"Una delle illusioni umane consiste nel credere che i mari e gli oceani siano eterni e possano resistere ad infinito alla barbarie ed alla inciviltà". Così ho iniziato il mio secondo libro sulle conchiglie dal titolo "Conchiglie, sculture del mare", una pubblicazione del 2008 frutto di studi mirati, di immersioni, di esplorazioni marine, di passeggiate tra scogli, oppure sul bagnasciuga, accompagnato sempre dalla stessa passione che avevo da bambino.
Conoscere la natura equivale ad apprezzare di più ed al meglio i magici meccanismi che ne costituiscono le regole. La conoscenza del mondo marino rende sicuramente il macrocosmo acqueo più affascinante, più apprezzabile e più rispettabile. Senza essere scienziati di professione, biologi marini o malacologi (così sono detti gli studiosi dei molluschi) tutti possono salire di qualche gradino la scala della conoscenza del pianeta mare; ed è proprio in questo modo che la perlustrazione del fondale (lo snorkling), l’approccio con l’habitat degli scogli, l’incontro con un essere marino o la semplice passeggiata sul bagnasciuga potranno avere un altro sapore, con un valore aggiunto derivante proprio dalla maggior confidenza con un mondo decisamente straordinario. E’ con questo intento che nasce l’idea di un piccolo libro su un grande argomento: presentare con brevi cenni, conditi di storia, di arte, di medicina e di gastronomia, le conchiglie e gli organismi che possiamo incontrare nel mare.
I FENICI
Ai più è nota la spavalda sicurezza con la quale Annibale, a soli 29 anni, si pose alla guida di un poderoso esercito di oltre ventimila uomini rafforzato dalla inquietante presenza degli elefanti: era lo specchio della potenza economica-commerciale che Cartagine aveva raggiunto. Tutti gli esperti concordano nel ritenere che i Fenici avevano fondato proprio sull’arte della tintura una buona parte della loro potenza economica e quindi militare, in linea con quanto ci hanno tramandato Plinio, nell’Historia Naturalis e Seneca nella Naturalium Questionum.
Pochi però sanno che buona parte di questa potenza, da sempre temuta dalla stessa Roma, aveva come fondamento una modesta conchiglia univalve, peraltro commestibile, il Murex brandaris, dalla ghiandola della quale, i Fenici di Tiro e di Cartagine traevano il rosso porpora, ottenendo le apprezzatissime tonalità varianti dal rosa al viola. Fenicio deriva etimologicamente dal greco foinix che significa porpora. Questo ci fa capire molto agevolmente quale e quanta sia stata l’importanza del piccolo mollusco e della porpora nell’economia di questo popolo, ma va anche ricordato che la conchiglia era uno dei segni presenti sulle monete coniate a Tiro e che la prestigiosa tintura divenne ovunque un simbolo di potere, ambìto in ogni parte delle civiltà allora conosciute.
In verità i Fenici non furono i primi ad utilizzare murici e molluschi similari per ottenere le tinture da applicare a toghe e tuniche dei potenti, ma furono certamente i primi a farlo su scala industriale e a commercializzare il prodotto presso gli altri popoli, come testimoniano le gigantesche vasche da tintura ritrovate non solo nell’attuale Libano, ma anche a Taranto, a Pompei, a Malta, in Sicilia, in Sardegna, a Ibiza e nella piccola isola di Mozia, sulla costa occidentale siciliana.
“Le porpore” descritte da Plinio nella Naturalis Historia: “Le porpore vivono al massimo sette anni. Si nascondono, come i murici, all'inizio della canicola per trenta giorni. In inverno si riuniscono e, sfregandosi tra di loro emettono un particolare umore mucoso. Nella stessa maniera fanno i murici. Ma le porpore hanno in mezzo alla bocca quel fiore ricercato per tingere le vesti. Qui si trova una candida vena con pochissimo liquido, da cui nasce quel prezioso colore di rosa che tende al nero e risplende. Il resto del corpo non serve a niente. Si cerca di catturarle vive, perché gettano fuori questo succo insieme alla vita. E si estrae dalle porpore più grandi dopo che viene tolta la conchiglia, mentre le più piccole vengono frantumate vive con la mola, in modo da fargli espellere quel liquido.
Il migliore dell'Asia è quello di Tiro; di Gerba quello dell'Africa, e sulla spiaggia del mare di Getulia; in Laconia quello d'Europa. Di questo sono ornati i fasci e le scuri Romane, e sempre questo dà maestà alla giovinezza. Distingue il senatore dal cavaliere; è utilizzato per placare gli dei, e fa risplendere ogni veste: nei trionfi è mescolato all'oro. Per questo sia scusata la follia della porpora.
Il murice, mollusco della porpora fenicia (Murex brandaris)
Il murice o ragusa, conosciuto dagli amanti della tavola come sconciglio o buccino, è una sorta di grossa lumaca dotata di una conchiglia resistente e, in qualche specie, ornata di spine. Comune in tutto il Mediterraneo, il Murex brandaris è riconoscibile per il caratteristico prolungamento a clava del suo guscio; vive sui fondali fangosi di tutto il mediterraneo, spesso in colonie, dai due agli ottanta metri di profondità. E' facile incontrarne un gran numero di esemplari in prossimità dei pali degli allevamenti di mitili, i quali rappresentano le sue vittime favorite; questi gasteropodi sono infatti carnivori e si cibano oltre che di mitili, anche di ostriche, patelle e pesci morti. Utilizzano come tecnica di attacco, l’inserimento della loro proboscide all’interno dei gusci dei lamellibranchi dopo aver usato il dente labbiale come leva per divaricarne le valve. In alternativa impiegano la radula, la lingua dentata, per un’azione abrasiva su una delle valve della vittima come fanno in genere i naticidi.
L’opercolo è corneo e spesso; la colorazione esterna varia dal giallo al bruno, l’apertura dal giallo all’arancio, il corpo è bruno, talvolta striato di nero. Le dimensioni medie del murice si aggirano attorno ai 6 cm.
Il Murex communis, anch'esso commestibile, presenta nella conchiglia un colore ancora più scuro, fino al bruno rossiccio, però senza il prolungamento a clava e senza spine. Le carni di queste due specie di muricidi sono saporite e molto apprezzate, sebbene leggermente coriacee e vengono utilizzate in particolar modo per fare delle ottime zuppe.
La storia di questi due muricidi è legata a quella dei Fenici che li utilizzavano, insieme al similare Trunculariopsis trunculus (lunghezza 8 cm.) nella produzione del rosso porpora, tanto apprezzato dalle popolazioni antiche, e dai Romani in particolare. Nell’animale di tali molluschi è contenuto un liquido che, in realtà, passa dal colore bianco al verde e poi al violetto; erano necessari migliaia di esemplari di questi univalvi per tingere un solo fazzoletto destinato ai potenti delle corti imperiali, come attestato dai milioni di gusci ritrovati nelle enormi vasche individuate nelle coste, una volta cartaginesi, dell’intero bacino del Mediterranea, inclusa la piccola isola siciliana di Mozia.
I murici, noti anche nelle varie terminologie locali come sconcigli o raguse, in tavola sono particolarmente apprezzati ad Anzio, la famosa cittadina marinara vicino a Roma, nelle coste e nelle isole della Campania e nella riviera del Conero (Sirolo, Numana etc.).