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Home Arte cultura e tempo libero Una passeggiata nell'area di Monte Mario, tra presente e passato. Di Alberto A. Bordi

Una passeggiata nell'area di Monte Mario, tra presente e passato. Di Alberto A. Bordi

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Panoramica su: la riserva  e il forte di Monte Mario, la chiesa della S. Croce, la chiesetta di san Lazzaro, la chiesa di santa Maria del Rosario, il monte Ciocci, il Casale Strozzi, la villa Madama, la villa Mazzanti, la Villa Mellini e l'Osservatorio Astronomico, il Cimitero Militare Francese ed ancora... la sede RAI di via Teulada, la cittadella giudiziaria di piazzale Clodio, la madonnina del Don Orione e l'Hotel Hilton, i fossili di conchiglie marine.

 

Quando ero solo un ragazzino, felice e vivace, nato nell'appartamento all'interno 3 di circonvallazione Clodia, l'intera area ove ora sorge il Tribunale e lo stesso monte Mario erano un'altra cosa. Piazzale Clodio non era un disordinato megaparcheggio ma uno spiazzo enorme ove periodicamente si esibivano perfino i mangiatori di fuoco e di vetro, proprio vicino ad un frequentatissimo chiosco che faceva grattachecche strepitose. Al posto della città giudiziaria c'era il borgo di San Lazzaro ove sorgeva una sorta di favela abitata da persone indigenti, perlopiù senza lavoro. Sempre lì c'era il nostro campo sportivo pieno di sassi e polvere, dove ogni tanto si piazzava qualche compagnia di circensi alla buona; memorabile una gara di pastasciuttari allestita ove ora si dibattono i processi penali.  Insieme al mitico don Peppino una domenica al mese mi toccava partire dalla parrocchia di S. Giuseppe ed andare a servire messa, da chierichetto, nella decadente  chiesetta di san Lazzaro, ove la pioggia si infilava tra i coppi del tetto e finiva sui banchi destinati ai fedeli.  Ricordo come, durante i lavori di costruzione del nuovo Tribunale, fu trovata una strada romana che io ebbi modo di fotografare con una macchina Comet Bencini e come, proprio tra i lastroni di basalto emersi dagli scavi, ebbi la fortuna di trovare una moneta romana dell'epoca augustea che ancora oggi conservo. Altra caratteristica di assoluto rilievo, tra passato e presente, è che ai miei tempi giovanili non esisteva la strada panoramica che ora sale da piazzale Clodio fino alla sommità di monte Mario ed infatti, in quegli anni lontani, quando terminavano le partite di calcio allo stadio Olimpico, la fiumana degli spettatori si riversava, a piedi ed in auto, fin sotto le finestre delle nostre case con un vociare spesso assordante. Prima della celebre Olimpiade del 1960, che  permetteva a noi, alunni delle elementari,  di volare come scimmie tra i tubi innocenti che formavano la struttura portante dei ponti pedonali eretti sulla via Olimpica, non c'era neanche l'hotel Hilton, il lussuoso colosso americano realizzato in posizione scenografica e dominante sulla città eterna.

C'era invece l'Osservatorio astronomico, c'era il bar dello Zodiaco, dove si andava a prendere il gelato guardando il panorama della valle del Tevere dall'alto, c'erano i periodici incendi su monte Mario, c'era la sede Rai di via Teulada dove andavamo a caccia di autografi dei  divi della canzone, da Mina a Claudio Villa, da Celentano ad Edoardo Vianello, c'erano i fossili di conchiglie dell'era pliocenica e ci sono ancora.  Il destino ha voluto che per molto tempo, frequentassi la "zona alta" del monte, in quanto giovane calciatore della Libertas Trionfale, che aveva il suo campo casalingo proprio nel compendio del don Orione e, più tardi, da militare, in quanto destinato periodicamente alla vigilanza su Forti e depositi di armi ubicati nell'area di via Trionfale. Oggi una passeggiata per godere della vista e dell'habitat naturale di monte Mario ha un altro sapore, comunque sempre gradevole, partendo non più da piazzale Clodio, come facevamo noi, prendendo via Golametto (le palazzine bianche),  passando per via Casale degli Strozzi e inerpicandoci sui prati del monte, ma utilizzando l'ingresso di via Teulada.

Ecco gli elementi salienti della nostra passeggiata virtuale da piazzale Clodio fino alla sommità di monte Mario: la riserva di Monte Mario, la sede RAI di via Teulada, il Forte monte Mario, la Chiesa della S. Croce ai Casali Mellini, la chiesetta di san Lazzaro, la chiesa di santa Maria del Rosario, il monte Ciocci, il Casale Strozzi, la villa Madama, la villa Mazzanti, la Villa Mellini e l'Osservatorio Astronomico, il Cimitero Militare Francese, la cittadella giudiziaria di piazzale Clodio, la madonnina del Don Orione e l'Hotel Hilton.

