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Home Norme e diritto Il diritto di voto degli stranieri in Italia e in Europa. Il concetto di “Cittadinanza civile” di Alberto Bordi. (Pubblicato nella rivista Amministrazione Civile n.4/2004 - Maggioli Editore)

Il diritto di voto degli stranieri in Italia e in Europa. Il concetto di “Cittadinanza civile” di Alberto Bordi. (Pubblicato nella rivista Amministrazione Civile n.4/2004 - Maggioli Editore)

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La storia insegna come il diritto al voto abbia rappresentato costantemente, per gli stranieri di ogni terra e di ogni tempo, oltre che un traguardo desiderato sotto il profilo della dignità sociale e personale, una tappa fondamentale nel processo di integrazione

con la popolazione ospitante. Infatti al di là dell’aspetto giuridico in senso stretto, con le connesse prerogative, comunque preziose per chi calca la terra dove non ha radici, il voto gioca un ruolo fondamentale sotto l’aspetto esistenziale e psicologico per chi, tagliati per necessità i legami con la propria cultura d’origine, desidera riconoscersi in un contesto socio-istituzionale nuovo, che in via di fatto gli è già familiare e nei confronti del quale, inevitabilmente, nutre delle aspettative di crescita e di considerazione.

 

Terzo aspetto, di certo non trascurabile, è che lo straniero legittimato al voto, sentendosi finalmente investito di una connotazione più ampia e prestigiosa, si sente nuovamente, o per la prima volta, importante, addirittura coccolato dai candidati che anche a lui destinano le parole e le attenzioni  tipiche della propaganda elettorale, invitandolo ai comizi, inviandogli lettere, spiegandogli dettagliatamente il programma, soprattutto nelle parti dedicate allo status di straniero, considerandolo inoltre a pieno titolo nel novero degli amministrati che scelgono legittimamente i propri amministratori.

A queste prime valutazioni ne va aggiunta una quarta, forse la più importante perché racchiude le precedenti e si riferisce al concetto di “cittadinanza civile” che si sta facendo strada in ogni paese europeo e che poggia su un principio inderogabile di giustizia: gli stranieri che vivono nelle nostre città sono inevitabilmente soggetti ai costi, agli impegni, ai ritmi imposti dai nostri amministratori pubblici ed in questo sillogismo elementare hanno il diritto di poter partecipare alla scelta di quanti, una volta eletti, condizioneranno ogni atto della loro esistenza quotidiana, dal costo dell’autobus ai servizi sociosanitari. Se quanto detto ha valore per l’elettorato attivo, a maggior ragione deve valere per l’elettorato passivo, ove le prerogative di voto legittimano a esser parte del novero dei candidati e di quanti partecipano alla competizione con l’intento di gestire la cosa pubblica.

L’approccio al voto di norma è graduale e solitamente ha come primo passaggio obbligato la partecipazione alle elezioni amministrative di livello più basso - in Italia quelle circoscrizionali e di quartiere - per proseguire poi con una escalation che si conclude con il voto politico, ossia quello inerente alla cariche pubbliche più rappresentative. Tutti questi aspetti sono ovviamente tenuti nella massima considerazione da parte di politici, amministratori, sociologi, giuristi e legislatori (nazionale, regionale, comunale) secondo le ottiche più disparate in un contesto globale caratterizzato da forti trasmigrazioni di popoli dalle zone più povere del pianeta verso i paesi economicamente più avanzati, Italia compresa.

Proprio di recente nel nostro Paese, ed a livello amministrativo più basso, quindi in linea con gli schemi anzidetti, è in atto il processo, da parte di enti locali e regionali, di estendere il diritto di voto, seppure con forti limitazioni e per particolari cariche, anche agli stranieri extracomunitari in possesso del solo requisito della presenza in Italia, rectius della iscrizione nel registro della popolazione del comune di residenza. L’evento più significativo al riguardo viene dal Comune di Roma che, sulla base dell’approvazione del regolamento delle nuove elezioni, ha disposto che gli stranieri non appartenenti all’Unione Europea, residenti nella Capitale oppure residenti altrove ma che a Roma lavorano o studiano, possano partecipare alla elezione dei consiglieri aggiunti (quattro, uno per continente: Asia-Oceania; Europa; Africa; Americhe) e dei consiglieri municipali (uno per ciascuno dei diciannove Municipi).

L’iniziativa riguarda quindi la figura dei consiglieri aggiunti, i quali possono partecipare alle sedute delle commissioni consiliari capitoline con facoltà di fare proposte ma senza diritto di voto. Ma non è solo l’Amministrazione capitolina a sposare la politica dell’estensione del voto agli stranieri regolari: l’Assemblea regionale siciliana ha approvato, nel novembre 2003, il disegno di legge sul diritto all’elettorato attivo e passivo degli immigrati residenti nell’isola da almeno sei anni, anche se l’iniziativa, modificativa dell’articolo 15 dello statuto regionale, dovrà necessariamente essere passata al vaglio del Parlamento nazionale perché divenga norma costituzionale. Sulla stessa linea d’onda si sta orientando il Consiglio regionale della Toscana, mentre il Friuli-Venezia Giulia, prima ancora della modifica statutaria, potrebbe estendere il diritto di voto agli immigrati in occasione delle consultazioni referendarie, facoltà già consentita nelle città di Roma, Bologna e Torino.

