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Home Antiburocrazia STORIA DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ITALIANA. Rubrica di Alberto Bordi. Le regole del referendum per istituire nuovi comuni

STORIA DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ITALIANA. Rubrica di Alberto Bordi. Le regole del referendum per istituire nuovi comuni

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L' articolo 133, secondo comma della Costituzione, prevede che "La Regione, sentite le popolazioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni".

 

 

 

La disposizione costituzionale, ad una lettura prima facie, non sembrerebbe irta di rischi ermeneutici, ma la lunga e tormentata vicenda del comune di Boville, in passato, e la erezione in comune della frazione di Baranzate, mediante distacco dal comune di Bollate, contrassegnate da pronunce della Corte costituzionale, hanno dimostrato esattamente il contrario.

Quest’ultima questione, che ha schierato su fronti opposti il comune di Bollate, contrario ad uno smembramento del proprio territorio, che verrebbe così a ridursi, e la frazione di Baranzate, legittimata ad ergersi a comune autonomo dalla legge della regione Lombardia 23 novembre 2001 n. 21, si incentrava sostanzialmente proprio sulla locuzione di “popolazioni interessate” indicata dalla norma costituzionale senza alcuna ulteriore precisazione.

Infatti il comune di Bollate, sul presupposto che nel caso di specie sia ipotizzabile un vero smembramento della originaria comunità, aveva adito il Tar Lombardia sostenendo che, in violazione del precetto costituzionale in parola, erano stati chiamati ad esprimersi sul referendum per l’istituzione del comune di Baranzate unicamente i cittadini residenti nella frazione da distaccare e non tutti i cittadini del comune di Bollate, sicuramente annoverabili tra le “popolazioni interessate”.

Pertanto veniva sollevata in detta sede l’illegittimità dell’articolo 10, numero 3, della legge della regione Lombardia 7 settembre 1992 n. 28 (Norme sulle circoscrizioni comunali) e dell’intera legge della regione Lombardia 23 novembre 2001 n. 21 (Istituzione del comune di Baranzate in provincia di Milano).

Parimenti impugnato il decreto prefettizio datato 1 febbraio 2002, recante la nomina del commissario prefettizio presso il neo-istituito comune di Baranzate e degli atti connessi e conseguenti. Il Tar Lombardia ha ritenuto che il precetto costituzionale debba essere interpretato in senso ampio e precisamente nel senso che alla consultazione referendaria, prodromica all’istituzione di un nuovo comune, debbano partecipare tutti i cittadini del comune da cui avviene il distacco, essendo quest’ultimo destinato subire la contrazione della propria popolazione e del proprio territorio a favore dell’istituendo nuovo comune. Ne risulta chiaro, per tali cittadini, il connotato di interesse nella vicenda de qua.

Nella valutazione della problematica in oggetto, la Consulta ha sempre preso in considerazione due princìpi ordinamentali, entrambi scaturenti da norme costituzionali: quello della cosiddetta autodeterminazione, per il quale un soggetto o un gruppo può scegliere alcune caratteristiche della propria esistenza giuridica, e quello della volontà della maggioranza di una collettività, in base al quale la modifica di qualsiasi elemento costitutivo deve essere decisa dal maggior numero dei soggetti partecipanti alla originaria composizione; il tutto trasfuso nell’altro principio cardine del nostro ordinamento, in base al quale gli enti locali sono sì autonomi, ma non anche indipendenti, per cui ogni loro decisione deve pur sempre rapportarsi agli interessi della comunità organizzata in ordinamento sovrano.

Nella ricerca del quid intermediationis, ossia del punto di equilibrio tra dette esigenze della collettività, si è reso necessario valutare preliminarmente la connotazione globale del gruppo sociale protagonista del distacco,ossia le varie componenti ad esso riconducibili, quali il territorio,gli usi,i costumi, il substrato storico,il dialetto, le peculiarità folcloristiche,le costumanze religiose, al fine di verificare se la sovrapposizione istituzionale non sia che un mero riconoscimento di una realtà già di fatto esistente.

È significativo ricordare al riguardo l’avvenuto scorporo dal comune di Roma del comune di Fiumicino, caratterizzato da un gruppo nel complesso chiaramente differenziato in base a talune delle componenti anzidette, tanto da risultare di per se autonomo.

Per altro precedente, stavolta di segno opposto, va invece menzionata la vicenda referendaria relativa alla separazione tra Venezia e Mestre ove la mancanza di siffatte connotazioni ha imposto necessariamente la consultazione dell’intera collettività locale.

Entrando poi nel merito della questione, la Corte, dalla lettura dell’articolo 133, comma 2, della Costituzione, ma anche dall’esame dei lavori preparatori, ha desunto costantemente la regola generale che esige, sia per l’istituzione dei nuovi comuni che per la modificazione delle loro circoscrizioni, la consultazione delle popolazioni interessate, nel senso ampio della locuzione, intendendo quindi per tali tanto quelle che vorrebbero dar vita ad un nuovo comune così come quelle che rimarrebbero nella parte residua.

Si potrà prescindere dalla consultazione dell’intera popolazione solo in casi particolari - questa la tesi che la Consulta sembra condividere con il Tar remittente -, allorchè il gruppo che chiede autonomia sia già esistente come fatto sociologicamente distinto e collegato con una area eccentrica rispetto al capoluogo ed ha quindi una caratterizzazione distintiva ben definita.