La Riserva monte Mario si estende per circa 204 ettari e rappresenta per le sue caratteristiche ambientali un vero mosaico di diversità biologica ormai raro a Roma. Ad un'ampia presenza della vegetazione tipica mediterranea nelle zone più basse (leccio, sughera e cisto) si contrappone anche quella tipica di condizioni submontane. In tale area si possono incontrare, tra gli altri,  cinghiali, istrici, rospi, farfalle,scoiattoli, serpenti, donnole e volpi. Tra gli uccelli si segnalano la cinciarella, i merli (il nero è il maschio), il codirosso spazzacamino, il fringuello, il greppio, lo storno e il verzellino. A dominare il contesto floreale sono i pini secolari che, a ridosso dell'osservatorio, formano una accogliente pineta, una sorta di bosco pensile da cui si domina Roma e la valle del Tevere sottostante. Attenzione allo stramonio, pianta molto diffusa in tutta la zona, che è velenosa ed allucinogena, appartenente alla famiglia della datura. Il rilievo più importante in tale ambito è Monte Mario con i suoi 139 metri d’altezza, che fa parte dei colli denominati Monti della Farnesina. Una passeggiata/salita sul "monte del mare", dove ancora oggi è possibile reperire con chiglie fossili del pliocene (oltre due milioni di anni fa) quando in quei luoghi era presente il mare, consente di avvicinarsi o rivolgere l'attenzione ad una serie di elementi storici, monumentali e paesaggisticidi sicuro interesse nella storia della città eterna ed in particolare nella vita del quartiere "Della Vittoria", confinante con il quartiere Prati ed il Trionfale.

Se si è in buone condizioni fisiche l'ideale sarebbe entrare nella riserva da via Teulada, in pratica dal giardino dell'Autoparco che in tutta l'area svolge attività di prevenzione e manutenzione. Se si parcheggia nelle vicinanze fare attenzione alla presenza di zingari che stazionano indisturbati nell'area parcheggio damolti anni.

 

La sede Rai in via Teulada

Il Centro di produzione Rai di Via Teulada 66 è uno storico centro di produzione della Rai, composto da 9 studi televisivi. Realizzato su progetto dell'architetto Francesco Berarducci, Venne inaugurato il 19 dicembre 1957. Era inoltre in questo centro che originariamente avevano sede le redazioni e gli studi di tutte le testate giornalistiche televisive della Rai, fino a quando, tra il 1990 e il 1992, furono tutte trasferite nel più grande e moderno Centro di produzione Rai di Saxa Rubra, sempre a Roma. Gli ultimi telegiornali furono prodotti, presso questa sede, il 17 ottobre 1992. Sempre da questi studi, fino al 1990, andavano in onda gli annunci delle signorine buonasera attive a Roma. Successivamente, gli annunci vennero irradiati anch'essi da Saxa Rubra.

Il CPTV di Via Teulada ha la prerogativa di essere stato costruito in modo tale che, qualora in Italia vi sia un problema d'energia elettrica, esso possa essere in grado di agire in completa autonomia; ancora oggi mantiene questa caratteristica.

Forte Monte Mario

Il Forte Monte Mario è uno dei 15 forti di Roma, edificati nel periodo compreso fra gli anni 1877 e 1891. Fu costruito a partire dal 1877 e terminato nel 1882, su una superficie di 8,4 ha, al terzo km di via Trionfale sul Monte Mario, dal quale prende il nome. Fu costruito con un costo di lire 1.112.202. Permetteva il controllo verso il Tevere e la Via Trionfale e rappresentava insieme alla Cinta Fortificata l’avamposto più vicino alle mura di Roma.

Il tracciato del forte è riconducibile a un trapezio isoscele con uno dei due lati obliqui leggermente più lungo dell’altro. Similmente ai forti Aurelia Antica e Appia Antica, presenta un ampio fossato sul fronte di gola sprovvisto di tamburo difensivo. E' dotato di due polveriere ipogee con unico ingresso sul fossato, posto in asse con il ponte levatoio, di un pozzo di acqua sorgiva. Il Forte, impiegato quale comando del Gruppo Specialisti del 3° Reggimento Genio fin dai primi del ‘900 e dopo un uso parziale quale Comando stazione dei Carabinieri, è oggi dismesso. Si conservano gran parte dei serramenti originali, compreso il portone di ingresso mentre il fregio è murato. Si accede al Forte mediante una strada militare alternativa a quella originale chiusa da una recinzione; il ponte levatoio è conservato anche se presenta un generale ammaloramento del solaio di copertura. Le polveriere sono conservate e accessibili. Il Forte è vincolato ai sensi del Codice dei Beni Culturali con D.M. 06/08/2008.

 

Chiesa della S. Croce ai Casali Mellini (o Cappella del S.Crocifisso)

Quel che resta della chiesa della S. Croce,  denominata anche cappella del S. Crocifisso in memoria della celebre visione della croce avuta dall`Imperatore Costantino,  si trova lungo la via Trionfale, presso i Casali Mellini. La chiesina primitiva fu fondata nell`anno giubilare 1350 dal Vescovo di Orvieto Ponzio Perotti, vicario del Papa, in un luogo dall`elevato valore storico e religioso: rappresentava il primo punto di avvistamento della meta agognata dei pellegrini romei, S.Pietro. Nel 1470 l`edificio fu ricostruito dai fratelli Mellini contemporaneamente alla costruzione della loro villa. La particolare devozione alla S. Croce dei membri di questa famiglia si dimostrò negli interventi di ampliamento e decorativi fatti compiere nel 1696 dal Cardinale Mellini, il quale vi fece anche trasferire le spoglie del martire S. Moderato. La chiesa fu costantemente meta di pellegrinaggi di penitenza, in particolare ai tempi dell`epidemia di peste che colpì Roma nella metà del Seicento. L`edificio sacro fu distrutto dal Genio militare tra il 1877 e il 1882 per la realizzazione del forte militare. Oggi si conserva ancora solo la sacrestia che collegava la chiesa al complesso dei Casali, ma le fonti documentarie ci permettono di ricostruire alcuni caratteri: l`ingresso corredato da due scale gemelle, l`interno ad una navata con pareti ornate di stucchi, le numerose iscrizioni inserite nel pavimento provenienti dalle catacombe cristiane e l`epigrafe con l`elogio della Croce.

