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Home Norme e diritto STORIA DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ITALIANA. Rubrica di Alberto Bordi. Le province sarde? Quattro, anzi otto

STORIA DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA ITALIANA. Rubrica di Alberto Bordi. Le province sarde? Quattro, anzi otto

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La legge regionale n.9 del 2001 ha istituito le nuove quattro province di Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell’Ogliastra e di Olbia Tempio.

 

 

E’ probabile che alla domanda circa l’esatta indicazione delle attuali province della Sardegna sarebbero davvero in pochi a fornire la risposta corretta di otto. Più verosimilmente gli interrogati mostrerebbero sicurezza nell’ elencare le province “storiche” di Cagliari, Nuoro, Sassari e Oristano. In realtà le province sarde, se si ha riguardo al profilo normativo, sono effettivamente otto, in virtù dell’approvazione della legge regionale n.9 del 12 luglio 2001, pubblicata nel bollettino ufficiale regionale n.2 del 16 luglio 2001, che ha istituito le nuove province di Carbonia-Iglesias, del Medio Campidano, dell’Ogliastra e di Olbia Tempio.

La novità è di assoluto rilievo, non solo dal punto di vista costituzionale, come si vedrà, ma anche sotto il profilo amministrativo e territoriale, tenendo in particolare considerazione i parametri della popolazione, della superficie e del numero dei Comuni, che, dal riassetto operato a livello provinciale, vengono ad essere profondamente modificati: la provincia di Cagliari risulta ancora la più popolosa con i suoi 504.551 abitanti ripartiti in 55 Comuni, tanti quanti sono quelli annoverati in provincia di Nuoro; il territorio più vasto viene ad essere quello di Sassari con circa 4300 Kmq. che abbraccia 68 Comuni; il maggior numero di Comuni, ben 86, va ascritto invece ad Oristano. Tra le nuove province, spicca il numero di Comuni , esattamente 41, ubicato nella provincia del Medio Campidano; la maggior popolazione risiede nel Sulcis-Iglesiente, la terra delle miniere,(144.369 abitanti) mentre la superficie più estesa è quella della provincia di Olbia-Tempio (Kmq.3367).L’unica provincia a non raggiungere il parametro minimo di 150.000 abitanti fissato dalla legislazione regionale, è quella dell’Ogliastra per la quale è prevista una deroga in virtù della particolare situazione insediativa ivi esistente e degli orientamenti espressi dai Comuni.

Questo dunque il nuovo panorama amministrativo dell’isola, presupposto di nuovi equilibri istituzionali, economici e sociali che la mera fonte normativa non è in grado di mostrare o anticipare. Chiusa questa dovuta parentesi, necessaria per dare la misura dell’evento,che incide in modo significativo nei rapporti tra cittadini ed istituzioni, torniamo alla nuova realtà ordinamentale, che, ovviamente, non limita i suoi effetti unicamente al quadro istituzionale isolano, ma li estende, ed in varie direzioni, all’intero apparato amministrativo nazionale. Qui si impone un primo interrogativo, riferito all’aspetto nevralgico dell’evento di cui trattasi, ossia l’attitudine della legge regionale a sostituirsi alla legge nazionale nella procedura prevista dall’articolo 133, primo comma della Costituzione, per la istituzione di nuove province.

Va in limine precisato che all’istituzione delle nuove province da parte della Regione Sardegna si è pervenuti attraverso una procedura tormentata, né poteva essere altrimenti, segnata, dopo la fase di controllo governativo, prima dal giudizio di legittimità costituzionale sollevata dal presidente del consiglio e poi dalla soluzione data alla vexata quaestio dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità, con la sentenza n.230 del 6 luglio 2001.

Il percorso logico-giuridico del giudice costituzionale che ha condotto alla declaratoria di legittimità della delibera regionale è di grande interesse, in primis per la grande rilevanza e la delicatezza del tema trattato, ma fondamentalmente perché ha consentito di dare risposte a problematiche correlate , tutte di prima grandezza, quali il confronto fra norme costituzionali, l’esatto contenuto della materia “ordinamento degli enti locali” riferita alla competenza delle Regioni a statuto speciale, l’impugnabilità delle procedure preliminari alla istituzione di nuove province, fino alla sussistenza o meno di oneri per lo Stato, in ogni caso in cui si procede alla creazione di nuovi enti provinciali.