Anche il Consiglio di Zona 4 di Milano ha approvato una mozione a sostegno dell’iter legislativo finalizzato a rendere effettivo il diritto di voto amministrativo agli stranieri; a Brescia, dove il Consiglio comunale sta avviando una modifica statutaria nella stessa direzione, si è valutato che gli immigrati presenti stabilmente nella città, potrebbero, se uniti, formare un partito con una percentuale di votanti prossima al 3-4 per cento del bacino elettorale. Nel gennaio 2004 anche il Consiglio comunale di Ragusa ha approvato l’estensione del voto a tutti gli immigrati residenti, purchè titolari di regolare permesso di soggiorno; e la città di Genova già aveva provveduto a modificare in tal senso il proprio statuto.

Riguardo a iniziative di tale contenuto il ministero dell’Interno, nello specifico la Direzione centrale dei servizi elettorali, ha puntualizzato, con circolare n. 4 del 22 gennaio 2004, come l’introduzione di deroghe al principio costituzionale e legislativo che correla l’esercizio del diritto di voto, anche nelle consultazioni amministrative comunali, al possesso del requisito della cittadinanza italiana (al fine, ad esempio, di estendere tale diritto agli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno), non possa che costituire oggetto di valutazioni e di scelte in sede politica, con conseguente necessità di operare le opportune modifiche al dettato costituzionale e alla legislazione ordinaria vigente. L’ufficio ministeriale ha inoltre precisato che tali considerazioni debbono essere estese alle consultazioni per l’elezione degli organi di decentramento comunale (consigli circoscrizionali e di quartiere).

In effetti, come puntualmente richiamato dalla circolare della Direzione centrale dei servizi elettorali, il diritto di elettorato attivo e passivo trova in Italia una fondamentale previsione nella Carta costituzionale, rispettivamente all’articolo 48 e all’articolo 51, il primo dei quali stabilisce che sono elettori tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età e che il diritto in parola non può essere limitato, se non per incapacità civile o per altre cause ben determinate. Anche la legislazione ordinaria di attuazione del dettato costituzionale, in particolare il vigente Testo unico delle leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle amministrazioni comunali, approvato con dpr 16 maggio 1960 n. 570, indica nella cittadinanza italiana il requisito fondamentale e ineludibile per esercitare il diritto di voto.

Questo il quadro de iure condito, ma la circolare ministeriale non chiude, come detto, gli spazi ad interventi in materia de iure condendo, che, soprattutto per quel che attiene l’estensione del diritto di voto amministrativo agli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno, non possono che provenire dall’ambito politico e da chiari provvedimenti di legge innovativi in tal senso da parte del legislatore costituzionale ed ordinario.

Peraltro, un meccanismo derogatorio al requisito della cittadinanza in riferimento all’esercizio del diritto di voto - e anche qui la circolare ministeriale non fa difetto - è già stato introdotto nell’ambito del nostro sistema giuridico in sede di recepimento di normative dell’ordinamento comunitario, al quale lo Stato italiano aderisce. Infatti con legge 6 febbraio 1996 n. 52 e successivo decreto legislativo di attuazione, n. 197 del 12 aprile 1996, il nostro ordinamento, in conformità alla direttiva 94/807CE del Consiglio dell’Unione Europea del 19 dicembre 1994, ha previsto per i cittadini dell’Unione residenti in Italia, ma privi della cittadinanza italiana, l’iscrizione in apposite liste elettorali aggiunte istituite presso il comune di residenza ed il connesso esercizio del diritto di voto per l’elezione del sindaco, del consiglio comunale e di quello circoscrizionale, oltre al diritto di essere eleggibili a consiglieri, e qualora eletti, di essere nominati come componenti della giunta, con esclusione della carica di vicesindaco. A ben vedere lo strumento che consente la deroga al requisito di “cittadinanza italiana” risulta essere quello di “cittadinanza europea” in fieri e del correlato riconoscimento, da parte del nostro Stato, di un ordinamento sovranazionale che incide sul quadro normativo nazionale e regionale anche negli istituti di più alto profilo come per l’appunto l’esercizio del diritto di voto.