Nel ‘600 sappiamo che vi officiavano riti religiosi, nei soli giorni festivi, da parte di un sacerdote al cui sostentamento provvedevano i vignaioli della zona. Il luogo è ricordato da un sonetto del Belli del 1835 (Er giuveddì e venardì santo): S’inarbera la croce a Monte Mario./ E lassù ogn’anno, a li tempi pasquali,/ ce s’averebbe da inchiodà un vicario / de Cristo, e accanto a lui du’ Cardinali.

Chiesa di S. Lazzaro ai Lebbrosi

La chiesina, posta lungo la via Trionfale all’interno del Borgo di S. Lazzaro, era l’ultima tappa dei pellegrini che percorrevano la via Francigena diretti verso S. Pietro. Inoltre, i cardinali venivano ad incontrare qui gli ambasciatori stranieri ed i futuri Imperatori del Sacro Romano Impero che giungevano a Roma per essere incoronati. Si ricordano ad esempio le soste di Imperatori come Carlo V di Boemia (1355) e Federico III d’Austria (1452), e di ambasciatori quali Erasmo Vitelli (1501) del Granducato di Lituania, nonché della rappresentanza giapponese nel 1615. La Cappella, dedicata in origine a S. Maria Maddalena, viene ritenuta da alcuni anteriore al XII secolo, anche se la prima notizia ufficiale si trova nell’Ordo Romanus di Gregorio X (1271-1276), dove è menzionata in relazione alla cerimonia di incoronazione del Pontefice. La mutazione della titolazione in S. Lazzaro avvenne a seguito della trasformazione (XV sec.) in lebbrosario per i pellegrini di una locanda adiacente la chiesa, per espressa volontà testamentaria del proprietario. In occasione dei pellegrinaggi, infatti, i custodi sanitari venivano incaricati di individuare i pellegrini affetti da lebbra che venivano trattenuti nella zona di S. Lazzaro. Nella seconda metà del XVI secolo la chiesa, divenuta Parrocchia, fu sede della Confraternita dei Vignaioli, abitanti del borgo, i quali vi portarono in dono una pala d’altare rappresentante Maria Maddalena.

La chiesa romanica, sita per la precisione in Borgo S.Lazzaro 17, anche conosciuta come San Lazzaro dei lebbrosi o San Lazzaro in Borgo, è sede dell'omonima rettoria appartenente alla parrocchia di San Giuseppe al Trionfale.

Databile quindi intorno al XII secolo, esternamente si presenta in forme molto semplici, con una facciata a capanna ove sono inseriti un portale con cornice marmorea sormontato dallo stemma del Capitolo di san Pietro, un rosone e due finestre monofore. Sul tetto vi è un semplice campanile a vela. All'interno la chiesa si presenta a pianta basilicale con tre piccole navate, separate tra loro da sei colonne (tre per parte), provenienti da edifici di epoca romana. Le pareti sono a pietre e mattoni a vista ed il tetto è a capriate. Presso l'altare maggiore si conservano tracce di affresco raffigurante Dio Padre, con la scritta “Salvator mundi salva nos”. Nel pavimento si conservano quattro sepolture. A fianco dell'altare maggiore una lapide ricorda il restauro o rifacimento della chiesa dopo il sacco dei Lanzichenecchi, ad opera del sacerdote francese Domenico Garrison nel 1536. Un altare laterale conserva un quadro raffigurante Santa Maria Maddalena, donato alla chiesa dalla confraternita dei vignaioli nel XVI secolo.

Il lazzaretto e la chiesa furono alle dipendenze del Capitolo di S. Pietro sino al 1645, quando il primo fu annesso alle proprietà dell’Ospedale di S. Spirito in Sassia, condizione che perdurò sino al 1937 quando, caduto in abbandono, crollò; al suo posto oggi si trova il parcheggio del palazzo dei tribunali. Oggi, a seguito dell’apertura della via Olimpica e della edificazione della città giudiziaria, la chiesina, finalmente restaurata e quel che resta del borgo si trovano stretti tra gli edifici moderni, perdendo parte del loro antico carattere e rimanendo sconosciuti ai più. E' considerata la chiesetta dei magistrati e degli avvocati, che quotidianamente frequentano la città giudiziaria.

 

Chiesa di S. Maria del Rosario

La chiesa svetta con la sua articolare fisionomia sul colle di Monte Mario, lungo la via Trionfale. L’edificio primitivo si deve all’umanista romano G.V. Rossi, segretario del Cardinale Andrea Peretti, che aveva preso dimora a Monte Mario per dedicarsi ai suoi studi. Mosso a compassione per la condizione degli abitanti del luogo, privi di un’assistenza spirituale ed afflitti dalla malaria, lo studioso fece erigere una cappella dedicata alla Madonna del Rosario e della Febbre. Alla sua morte (1647), per volontà testamentaria, l’edificio fu lasciato ai Padri Gerolamini per fondarvi una comunità religiosa; la nuova chiesa fu progettata da Camillo Arcucci (1651), allievo del Borromini, e la sua costruzione si protrasse a lungo. Fu completata da Filippo Raguzzini (1724- 1726) su incarico della Congregazione Domenicana di S. Marco a Firenze, che dal 1710, per volontà di Clemente XI, ebbe assegnato l’oratorio. Nel 1798 la chiesa fu danneggiata dalle truppe francesi che si erano accampate nella vicina villa Mellini; restaurata nel 1828 per essere elevata a rango di Parrocchia, perdette successivamente l’ufficio (1904) a favore della nuova e più grande chiesa costruita in Prati. Dal 1931 è passata in assegnazione alle Suore Domenicane di clausura dei SS. Domenico e Sisto a Magnanapoli, trasferitesi nel convento adiacente la chiesa, ampliato e restaurato.

