Concorso "Ancora insieme, una lettera a chi non è più con noi" in ricordo dell'amico Roberto Ricciardi - 2015
14 luglio
Addio, Bambi. Addio, mia piccola cara Bambi, Bambina dolcissima, Cuccioletto d’oro, mia tenera Ciccibum … Gattina mia, addio! L’ago che ti ha tolto la vita, lo sai, è passato prima nel cuore di tutti noi. Ci ha ferito a morte ma non ci ha ucciso. Non so dove sei tu, ora. Spero nella pace. Dicono che voi animali, a differenza di noi esseri umani, non avete un’anima. Non capisco perché. Le differenze fra noi e voi esistono, certo. Ma sono tutte a vostro favore. Voi siete buoni, puri, teneri, innocenti come pochi di noi riescono a essere. Perciò spero che il paradiso si apra anche per te e che le tue zampine siano tornate agili e se la spassino un mondo a saltare, a correre come da tempo, quaggiù, non potevano più fare. Bambi, Bambina mia, chi può capire quanto è il dolore che ci gonfia il cuore? ‘Era soltanto un gatto’, diranno tanti che non sanno, e non possono capire.
Per me eri la mia Bambi, e questo basta. Ora che non ci sei, vedo il mondo diverso. Più triste. Dicevo sempre: “Sono fortunata. Ho quattro gatti meravigliosi”. Sono ancora fortunata, ne ho tre fantastici e ho il ricordo di te. Ora che non ci sei, il silenzio mi parla di te; ogni gesto, ogni azione mi riconduce a te. Mi alzo la mattina, preparo il caffè, e me lo porto a letto. Evito di posare lo sguardo sulla parte di letto dove ti davo il buongiorno porgendoti il primo spuntino della giornata: un cucchiaino di Betotal allungato con il latte. Doveva ridarti forza, quello sciroppo. Ieri, dopo che sei “andata via”, l’ho riposto nell’armadietto dei medicinali, in bagno. E’ inutile, ormai, tenerlo a portata di mano in cucina: non serve più.
Bambi, Bambina mia, qualche volta ho creduto di conoscere la felicità, soltanto per capire subito dopo che la felicità è un sogno, un’illusione, ed è comunque di breve durata, ma oggi tu mi ricordi quanto fa male l’infelicità. Talmente tanto che vorrei strapparmi il cuore, ma non posso. Non riesco a frenare le lacrime, mi viene da vomitare. Ma tutto questo dolore è così inutile! Non serve a niente, non ti riporterà qui da noi. Sul tavolo di cucina ho trovato la grattugia. Subito ho rivisto te che golosa ci leccavi sopra il parmigiano rischiando di farti male. E’ tagliente, la grattugia; ma per te era irresistibile: vederla e saltare a leccarla era questione di un attimo. Ho riposto anche la grattugia.
Ho piegato, per metterlo via, il grande scialle bianco a fiori rossi dove ti accoccolavi la notte, sotto le coperte, per dormire. Un altro oggetto da riporre. Inutile, non serve più.
Inutile, Bambi, tenero amore mio. Inutile come tentare di non pensarti; il mio pensiero è incollato a te. Cucciolo mio, ricordo le prime volte che stavi male; piccole indisposizioni passeggere. Non mangiavi e non chiedevi di mangiare, cosa insolita per te, ai tempi belli, quando ti prendevamo in giro per il tuo sederotto e la pancetta. “Guarisci presto, Bambi, la casa è triste e vuota senza il tuo pianto affamato”. E tu guarivi, allora. E piangevi per reclamare la pappa. E noi ci divertivamo a dire “pappa”, “cena”, perché tu subito capivi ed eri pronta per mangiare. Bastava aprire il frigorifero e tu, dovunque fossi, al rumore dello sportello correvi in cucina a chiedere un assaggino.
Bambi, è passato un secolo! O forse è stato un sogno? Eri così magra, adesso. “E’ uno sfregio, un cadavere ambulante. Non lo vedete che è soltanto pelle senza più muscoli, disidratata, non ha reazioni.” Un po’ spietato come a volte sanno essere i dottori, il veterinario ci ha offerto l’unica soluzione per il tuo problema: sopprimerti. E io ho guardato – a stento, ma ho guardato – lui, che a dimostrazione delle sue parole ti sollevava con due dita e tu … eri proprio un cadaverino: non hai fatto una mossa, un lamento, niente. Eri già come morta.
Non ti abbiamo perduto ieri, 14 luglio. Ti abbiamo perduto poco a poco, ogni giorno un po’ di più, e non volevamo vederlo. Anche se vedevamo che non correvi più al frigorifero, nulla più scatenava il tuo appetito formidabile. Semmai mangiucchiavi svogliata, intristita. La tua zampina malata ti permetteva soltanto di trascinarti lentamente, zoppicando. Faceva rumore, strusciando sul pavimento. Io non volevo vedere, fingevo che tutto andasse bene. Amore mio, la vita ti stava abbandonando e, prima della vita, forse anche la voglia di vivere. Ti accontentavi di poco, è vero. Dormire accanto a noi bastava per farti ronfare. Ti pettinavo dietro le orecchie con la spazzola, ti carezzavo con la spugnetta ruvida, e tu porgevi la testolina e ronfavi piano. Le tue ultime piccole gioie.