Al riguardo va richiamato quanto la stessa Corte costituzionale aveva affermato in una sentenza del 1989, la n. 453, riferito all’ipotesi di modificazione di circoscrizioni territoriali comportante il trasferimento di una parte di popolazione da un comune all’altro, ove si ammetteva la mancata consultazione di quella parte di popolazione alla quale non poteva riconoscersi un interesse qualificato per intervenire in procedimenti di variazione che riguardavano parti del territorio rispetto alle quali essa non aveva alcun collegamento.

Nella vexata quaestio che ha condotto la Corte costituzionale alla sentenza 47 del 2003,la regione Lombardia eccepisce la profonda differenza del caso Boville-Marino dalla vicenda Baranzate-Bollate; infatti nella vicenda conflittuale dei comuni laziali si sarebbe verificato uno stravolgimento della situazione territoriale e socio-economica preesistente, mentre nella recente vicenda degli enti dell’area milanese, l’erezione in comune di una frazione, non piccola ma neppure enorme, non avrebbe stravolto gli equilibri territoriali e socio-economici delle zone interessate. Osserva inoltre la regione Lombardia che, secondo la sentenza della Corte Costituzionale 94 del 2000,le popolazioni residenti nel territorio destinato a passare ad un comune diverso da quello di originaria appartenenza, vengono a risultare titolari di un interesse e di una posizione particolarmente qualificati, di cui il legislatore non può non tener conto nella procedura e nella determinazione di cui trattasi. Con la sentenza 47 del 10 febbraio 2003 la Corte costituzionale, nel ribadire il principio della obbligatoria consultazione dell’ intera popolazione residente nei territori destinati a passare da un comune ad uno di nuova istituzione, ovvero ad un altro preesistente, conferma anche la eccezionalità delle ipotesi derogatorie a tale principio, oggettivamente non ravvisabili nel caso di specie. Le condizioni che possono giustificare la limitazione del referendum alla sola popolazione direttamente interessata alla variazione territoriale debbono essere definite dal legislatore regionale così che se ne possa apprezzare la ragionevolezza, e comunque la loro esistenza deve essere verificata in concreto dall’organo regionale che delibera di dar luogo al referendum, con decisione motivata suscettibile di essere controllata in sede giurisdizionale.

Sempre in relazione alla procedura di istituzione di nuovi comuni e della connessa consultazione delle popolazioni interessate, è di indubbio interesse un’altra sentenza della Corte costituzionale, la n. 453 del 1989, già sopraccitata, ove l’interesse della Consulta si rivolge però non alla locuzione “popolazioni interessate” bensì alla puntualizzazione ermeneutica della nozione di “sentite”. Il pretore di Noto nel rimettere alla Corte la relativa questione di legittimità costituzionale riferita all’articolo 133, comma 2, della Costituzione, rilevava che nel procedimento di aggregazione al comune di Palazzolo Acreide di circa 10.000 ettari del territorio del comune di Noto, non c’era stata alcuna consultazione popolare, non potendosi considerare tale la raccolta di sottoscrizioni di un gruppo di cittadini residenti nelle contrade da aggregare, raccolta di firme che il comune di Palazzolo aveva allegato a sostegno di detta iniziativa. La regione Siciliana, titolare di potestà esclusiva in materia di circoscrizioni comunali, osservò sul punto che rientravano in tale ambito primario le modalità di “sentire” le popolazioni interessate. La Corte costituzionale precisava che, benché sia innegabile che l’articolo 133 della Costituzione abbia come destinatarie le regioni a statuto ordinario,la parte della disposizione diretta a garantire la partecipazione popolare delle comunità locali nei confronti delle stesse regioni, in quanto espressione di un principio connaturato all’articolato disegno delle autonomie in senso pluralistico, non può che ritenersi vincolante anche della potestà esclusiva della regione siciliana in materia, trovandoci di fronte ad uno dei principi generali che connotano il significato pluralistico della nostra democrazia.

La giurisprudenza costituzionale (decisioni nn. 204/1981, 107/1983, 433/1995 e 94/2000) ha ripetutamente indicato, per le regioni a statuto ordinario, le modalità referendarie idonee ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali in materia di istituzione di nuovi comuni, mentre le regioni titolari di potestà esclusiva in tema di ordinamento degli enti locali(tutte e cinque le regioni a statuto speciale dopo la legge costituzionale 2 del 1993), sono libere di determinare le concrete modalità dirette a garantire il principio di autodeterminazione e di partecipazione in forme anche equivalenti a quella tipica del referendum, purchè tali da assicurare con pari forza la completa libertà di manifestazione d’opinione da parte dei soggetti “interessati”, comunque al riparo da ogni condizionamento esterno nel momento del suo svolgimento e nel rispetto delle opportune forme di libertà e segretezza. Con la sentenza 47 del 2003 il concetto di “interesse” riferito alla procedura referendaria dell’articolo 133, secondo comma,della Costituzione,può dirsi ulteriormente puntualizzato:confermato il principio generale della partecipazione alla consultazione anche delle popolazioni residenti nel territorio oggetto di smembramento;confermate anche le deroghe a tale principio, sulla base di fondati elementi circa la insussistenza, per dette popolazioni, di un interesse qualificato in rapporto alla variazione territoriale proposta.

 

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