Le suore vi portarono un’icona bizantina della Vergine (VII sec.) detta “Madonna di S. Luca”, in quanto la tradizione vuole sia stata dipinta miracolosamente dal Santo. Si tratta della più antica delle immagini della Madonna attribuite a S. Luca a Roma, collocata nel presbiterio della chiesa; una copia dell’immagine guarda verso i fedeli, mentre l’originale è rivolto verso il coro delle monache e viene mostrata solo su richiesta. Alla chiesa si accede da una scalinata a doppia rampa realizzata nel 1838. La facciata è sovrastata da una cupola rivestita in piombo sormontata da una pesante lanterna ed affiancata da un piccolo campanile. All’interno sono quattro cappelle decorate con stucchi. Tra i dipinti di rilievo: la Madonna con Bambino, opera di Antoniazzo da Romano (XV sec.), San Domenico e Santa Caterina da Siena di Michelangelo Cerruti (XVII sec.), il Transito di S. Giuseppe di Biagio Puccini (1710). Nel 1911 sul fronte della rampa d’ingresso alla chiesa è stata apposta una lapide in ricordo del soggiorno (1863-1868) del celebre musicista ungherese Franz Listz che qui compose alcune delle sue opere: Christus, Santa Elisabetta, San Francesco predica agli uccelli.  La chiesa è sormontata da una cupola ed affiancata da un piccolo campanile

 

Monte Ciocci e Casale Ciocci

Siamo nella cosiddetta valle dell’Inferno, in uno degli sproni di Monte Mario, una collina posseduta negli anni a cavallo tra Otto e Novecento dalla famiglia Ciocci, cui la proprietà della pervenuta quale dono di Pio IX a Francesco Ciocci per i suoi meriti di architetto pontificio. Quest'area è miracolosamente rimasta indenne dall’urbanizzazione degli anni Settanta e Ottanta ed in parte anche dai morsi delle cave di argilla che, nello spazio di un secolo, hanno consumato la collina per fornire la materia prima alle fornaci disseminate lungo la valle sottostante, che deve il nome – Inferno – proprio a quei forni roventi nei quali l’argilla si trasformava in mattoni. Intorno al 1910 i Ciocci decisero di vendere la loro “vigna”; un po’ per l’avanzare delle cave, un po’ per il mutare delle abitudini delle famiglie borghesi romane che inducevano a “villeggiature” ormai solo saltuarie. L’evento pose la parola fine all’amena funzione di villa suburbana e da quel momento furono solo decadenza ed oblio. Il casale avrebbe conosciuto il massimo degrado negli anni Sessanta quando nei suoi paraggi era sorto perfino un borghetto di baracche; una situazione precaria al punto da essere apparsa ad Ettore Scola un set ideale per il film “Brutti, sporchi e cattivi”.

Casali Strozzi

Nelle splendide vedute che artisti di ogni tempo hanno dedicato a Monte Mario, oltre alle celebri ville Madama e Mellini, alle pendici del colle si trovano rappresentati i Casali Strozzi, di proprietà della storica famiglia toscana che si era insediata a Roma alla metà del XVI sec. Gli Strozzi, avendo acquisito in quest’area ampie proprietà con vigne e casini, commissionarono a Giacomo del Duca, scultore ed architetto di origine siciliana già allievo di Michelangelo, il progetto per la realizzazione di una residenza signorile che comprendeva diversi edifici di cui ora rimangono i due casali adiacenti. Dei due edifici, disposti lungo il tracciato medievale della via Francigena, il primo (seconda metà del XVI sec.), interamente attribuibile a Giacomo del Duca, ha un aspetto monumentale con prospetto principale realizzato in “falsa cortina” ornato da eleganti lesene, ed all’interno alcuni ambienti affrescati con scene mitologiche.

Il secondo invece, è un edificio preesistente, risalente alla fine del XV sec., come dimostra l’impiego della tecnica della decorazione graffita “a punta di diamante”, che fu ampliato probabilmente con la realizzazione della villa. Malgrado la residenza abbia un particolare valore, in quanto costituisce l’unica villa superstite a Roma opera di Giacomo del Duca, oltre l’intervento degli Orti Farnesiani, i due casali oggi si trovano assediati dallo spazio intensamente urbanizzato di piazzale Clodio, divisi inoltre dalla moderna strada panoramica. La proprietà è dell'Agenzia del Demanio che nel 2016 aveva stipulato una convenzione con il Corpo Forestale dello Stato affinchè utilizzasse tali beni per il conseguimento dei suoi fini istituzionali, ma l'accordo è durato il tempo di una cerimonia ed ora gli edifici sono meta di sbandati e di persone senza fissa dimora. Soltanto il Comitato "Trionfalmente 17" sta tentando di togliere queste preziose strutture storiche dall'oblio e dal degrado.

Villa Madama

Villa Madama è una villa suburbana di Roma situata sulle pendici di Monte Mario, sul lato destro del Tevere nelle vicinanze del Foro Italico, nel Municipio XVII. Viene usata come sede di rappresentanza dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Italiana.

I lavori per la sua costruzione cominciarono nel 1518, sotto il papato di Leone X (Giovanni di Lorenzo de' Medici), per volere del cugino cardinale Giulio de' Medici. Nel periodo successivo al Medioevo, infatti, la nuova società romana usciva dai palazzi oscuri e fortificati entro le mura, per godere di sereni soggiorni nelle ville di campagna. In quegli anni, suscitò molto clamore il fasto e l'eleganza della villa, detta in seguito la "Farnesina", voluta dal banchiere Agostino Chigi e realizzata da Baldassarre Peruzzi a via della Lungara. Anche il futuro Papa, pertanto, volle commissionare l'edificazione di una villa di campagna su di uno sperone alle pendici di Monte Mario.