Si tratta a ben vedere di temi di assoluta importanza, nei quali vanno ad inserirsi ulteriori aspetti di rango costituzionale quale la connotazione di legge regionale “nuova (sentenza C.C.158 del 1998) o quale l’omogeneità di regime giuridico delle Regioni a statuto speciale nella materia degli enti locali (sentenza C.C. 415 del 1994), non disgiunti dal coinvolgimento di normative di livello costituzionale, come quella contenuta nella legge costituzionale n. 2 del 1993 e quella sulla recente revisione del titolo V, parte II della Costituzione – legge costituzionale n. 3 del 2001; né mancano riferimenti alla normativa di attuazione degli statuti regionali (il Decreto Legislativo 9 del 1997 per il Friuli Venezia Giulia) ed alle leggi di riforma recenti (decreto legislativo 300 del 1999) e meno recenti (legge 142 del 1990). La miscela tra normativa e giurisprudenza è esplosiva e conduce al sorprendente risultato che una norma costituzionale “cardine” del sistema, come quella dell’articolo 133, primo comma, della Costituzione, viene ad essere disapplicata, attraverso una serie di passaggi di ingegneria giuridica basati principalmente sui contenuti di altra disposizione forte del sistema, ossia l’articolo 116 della Costituzione.

Vediamo in concreto l’excursus percorso dal collegio giudicante in questa sentenza, sicuramente meritoria per aver dato soluzione al caso specifico, ma destinata anche a lasciare il segno per gli accadimenti istituzionali futuri, non senza ombre.

Il governo ha fondato il giudizio di legittimità costituzionale avverso la Regione Sardegna sull’assunto della incompetenza dell’ente regionale a disciplinare una materia riservata dall’articolo 133 della Costituzione alla legge nazionale. La materia de qua agitur si identifica, come detto, nella procedura della istituzione di nuove province, che costituirebbe qualcosa di più e di estraneo rispetto all’ordinamento degli enti locali. Di contrario avviso, la parte resistente eccepisce come nel concetto di ordinamento degli enti locali rientrino anche le procedure ordinarie per l’istituzione di nuove province, funzione peraltro espressamente prevista per la Sardegna dalla legge regionale 2 gennaio 1997 n.4, passata indenne al vaglio governativo e fonte generale essa stessa del provvedimento normativo che ha istituito in concreto le quattro nuove province.

Il governo, a fondamento della propria tesi deduce come la legge costituzionale 2 del 1993 ammetta solo l’organizzazione degli enti in questione da parte delle Regioni a statuto speciale e non anche la loro istituzione, se non nel solo ambito delle connesse procedure preliminari e successive, aggiungendo, al citato motivo, comunque assorbente, la ulteriore riserva in relazione agli oneri a carico dello Stato, configurabili anche nel caso in cui l’istituzione di una nuova provincia venga disposta con legge regionale.

Piuttosto chiara la strategia dell’offensiva governativa: l’articolo 133, primo comma della Costituzione prevede in modo lapidario che alla istituzione di nuove province si provveda con legge statale, da approvarsi su iniziativa dei Comuni; inoltre tale specifica facoltà non rientra nel concetto di ordinamento degli ente locali e la sussistenza di oneri derivati a carico dello Stato suggella che siffatto momento di genesi istituzionale, anche per una logica di sistema, debba ricondursi necessariamente nell’alveo delle prerogative statali.