Cucciolo mio, cadaverino infelice ridotto a (poca) pelle e ossa, per me eri ancora uno dei quattro gatti più belli del mondo. Quelle ossetta erano ricoperte dal più bel mantello biondo; il tuo musino buono, gli occhi da “olivella”, verdi e dolci, e quanti “Bella!” ti gridavo nascondendomi dietro l’angolo e poi affacciandomi per sentirti rispondere “Miao!”. Era l’unico gioco che ancora riuscivi a fare, e anche questo ti stancava.
Piccola mia, quanta sofferenza hai sopportato, tu così piccina. La piccola di casa, la più indifesa, e la prima che ha compiuto il grande passo. Bambi, come è difficile rassegnarsi, e come tutto appare senza senso! Queste parole che dico a te per togliermele dal cuore ben sapendo che serviranno soltanto a farmi male ogni volta che mi capiteranno sotto gli occhi e, per curiosità, le leggerò. Bambi, l’amore vero come può essere una ferita che si rimargina? Come può smettere di sanguinare? Non sarebbe meglio che il dolore ci uccidesse e ci desse pace? Oggi ho perduto te, e chissà quanti altri amori dovrò ancora perdere, a quanti amori dovrò, malgrado me, dare l’addio. A quanti altri strazi dovrò permettere di lacerarmi il cuore? Ma per questo male nessuno proporrà, come unica valida soluzione, l’iniezione letale. Perché nessuno vede il dolore che fa scempio di noi e ci rende poco più che cadaveri ambulanti.
Tesoro piccolissimo, amore mio, come è possibile convincersi di non vederti più? Mi aspetto di vederti spuntare da un momento all’altro. E’ folle, lo so. So bene che sei morta, anche se ieri, dopo l’iniezione, ho allungato la mano sulla tua guancia bionda venata di rosso (ho ancora la sensazione del tuo musino senza forze nel cavo della mia mano quando, prima della liberazione, ti tenevo la testina che ti pesava tanto e ricadeva sopra il pavimento con un tonfo … e io mettevo la mia mano per accogliere quella testolina, per non vederla sbattere per terra e non sentire più quel tonfo … ti avrei vegliato come un cane veglia il suo padrone, mia piccola tiranna …) e per un attimo ho creduto (voluto credere?) che ti muovessi … Non era vero, no, la morte è così immobile. Non era vero. Sei morta, Ciccibum, lo so! Ma sei ancora così viva per me che non riesco a credere che sia per sempre. Mai più vederti, mai più toccarti, mai più pettinarti, mai più nascondermi e sentire il tuo “miao” che già si spegne alle mie orecchie … Cerco tra mille suoni e rumori e, lo sai, Bambi, è forse il primo tradimento, o è stanchezza, confusione mentale … non ricordo già più la tua vocetta che per scherzo cercavo di imitare. Eppure io non voglio che il ricordo appassisca. Io non ti voglio dimenticare. Vorrei soltanto riuscire a pensarti con meno dolore.
Poco prima che ti liberassimo dal tuo nodo di dolore, ti ho stretto la “manina” – era morbida, ancora – e ti ho implorato di non avere paura. “Comunque, vedrai, in qualunque maniera”, ti ho sussurrato aspettando l’arrivo del dottore “in qualunque maniera presto tutta questa sofferenza sarà finita”.
Eri distesa sul fianco, scossa da movimenti convulsi (forse dell’agonia) che ti spingevano a sollevarti sulle zampe, e non riuscivi; ah quella testa, non voleva saperne di stare su, e allora giù, di nuovo, sul mio palmo che era pronto ad accoglierti. “Non avere paura, qualunque cosa succeda, non sei sola, amore mio. Sei stata un’eroina: così piccola e così coraggiosa.” Lottavi contro il tuo dolore, e a un certo punto mi è parso che le tue zampine congiunte, allungate, mi formulassero una preghiera. “Sei stanca, amore mio, sei tanto stanca, vero? Non ne puoi più, così piccina e tutto questo male!”
Poi, è arrivato il dottore. Gli è bastata un’occhiata e ha emesso la sentenza: condanna a morte. “Ma è evidente che dobbiamo sopprimerla!”.
Il liberatore. Lui ti avrebbe dato sollievo. Una iniezione rapida e indolore, e basta con tutto. Ho tentato di difenderti, di difendere quel poco che restava della tua vita. “Non è possibile una cura?”
“Una cura … io ve la posso dare …. ma vi prenderei in giro … non servirebbe a niente … sta morendo. Tra poco entrerà in coma … potrebbe vivere un giorno, due giorni ancora …. ma soffre …. Io devo mettermi anche dalla parte degli animali …”
Non c’è stata scelta, Bambi. Così, dopo avere perduta te, ho perso anche ogni speranza.