A tal proposito incaricò Raffaello Sanzio di eseguire il progetto, e Antonio da Sangallo il Giovane (aiuto di Raffaello nel cantiere di San Pietro) di occuparsi dell'esecuzione dei lavori. I lavori subirono un rallentamento per la prematura morte di Raffaello avvenuta nel 1520 all'età di 37 anni ma ripresero e furono terminati per la parte edilizia (1524-1525) dopo l'elezione di Giulio che divenne il secondo papa della famiglia Medici col nome di Clemente VII (1523). Nei lavori fu impegnato un formidabile gruppo di artisti. Oltre ad Antonio da Sangallo, furono presenti in cantiere Giulio Romano, erede della bottega di Raffaello, che si dedicò alle decorazioni insieme a Baldassarre Peruzzi e Giovan Francesco Penni. Giovanni da Udine si occupò degli stucchi e Baccio Bandinelli delle sculture.

La realizzazione definitiva del progetto, tuttavia, fu irrimediabilmente compromessa dalle vicissitudini che visse lo stato Pontificio sotto il papato di Clemente VII. Nel 1527, infatti, il sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi di Carlo V, con la complicità della famiglia Colonna, e il conseguente accordo tra il papa e l'imperatore tolsero qualsiasi priorità alla realizzazione dell'ambizioso progetto di Raffaello. Durante questo tragico episodio della storia romana la villa fu saccheggiata e data alle fiamme. Il Vasari racconta che il papa pianse vedendola bruciare dal suo rifugio di Castel Sant'Angelo.

In effetti, il progetto originario era maestoso e complesso e coinvolgeva un'ampia estensione di terreno che sarebbe dovuto degradare con una successione di terrazzi, prospettive rinascimentali e giardini all'italiana fino alle rive del Tevere. Per la realizzazione delle strutture contraffortate fu anche chiesta la collaborazione di Antonio da Sangallo il Vecchio, noto per le sue capacità tecniche nelle fortificazioni.

Dopo la morte di Clemente VII la villa rimase proprietà della famiglia Medici: appartenne dapprima al cardinale Ippolito de' Medici e poi ad Alessandro de' Medici, duca di Firenze, il quale sposò Margherita d'Austria – figlia naturale dell'imperatore Carlo V – al cui appellativo di "Madama" si deve il nome della villa, così come del Palazzo Madama (sede del Senato della Repubblica) e della cittadina di Castel Madama, presso Tivoli. Alla morte di Alessandro, Margherita, rimasta vedova a 15 anni, sposò Ottavio Farnese, duca di Parma e Piacenza e nipote di papa Paolo III.

Alla morte di Margherita la villa passò agli eredi della famiglia Farnese, duchi di Parma e Piacenza, avviandosi ad un lento e progressivo abbandono. Estinta la famiglia Farnese, la villa continuò il suo decadimento passando in eredità al re di Napoli Carlo di Borbone, che la lasciò degradare a proprietà agricola, appannaggio della corona, e spogliare di ogni decorazione artistica. Nel corso dell'Ottocento e i primi del Novecento la villa finì in rovina, venendo adibita a fienile, magazzino agricolo e finanche ad alloggiamento di truppe.

Nel 1913 fu acquistata da Maurice Bergès, un ingegnere di Tolosa, che incaricò del restauro Marcello Piacentini. Nel 1925 fu acquistata dalla ereditiera americana Dorothy Chadwell Taylor, contessa Dentice di Frasso che, in tre anni, completò il progetto di restauro. All'intervento di Piacentini è dovuta la costruzione del secondo piano che la famiglia di Frasso volle il più possibile in armonia con il progetto originario. Su disegno del padre, Pio Piacentini, ispirato probabilmente dai lavori di Bramante a San Pietro e di Antonio da Sangallo il Giovane a Caprarola, Piacentini realizzò la scala elicoidale in travertino in stile rinascimentale che conduce al piano nobile. In epoca moderna furono, altresì, chiuse le arcate della Loggia con ampie vetrate al fine di proteggere le decorazioni delle volte dalle intemperie.

Dorothy e il marito, il conte Carlo Dentice di Frasso, l'arredarono sontuosamente. Ospite della contessa fu anche il giovane attore Gary Cooper. Dorothy dispose la donazione della villa alla persona del Capo del Governo italiano del tempo, Benito Mussolini, il quale immediatamente (1941) la devolse a favore dello Stato, come fu testimoniato da iscrizione in apposita lapide affissa all'interno per oltre 20 anni (permaneva nel 1962, e fu registrata durante restauri del tempo, da parte del Genio Civile di Roma). Attrezzata dallo Stato per i ricevimenti ufficiali, fino agli anni '60 del XX secolo custodiva servizi di porcellane finissime e bicchieri di vetro prezioso, tutto con l'emblema ufficiale dello Stato, includente la corona ed i fasci - servizi certamente alienati, per fare luogo a meno compromettenti oggetti, per gli ospiti internazionali successivi.

Nel secondo dopoguerra, dopo breve disponibilità della Presidenza del Consiglio dei ministri, che vi svolse alcune riunioni, almeno fino al Governo Scelba, fu data in carico al non lontano Ministero degli Esteri, che tuttora la cura e detiene. Nel 2004 l'arredatore italiano Giorgio Pes è stato incaricato dal Ministero di effettuare interventi di decorazione ed arredo dell'interno e in parte degli esterni. Il Ministero degli Esteri utilizza Villa Madama come sede di rappresentanza per ospitare ricevimenti diplomatici, conferenze, convegni o altre attività istituzionali. Il Casale di Villa Madama, che si trova nello stesso comprensorio della Villa, ospita l'Istituto diplomatico "Mario Toscano" dello stesso Ministero.