Vediamo come invece ad opposte conclusioni pervenga il giudice costituzionale attraverso dei sillogismi giuridici che consentono di derogare alla applicazione dell’articolo 133, primo comma della Costituzione sulla scorta di un altro principio costituzionale, quello dell’articolo 116, che attribuisce alle Regioni a statuto speciale condizioni particolari di autonomia. Ma il mero rinvio a tale norma costituzionale non sarebbe sufficiente a intaccare la valenza generale dell’articolo 133, primo comma, in effetti mai scalfita prima nella storia della nostra Costituzione; era necessario qualcosa in più e questo quid pluris viene ad essere fornito dalla legge costituzionale 2 del 1993. La finalità di tale legge costituzionale è stata quella di rimuovere l’originaria diversità di regime giuridico delle Regioni ad autonomia speciale in materia di enti locali, avendo come specifico parametro di riferimento la disciplina della Regione Siciliana, sicuramente la più ampia quanto a poteri attribuiti. Proprio tale equiparazione ha determinato per la Sardegna l’esercizio di nuovi poteri, incluso quello di istituire nuove province, quelle che nella legislazione siciliana sono denominate province regionali. E se per il Friuli Venezia Giulia la normativa di attuazione dello statuto, decreto legislativo 9 del 1997, nella specifica materia “enti locali” ha ricompreso l’istituzione di nuove province, la Regione Sardegna ha provveduto ad inserire tale competenza nel proprio diritto positivo con l’approvazione della legge regionale 4 del 1997. Ora, come conciliare la legge costituzionale 2 del 1993, la competenza delle Regioni speciali ad istituire nuove province, con il dettato dell’articolo 133, primo comma della Costituzione apparentemente inattaccabile nella sua valenza generale? La legittimità ad istituire nuove province da parte delle Regioni in parola, e quindi la sostanziale deroga all’articolo 133, primo comma della Costituzione, troverebbe fondamento, oltre che nella citata competenza acquisita in seno all'ordinamento degli enti locali in un ulteriore ordine di motivi. Il primo nel ricordato articolo 116 della Costituzione, che attribuendo alle Regioni de quibus "forme e condizioni particolari di autonomia, secondo lo statuto speciale, adottato con legge costituzionale”, sembrerebbe autorizzare deroghe alla disciplina dell’autonomia regionale stabilita nel titolo V parte seconda della nostra legge fondamentale. Il secondo dei motivi, anch’esso affrontato nella sentenza della Corte costituzionale n.230 del 2001, si fonda sulla considerazione che in tale procedura non deriverebbero oneri a carico dello Stato, non essendo rinvenibile, nella legislazione concernente Comuni e province e nell’articolo 129, primo comma della Costituzione, un nesso necessario tra la nascita di una nuova realtà provinciale e la creazione di uffici statali decentrati su scala corrispondente. Certamente è fatta salva la facoltà dello Stato di non istituire propri uffici decentrati nelle nuove province come previsto dal decreto di attuazione 9 del 1997 relativo al Friuli Venezia Giulia mentre la Regione Sardegna ha formalizzato normativamente (articolo 12, comma 2,della LR 4 del 1997) l’impegno a provvedere alla promozione di tutte le iniziative affinché il decentramento statale corrisponda agli ambiti territoriali provinciali. Che la provincia abbia perso la sua originaria prevalente matrice di circoscrizione dell’amministrazione decentrata del ministero dell’interno – si legge in sentenza – è desumibile anche dal decreto legislativo di riforma dell’organizzazione del governo, n.300 del 1999, ove, nel prevedere l’istituzione degli Uffici Territoriali di Governo non si fa alcun riferimento alla dimensione provinciale. Su questa linea sembra attestato anche il Testo Unico delle leggi sulle autonomie locali, dlgs 267 del 2000 che, all’articolo 21, comma 3, lettera f), in riferimento alle Regioni ad autonomia ordinaria, prevede che l’iniziativa dei Comuni per la revisione delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove province non comporti necessariamente l’istituzione di uffici provinciali delle amministrazioni dello Stato. Insomma una nuova pagina del nostro ordinamento sembra scritta da questa sentenza, che, inspiegabilmente, non è stata portata agli onori della cronaca e della dottrina amministrativa come certamente merita; una sentenza che rappresenta lo specchio dei nostri tempi, caratterizzati dalla dominante riformista e federalista e dal neo protagonismo di Regioni ed enti locali, sancito poi dalla revisione del titolo V, parte seconda della Costituzione. Al riguardo è il caso di sottolineare come la sentenza 230 sulla istituzione delle nuove province in Sardegna, porti la data del 4 luglio 2001, quindi preceda cronologicamente la legge costituzionale n.3 approvata il 18 ottobre dello stesso anno. Alla lettura prima facie della decisione in parola non può negarsi una nota di stupore nel lettore ma anche il riscontro di un rigore giuridico basato su passaggi quasi di tipo matematico: se la Sicilia (A) è titolare di una competenza di tipo X in materia di enti locali, e la Regione Sardegna (B), con la legge costituzionale 2 del 1993 viene ad essere titolare di analoga competenza, appare chiaro come non possa negarsi,sulla base della equivalenza Ax=Bx che anche il legislatore sardo sia legittimato alla istituzione di nuove province, facoltà inclusa nella competenza di tipo x. Tuttavia non si può neppure negare come tale decisione abbia la forza di incrinare un sistema di rango costituzionale, di alterare millimetrici equilibri realizzati dalla costituente, e di sollecitare interrogativi di analogo spessore.