In tale contesto, anche se riferito al voto europeo, è significativa la circolare n. 134 del 30 dicembre del 2003, sempre della Direzione centrale dei servizi elettorali del ministero dell’Interno, che, richiamando le disposizioni dettate in materia dal dl 408 del 1994, convertito in legge 483 del medesimo anno, poi modificate dalla legge 128 del 1998 (in recepimento della direttiva comunitaria 937109/CE), consente ai cittadini dell’Unione Europea residenti in Italia, inclusi quelli dei dieci Stati candidati all’adesione (Estonia, Cipro, Lettonia e così via) di esercitare nel nostro Paese il diritto di voto per l’elezione dei rappresentanti dell’Italia al Parlamento europeo. Sempre sullo scenario Unione Europea, lo Stato italiano non può non registrare come la Convenzione di Strasburgo – febbraio 1992 – al capitolo C, ancora non ratificata dal Parlamento italiano, preveda espressamente il diritto di voto agli stranieri per le elezioni amministrative e come nel gennaio 2003, nell’ambito della Relazione annuale sui diritti umani nell’Unione, il Parlamento europeo abbia raccomandato agli Stati membri “di estendere il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali e del Parlamento europeo a tutti i cittadini di paesi terzi che soggiornino legalmente nell’Unione Europea da almeno tre anni”. Lo strumento utilizzato dall’Europarlamento sul tema dell’estensione del voto – la risoluzione – pur non avendo valenza giuridica cogente nei confronti degli Stati destinatari, costituisce un’indicazione significativa sul piano politico e strategico, considerata in prospettiva dell’intero scenario futuro dell’Unione.

Ad ispirare tale documento proposto dal laburista britannico Claude Moraes, è la concezione di “cittadinanza civile”, un termine già utilizzato dal Presidente della Commissione europea Romano Prodi, che consentirebbe ai cittadini stranieri di paesi terzi e residenti legalmente nei territori dell’Unione Europea, di beneficiare di uno status particolare, al quale ricondurre diritti e doveri di natura economico-sociale e politica, incluso il diritto di voto alle elezioni municipali ed europee.

Ma qual è il panorama europeo in ordine al binomio stranieri e voto amministrativo? Il quadro appare piuttosto eterogeneo, con paesi che da molto tempo permettono agli stranieri residenti di votare nelle consultazioni comunali: tale sistema vige in Svezia dal 1975 per i residenti in via continuativa da almeno tre anni; in Norvegia dal 1993 ed in Olanda dal 1985. La Danimarca dal 1981 estende il voto a livello comunale e provinciale; altri Stati, come il Portogallo, riservano tale possibilità solo a specifiche etnie, ossia peruviani, brasiliani, argentini, uruguaiani, norvegesi e israeliani.

In Spagna la legge di contenuto estensivo del diritto di voto esiste: è quella proposta da Aznar nel 1999, ma non ha ancora avuto a tutt’oggi alcuna attuazione. In Svizzera il diritto di voto amministrativo è riconosciuto a tutti gli stranieri nei due cantoni di Jura e Neuchatel; l’Islanda riconosce tale diritto ai soli cittadini dell’area scandinava; in Irlanda l’estensione del voto ha radici lontane: dal 1963; in Gran Bretagna il diritto di voto è riconosciuto anche per le elezioni politiche a tutti i cittadini del Commonwealth, agli irlandesi e ai pachistani; negli altri paesi del vecchio continente non è previsto il diritto di voto per gli immigrati.

In Italia la legge 91 del 16 agosto 1992 costituisce uno spartiacque tra la vecchia normativa, che estendeva il diritto di voto agli stranieri residenti continuativamente per almeno cinque anni nel nostro territorio, e la normativa più recente che ha innalzato a dieci anni tale requisito. Su tale impianto normativo si è innestato recentemente un ulteriore elemento di rango costituzionale: la proposta di legge di revisione presentata da Alleanza Nazionale sulla modifica dell’articolo 48 della Costituzione. Il testo novellato consentirebbe agli stranieri non comunitari, di maggiore età, residenti in Italia stabilmente e regolarmente da almeno sei anni, il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative, in conformità alla disciplina prevista per i cittadini comunitari. Un palpabile avvicinamento tra la concezione di “cittadinanza civile” e quella di “cittadinanza europea”, entrambe in fase di puntualizzazione.

Tra i requisiti indicati dalla proposta di revisione costituzionale di cui trattasi, figurano altri requisiti, quali la titolarità di un permesso di soggiorno per un motivo che consenta un numero indeterminato di rinnovi e la dimostrazione di avere un reddito sufficiente per il sostentamento personale e dei propri familiari, oltre al non essere stati rinviati a giudizio per reati per i quali è previsto l’arresto. La tematica sul voto agli stranieri, in questa fase storica limitata al piano amministrativo, appare estremamente varia e dinamica e di estrema delicatezza perché si controverte sul voto, quintessenza della democrazia, e perché sulla concezione della “cittadinanza civile” si gioca il livello reale del processo di integrazione tra cittadini e stranieri di paesi terzi, destinato a segnare nel futuro prossimo ogni Stato della nuova Europa.

(L’articolo è pubblicato nella rivista Amministrazione Civile n.4/2004 Maggioli Editore)

 

 

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