Il giardino all'Italiana con la Loggia di Raffaello. Villa Madama fu una delle ville suburbane sul modello delle ville romane, progettate per svolgervi feste, costruita nel XVI secolo a Roma. Fu ideata con l'intenzione di rivaleggiare con le ville dell'antichità, come quella di Plinio il Giovane, e con le ville contemporanee come quella della Farnesina. Anche se il progetto non fu portato completamente a termine, con la sua loggia di sicura matrice raffaelliana e il giardino pensile, la villa fu una delle più famose ed imitate del Rinascimento.

La loggia di Raffaello è costituita da tre arcate a tutto sesto che si affacciano sul giardino all'italiana. All'interno, le alte campate, che emulano ed esaltano l'architettura delle terme romane, sono rappresentate ai due lati da volte a crociera e quella centrale da una cupola circolare tutte interamente e straordinariamente decorate dagli stucchi di Giovanni da Udine e dalle pitture di Giulio Romano. Ovunque sono visibili le grottesche che i due artisti utilizzarono dopo averle riscoperte negli scavi della Domus Aurea.

Villa Madama è presente in una bella incisione di Giuseppe Vasi del 1761. Oltre alla loggia, l'elemento artistico rilevante è il salone con il soffitto a volta, anch'esso magnificamente decorato da Giulio Romano. Di pregevole fattura risultano gli stucchi bianchi del vestibolo d'ingresso datati 1525 e firmati da Giovanni da Udine. I pavimenti sono ovunque in cotto e marmi policromi antichi.

Nel cortile, impreziosito da una scalinata monumentale, è presente una corte circolare attorno alla quale si organizza un giardino all'italiana, un anfiteatro all'aperto scavato nel lato della collina, ed una terrazza, con il panorama sul Tevere.

Nel giardino all'italiana, di fronte alla loggia, possiamo vedere la Fontana dell'elefante che commemora l'elefante indiano "Annone", condotto a Roma dall'ambasciatore del Portogallo per la consacrazione di Leone X nel 1514. Un'altra fontana, persa nel tempo ma di cui Giorgio Vasari ci fornisce un'accurata descrizione, era una fonte rustica con grande testa di leone che alludeva a Leone X e che era collocata sul monte. Sotto al giardino pensile insiste una peschiera. Ai lati dell'ingresso, che dalla terrazza introduce al giardino rustico, si trovano due giganti in stucco opera di Baccio Bandinelli.

 

Villa Mazzanti

Realizzato nella seconda metà del XIX secolo su un terreno già di proprietà della famiglia Barberini, il complesso di Villa Mazzanti occupa il versante orientale della collina di Monte Mario, in una posizione dominante rispetto al Tevere. Il proprietario fu Luigi Mazzanti, un costruttore edile che apparteneva alla ricca borghesia emergente, al cui interno si diffuse il costume di costruire le proprie dimore in luoghi di particolare suggestione ad imitazione delle ville storiche nobiliari. Il complesso si compone dell’edificio della Villa e di un Giardino di particolare pregio che si estende per circa quattro ettari. L’architettura della villa è uno degli esempi dello stile eclettico che si affermò a partire dal 1870, dove suggestioni cinquecentesche e classiche si accostano ad elementi esotici e fantasiosi per soddisfare il gusto del committente. L’edificio, di modeste dimensioni, si caratterizza per la presenza di una loggia corredata da due terrazze laterali che offrono una suggestiva vista sulla città.

La loggia è definita da sei colonne realizzate in cotto su cui poggiano capitelli corinzi che richiamano i modelli classici in marmo; l’ambiente interno è ornato da una ricca decorazione pittorica che riproduce una serra a struttura metallica contenente diverse varietà di piante mediterranee ed esotiche fra le quali il banano, la chenzia, l’agave, l’edera, il filodendro, mentre altri elementi vegetali potrebbero essere fantastici. L’esterno della villa è ornato da una ricca decorazione policroma: oltre al caratteristico intonaco a “finto bugnato” sono rappresentate figure allegoriche e scene pastorali inserite in tondi e riquadri e motivi di nastri e frutta con funzione di spartipiano. Il giardino di villa Mazzanti in origine si estendeva sino alla zona pianeggiante prossima al Tevere, caratterizzata da un “giardino all’italiana” destinato ad orto, frutteto, vivaio di piante ornamentali, che andò distrutto con la costruzione della viabilità attuale. Diversamente, la zona ancora fruibile del Parco è un prezioso esempio di “giardino all’inglese” dove gli elementi naturali ed artificiali si accostano creando paesaggi “pittoreschi”.

L’area verde è costituita da un bosco di piante prevalentemente mediterranee attraversato da un percorso tortuoso a serpentina di sedici tornanti, che si arrampica lungo le pendici del colle. Al termine della salita è sistemato un laghetto artificiale con al centro un isolotto in scogliera di tufo, ornato da una graziosa casetta rustica che richiama il modello delle capanne montane nord-europee. Il laghetto fungeva da serbatoio di alimentazione di un sistema di giochi d’acqua composto da sedici fontane disposte lungo i tornanti del vialetto, chiuso a valle da una sorta di “casina dei giochi”, oggi diroccata. Di proprietà comunale a seguito dell’esproprio compiuto nel 1967, la villa, restaurata nel corso degli anni ‘90, dal 1998 ospita la sede dell’Ente Regionale RomaNatura.