Ripercorrendo per esempio l’iter logico dei giudici costituzionali non si può fare a meno evitare di considerare il peso specifico dell’articolo 116 della Costituzione, che attribuisce alle Regioni a statuto speciale forme e condizioni particolari di autonomia tali da consentire una deroga ad una norma di sistema come quella dell’articolo 133, I comma della Costituzione, che disciplina l’istituzione delle province, le quali sono ripartizione, insieme a Regioni e Comuni della nostra Repubblica (articolo 114 della Costituzione). Ci si domanda se la forza del citato articolo 116 consenta di derogare all’intero titolo V, parte seconda della Costituzione, che risulterebbe così destinato alle sole Regioni “ordinarie” con conseguente introduzione di un profondo spartiacque tra i regimi delle Regioni italiane. Eppure l’articolo 116 non prevede una autonomia illimitata ed indefinita, ma “secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali” e proprio questi statuti (per la Sardegna approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948 n.3), nell’elencare le competenze primarie della Regione, espressamente indicano tali attribuzioni in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico dello Stato, limiti questi tra i quali non si possono non annoverare le disposizioni del titolo V della nostra Costituzione.

C’è poi l’affermazione in sentenza dell’insussistenza di oneri statali in seno al procedimento di istituzione di nuove province, sostanzialmente condivisibile, che richiama i contenuti del testo unico delle leggi sugli enti locali, per giungere alla conclusione che le province, ai sensi della legislazione vigente non debbano essere considerate circoscrizioni dell’amministrazione del ministero dell’Interno. Sul punto è doveroso richiamare il primo comma dell’articolo 129 dela Costituzione ove province e Comuni figurano quali circoscrizioni del decentramento statale e regionale; ma sicuramente più inquietante la prospettiva che alla nuova configurazione amministrativa delineata dalla istituzione delle nuove province non si accompagni la tempestiva organizzazione di uffici periferici dello Stato e che un cittadino di un Comune della provincia di Olbia possa avere come riferimento dell’amministrazione generale dello Stato la prefettura-ufficio territoriale del governo di Sassari. Si ha in definitiva l’impressione di essere di fronte ad una sentenza “copernicana” perché rivoluziona una concezione ordinamentale ancorata a certezze di segno opposto. L’articolo 133, primo comma, che individua nella legge nazionale lo strumento per istituire nuove province sembra in detti termini ora applicabile alle sole Regioni “ordinarie”. Ed in futuro, sarà ancora ipotizzabile siffatta procedura ordinaria per la istituzione di una nuova provincia in una delle Regioni a statuto speciale? Si deve prendere atto che esiste una procedura, quella utilizzata dalla Regione Sardegna ed ammessa dalla Corte costituzionale, difforme e non prevista dalla Costituzione, che invece disciplina, allo stesso articolo, anche l’istituzione di nuovi Comuni. Si riapre il tema dell’identità del legislatore costituzionale, che sicuramente si muove su una scala di valori diversa e superiore rispetto a quella del legislatore ordinario, sia per la rilevanza dei temi trattati e sia per la estrema delicatezza degli equilibri in gioco.

Questa è una sentenza che non sembra limiti i suoi effetti a dirimere un conflitto di attribuzione tra Stato e Regione o ad ammettere la legittimità di una norma rispetto ad un principio costituzionale. C’è sicuramente di più: con il caso di specie una norma costituzionale è stata derogata e disattesa per dare spazio ad una procedura rispetto ad essa innovativa ed alternativa. E si obietta, forse non a torto, che le Regioni a statuto speciale – il termine sembrava prossimo all’archiviazione definitiva – sembrano riprendere le distanze, sul fronte della dilatazione e della consistenza dell’autonomia, rispetto alle Regioni “ordinarie” complessivamente considerate. Il dibattito è aperto.

 

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