Come venivano consumati i pasti nell'antica Roma: il triclinio, la cena, il garum, il vinum mulsum, la pinsa....Trimalcione....Lucullo....Sergio Orata..... "Socratem audio dicentem cibi condimentum esse famem "
Tre erano i pasti fondamentali per i Romani. Si cominciava la mattina con una colazione, piuttosto leggera in verità, lo ientaculum. Anche il pasto di fine mattinata, il pranzo (prandium) era piuttosto veloce, talvolta neanche ci si metteva in tavola. Nel pomeriggio inoltrato arrivava il momento del pasto principale, la cena, che veniva consumata nel triclinio, il locale adibito a questa funzione, che si caratterizzava per un pavimento inclinato su tre lati della stanza. Triclinio indicava anche il divano a tre posti (clinè in greco vuol dire "ripiegato", da cui deriva il termine di "clinica", luogo deputato a curare quanti sono piegati dalle malattie e dai dolori) che permetteva ai commensali di mangiare allungati secondo l'uso acquisito dal mondo etrusco.
L'intero rituale era regolato, nelle case importanti, dal rex (o arbiter) bibendi, una sorta di maestro di cerimonia, che modulava e rallegrava la serata, decidendo sul vino da somministrare agli invitati, promuovendo brindisi, auguri e disponendo profumazioni varie. Si cominciava a mangiare con gli antipasti, la gustatio, tanto per stimolare l'appetito (da ad+peto in cui lo stomaco chiede qualcosa per riempire i suoi vuoti), ma il momento centrale del pasto era la consumazione di selvaggina, carni arrostite e pesce che avveniva in più portate (ferculum). Le pietanze erano accompagnate dal vino in abbondanza, che produceva nei commensali un gradito senso di liberazione. In un momento successivo si passava alle secundae mensae a base di frutta e dolci. Si trattava di un momento conviviale in cui si mangiava, si beveva, si conversava, si potevano perfino concludere affari, talvolta si urlava e la compostezza poteva venir meno in base alla "allegria" ed al livello di autocontrollo dei convitati.
In questa atmosfera "gli schiavi, senza proferire parola, si davano un gran da fare per asciugare gli sputi, pulire il pavimento dal vomito degli ubriachi ", come evidenziava Seneca, provvedendo inoltre a riempire la tavola delle varie portate.
Per immaginare una cena romana può essere d'aiuto un passo tratto dal Satyricon di Petronio Arbitro, vivendola virtualmente con a fianco il rozzo Trimalcione.:“sul vassoio un asinello di bronzo con una bisaccia a due tasche, per olive chiare e scure. Piccoli sostegni sorreggevano ghiri spalmati di miele e polvere di papavero. Le salsicce friggevano su una griglia d’argento con prugne siriane e chicchi di melograno. Nel vassoio tondo erano disposti in circolo i 12 segni zodiacali, sui quali il maestro di cucina aveva sistemato il cibo. A fianco pollame e ventri di scrofa ed una lepre, provvista di ali, in modo da sembrare un Pegaso....."
E che dire del vino? Era un lontano parente di quello attuale; infatti a quei tempi il nettare per gli uomini era soggetto ai miscugli più temerari, combinato con acqua di mare, mandorle, pece, residui di pesce, sale ed altro ancora, perfino con la cenere, al fine di renderlo più saporito. Il più accettabile era, in fin dei conti, il vinum mulsum in cui era presente il miele, aggiunto per aumentarne la gradazione.
E cos'era un pranzo Luculliano, come si dice ancora oggi? Lucio Licinio Lucullo, nato a Roma nel 117 a.C., uomo di intelligenza e di memoria prodigiose, dopo un impegno come stratega militare ricco di soddisfazioni (tribuno, generale, vincitore di Mitridate IV nel Ponto) ed una carriera politica intensa come console, dedicò la seconda parte della sua vita a simposi e banchetti divenuti leggendari per l’abbondanza e la sontuosità delle portate, spesso consumate nelle sue lussuose ville a Roma (in corrispondenza dell’attuale Pincio), a Tusculum (Frascati) ed a Napoli (con vasche di pesci protese sul mare).
E la pizza, era conosciuta dagli antichi Romani? Già nella Roma preimperiale la pinsa era una schiacciata di forma ovale paragonabile all'attuale focaccia. Essa prende il nome dal latino pinsere (schiacciare, pestare) ed era lievitata naturalmente per 48 ore, a tutto vantaggio della digeribilità.