 

 

Villa Mellini e Osservatorio Astronomico

Villa Mellini, situata in posizione panoramica sul colle di Monte Mario, è una delle poche ville quattrocentesche superstiti a Roma. Le origini della villa risalgono al XV secolo, quando, Mario Mellini, cancelliere perpetuo del Comune, fece edificare una dimora suburbana per la sua famiglia. Non si conosce l’aspetto originario della residenza cui era annesso un vasto parco con viali alberati, poiché nel corso dei secoli ha subito numerosi rifacimenti; restano però le testimonianze storiche di osservatori come il Venuti, che verso la metà del ‘700 la descrive come bellissima, ed il Mancini, che nei primi decenni del XVII secolo sottolinea la presenza di pregevoli pitture. Preziose anche le rappresentazioni di G.Vasi (XVIII sec.) e del disegnatore francese N.D. Boguet (XIX sec.) che rilevano l’importanza che il complesso rivestì a lungo. Nel 1788, con la morte di Giulia Mellini (ultima erede della casata) che aveva sposato Mario Falconieri, la villa passò in eredità alla famiglia Falconieri, assumendone il nome. A quest’epoca risale il bel portale che ancora oggi si conserva lungo la via Trionfale. Tra gli ospiti illustri la villa accolse il pittore Philip Hackert, che durante il suo soggiorno dipinse una pregevole veduta di Roma dedicata a Papa Pio VI, su richiesta di Giulia Falconeri. Ancora, numerosi scrittori come W. Goethe, Stendhal, H. James amarono passeggiare nel parco Melllini descrivendone le bellezze naturali, tra le quali il celebre pino di Monte Mario che ispirò il sonetto di W.Wordsworth intitolato The pine of Monte Mario at Rome. Alla fine del XIX secolo, Villa Mellini divenne sede della Sezione Fotografica del Regio Esercito Italiano e fu teatro dei primi esperimenti di volo e foto-topografia aerea. Nell’area furono costruiti la Torre del Primo Meridiano d’Italia ed il Forte di Monte Mario, e l’edificio fu utilizzato sino agli anni Trenta come sede militare. Di questo periodo rimangono alcune decorazioni pittoriche: il soffitto di un piccolo ambiente al primo piano è affrescato da T. Sordini con raffigurazioni allegoriche ed una veduta della villa in cui appare un dirigibile; nel salone centrale del secondo piano, invece, si trovano alcuni dipinti a soggetto aviatorio opera di G. Boscarino che fu di stanza a Villa Mellini durante il servizio militare. Dal 1935, a seguito della chiusura degli Osservatori del Campidoglio e del Collegio Romano, l’edificio è divenuto sede dell’Osservatorio Astronomico di Monte Mario e del Museo Astronomico Copernicano.

L’Osservatorio è dotato di due cupole principali dove sono alloggiati gli equatoriali per l’osservazione degli astri, e di una Torre Solare che contiene un celostato (strumento a specchi per seguire il sole nel suo moto diurno), con il quale si effettuano studi di fisica solare. Il museo comprende una collezione di strumenti d’epoca: astrolabi (tra cui il prezioso Albion), cannocchiali, sestanti, libri (tra cui la prima edizione dell’opera di Copernico del 1543).

Di fronte ad un panorama suggestivo della città eterna, una lastra epigrafata attira l’attenzione dell’osservatore. Lì è riportata una frase di Marziale: HINC SEPTEM DOMINOS VIDERE MONTIS ET TOTAM LICET AESTIMARE ROMAM ALBANOS QUOQUE TUSCOLANOSQUE COLLES ET QUODCUMQUE IACET SUB URBE FRIGUS FIDENAS VETERES BREVESQUE RUBRAS, “Da qui è possibile vedere i sette colli signori del mondo e abbracciare tutta Roma, i colli Albani e quelli Tuscolani e tutti i giardini alle porte della città, l’antica Fidene, la piccola Rubra". Un sedile affiancato all'iscrizione, attira quanti, ammirati, si concedono una sosta davanti a questo spettacolo unico.

