivedere gli occhi di tua madre o l’incedere  di tuo padre, sentire l’abbraccio e le voci amiche. Un brivido corre sulla schiena, sono quasi tutti via e possono vivere solo attraverso i nostri ricordi. Aiutateci, se potete, a capire e ad essere migliori.

Ciao a tutti voi e spero un giorno di rincontrarvi.

 

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