Cos'era il famoso garum? Era la salsa liquida di interiora di pesce che gli antichi Romani aggiungevano come condimento a molti piatti. Il vocabolo è di etimologia incerta; questa specie di pasta di acciughe veniva utilizzata spesso per insaporire i cibi. Ne esistevano tre varietà: il flos floris di prima qualità; il liquamen di seconda qualità e l’alleo, meno costosa e più piccante. Difficile adattare questo preparato alla cucina contemporanea anche se qualcuno lo ricollega alla salamoia delle acciughe sotto sale in uso presso alcune zone della costiera amalfitana.
I Romani andavano matti per i frutti di mare, in particolare di quelle ostriche che avevano fatto la fortuna di Sergio Orata, un ittiocoltore campano che, grazie al suo allevamento di Baia, era in grado di rifornire di pesce fresco tutte le tavole delle famiglie romane più facoltose. Oggi, mentre da più parti si tende a smitizzare il tanto decantato potere afrodisiaco dei frutti di mare commestibili, benché a citarlo furono grandi autori classici, quali Orazio e Petronio, gli storici dell’alimentazione ed i cultori dell’eros concordano nell’attribuire il primato del settore alla rughetta ed alla cipolla. La rughetta, detta anche ruca o rucola, è sempre stata considerata un potente stimolo per gli appetiti sessuali: herba salax (erba che drizza) suggerisce Ovidio di mangiare insieme a uova, miele e pinoli. Anche la cipolla , muscari comosum secondo la nomenclatura binomia, è una sferzata di libidine e nella frittata raggiunge l’effetto bomba. Indispensabile nei menu erotici sono anche l’avocado, che farebbe addirittura aumentare la quantità di seme, il peperoncino, soprattutto nella variante messicana “chili”, il pomodoro, il cavolo, i funghi e la vaniglia. Gli antichi ritenevano che i piatti forti per l’effetto erotico fossero costituiti oltre che dai frutti di mare, dalle uova strapazzate in verga di toro, dai testicoli dei galletti in crema di asparagi, dalle lingue d’oca al tartufo ed infine dai poco digeribili ramarri al carciofo.
In ambito ittico in senso stretto, i buongustai romani fin dai tempi antichi apprezzavano particolarmente la murena per la bontà delle sue carni, tanto che spesso venivano costruite vasche apposite (murenari) in comunicazione con il mare per il loro allevamento, visibili ancora oggi a Ponza, a Ventotene, a Torre Astura.
La saggezza latina in tavola
Al mangiare: «Gaudeamus» al pagare: «Suspiramus»
Prima digestio fit in ore (Scuola Medica Salernitana) La prima digestione avviene nella bocca (Per cui è importante masticare bene il cibo prima di ingerire)
Post prandium stabis post coenam ambulabis (Scuola Medica salernitana) Dopo il pranzo rilassati dopo la cena cammina
Prosit (Frase usata in occasione di brindisi e festeggiamenti) Buon pro ti faccia, ti sia di giovamento
Nunc est bibendum (Orazio) Ora bisogna bere (per festeggiare)
Non est ante edendum quam fames imperet (Seneca) Non si deve mangiare prima che la fame lo richieda
Cocus domini debet habere gulam (Marziale) Il cuoco deve avere la gola del padrone
Non ut edam vivo sed ut vivam edo (Quintiliano Non vivo per mangiare ma mangio per vivere
Socratem audio dicentem cibi condimentum esse famem (Cicerone) Sento Socrate che dice che il condimento del cibo è la fame
Ut sis nocte levis sit tibi cena brevis (Scuola Medica Salernitana) Se vuoi essere leggero di notte la tua cena deve essere modesta
Magister artis ingenique largitor venter (Persio) Maestro dell’arte e largitore dell’ingegno è il (bisogno di) cibo
Inter prandendum sit saepe parumque bibendum (Scuola Medica Salernitana) Mentre si pranza, è bene bere spesso e poco
Cum sale panis latrantem stomachum bene leniet (Orazio) Un po’ di pane con il sale può bastare a tranquilizzare lo stomaco
Lapsana vivere (Plinio) Nutrirsi di cavoli (Cibarsi di cose semplici)