I Forti Trionfale, Monte Mario, Braschi, Bravetta

Progetto di cinta difensiva – Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio Quando nel 1870 Roma divenne Capitale d’Italia, si cominciarono a valutare varie proposte di fortificazione della città. Nell’agosto del 1877 l’incerto clima politico internazionale portò all’approvazione del Regio Decreto con cui si deliberava la difesa della Capitale per mezzo di un campo trincerato di forma poligonale, con forti posizionati a ridosso delle principali vie d’accesso alla città e nei punti più strategici per tenere sotto controllo ogni possibile avanzata nemica, soprattutto a seguito di uno sbarco sul litorale tirrenico. Il poligono, una volta ultimato, raggiungerà un’ampiezza di circa 40 chilometri. I primi forti ad essere costruiti furono quelli a destra del fiume Tevere, successivamente con un ulteriore finanziamento si procedette all’edificazione di quelli sul lato sinistro. I costi per la realizzazione del campo trincerato furono ingenti, non solo per i lavori di edificazione, ma soprattutto per gli espropri di proprietà private a volte di altissimo pregio. Il Forte Monte Mario, che indica con il nome l’altura su cui si trova, fu il primo ad essere costruito. La sua edificazione iniziò nel 1877 e terminò nel 1882. La rilevanza di questo forte è il collegamento più diretto con le mura vaticane distanti solamente 2 chilometri e con la Porta Angelica distante circa 1,6 chilometri. Situato a 146 metri sul livello del mare, la sua posizione permetteva un controllo ottimale delle alture circostanti. Nella sua area passa il Primo Meridiano Nazionale, non più usato nella cartografia contemporanea, adottato dal 1870 al 1960 nella maggior parte delle mappe d’Italia come Meridiano di Longitudine 0°. Attualmente il forte è in concessione al Ministero della Difesa – Ramo Esercito, ed è in parte sede del 3° Reggimento Trasmissioni e in parte in consegna all’8° Reparto Genio Infrastrutture. Il forte è situato nel XVII Municipio e con i suoi 8,4 ettari ricade all’interno della Riserva Naturale Monte Mario. Il Forte Braschi deve questo nome al fatto che l’area sulla quale fu realizzato apparteneva al Cardinale Braschi. Fu edificato a cavallo della attuale via della Pineta Sacchetti e dell’acquedotto, che vennero leggermente deviati. Distante circa 2 chilometri dalle mura vaticane garantiva la difesa dell’area a nord-ovest della capitale, attuando il tiro incrociato con i forti limitrofi. La sua edificazione iniziò nel 1877 e terminò nel 1881. Con i suoi 8,2 ettari il forte è confinante con il Parco Regionale Urbano Pineto (XIX Municipio) e oggi è sede del R.U.D. – Raggruppamento Unità Difesa. Il Forte Trionfale fu realizzato lungo la via omonima, la quale fu deviata per permetterne la costruzione. In posizione più avanzata del Forte Monte Mario, assicurava la difesa di un ampio tratto di territorio incrociando il tiro con il Forte Braschi. Esso, pur trovandosi sulla riva destra del Tevere, fu edificato nella seconda fase della costruzione del campo trincerato. I lavori per la sua costruzione durarono 6 anni, dal 1882 al 1888. Situato nel territorio del XIX Municipio, in prossimità del Parco Regionale Urbano Pineto e della Riserva Naturale Insugherata, ricopre con la zona verde che lo circonda una superficie di 21 ettari. Attualmente in concessione al Ministero della Difesa – Ramo Esercito, è sede del 3° Reggimento Trasmissioni. Il Forte Bravetta fu edificato negli anni 1877-1883 vicino alla ex-tenuta da cui prende il nome. Con un’estensione di 10,6 ettari, ricade all’interno della Riserva Naturale Valle dei Casali nel XVI Municipio. Durante l’occupazione tedesca della città il forte fu adibito a luogo di esecuzione delle sentenze di morte emesse dal Tribunale Militare. Simbolo della Resistenza romana, nel mese di settembre 2009 in questo luogo è stato inaugurato il “Parco dei Martiri” consacrato alle vittime del nazifascismo. Recentemente è nato un comitato promotore per il riutilizzo degli spazi del forte.

 

Cimitero Militare Francese a Monte Mario

Nel cuore della Riserva naturale di Monte Mario, raggiungibile da via della Camilluccia, si estende il Cimitero Militare Francese, destinato a contenere le salme dei caduti francesi durante la Campagna d’Italia della Seconda Guerra Mondiale.

Arroccato in cima alla collina di Monte Mario, sulla riva destra del Tevere, domina la Città Eterna da quasi 75 anni. Luogo relativamente sconosciuto ai romani, altamente simbolico per la Francia, sulle alture della capitale italiana, in via dei Casali di Santo Spirito, il Cimitero ha già ospitato in passato le commemorazioni dell'11 novembre che ricordano la fine della Prima Guerra mondiale. Costruito e inaugurato dal governo italiano alla fine della Seconda Guerra mondiale, il Cimitero militare francese rende omaggio ai soldati che hanno combattuto contro il regime nazista durante la Campagna d'Italia, tra novembre 1943 e luglio 1944. Il Cimitero contiene le tombe del Corpo di spedizione francese in Italia (Cefi), un gruppo di quattro divisioni militari guidate dal generale Alphonse Juin, che si distinse particolarmente durante la battaglia di Monte Cassino nel maggio 1944.

Un omaggio all'esercito coloniale francese. Dei 6.200 soldati uccisi durante la battaglia di Montecassino, due terzi erano del Maghreb, secondo le cifre fornite dal giornalista libanese René Laba per la testata Madaniya. Il corpo di spedizione francese era infatti composto principalmente da soldati dell'esercito africano, in particolare del Marocco e della Tunisia.

Dei 1.888 soldati sepolti oggi nel cimitero militare francese di Roma, 1.142 sono musulmani, riconoscibili dalla mezzaluna islamica incisa su ogni lapide. Tra le vittime sepolte c'è un gran numero di "Goumiers", soldati di nazionalità marocchina che furono chiamati a combattere nelle truppe francesi per circa 50 anni.

La cittadella giudiziaria di piazzale Clodio

Composto da 3 edifici a pianta rettangolare, la Città Giudiziaria si sviluppa su una superficie di 10 ettari in una zona residenziale ai margini del quartiere delle Vittorie. Nel 1957 il comune di Roma decise di bandire un concorso per costruire la nuova città giudiziaria a piazzale Clodio, dal momento che i precedenti uffici, che al tempo erano distribuiti tra il palazzo di Giustizia a Piazza Cavour, palazzo Clarelli a via Giulia e palazzo Nardini a via del Governo Vecchio, non erano in grado di rispondere alle esigenze della vita giudiziaria della capitale. I lavori di realizzazione, iniziati nel 1961, furono interrotti per problemi alle fondazioni, e  ripresero due anni più tardi, nel 1963. Gli edifici che costituiscono il complesso, alti tra i 5 e i 6 piani,  sono collegati tra loro da una piastra a due livelli che emerge dalla quota della piazza e che è stata destinata allo smistamento del traffico automobilistico e pedonale.

Su di essa un’articolazione  di strutture portanti,di  rampe,  di diaframmi e di dislivelli, determina  la formazione di una sequenza di spazi micro-urbani tanto che, nel suo saggio “Continuità evoluzione architettura”, Manfredi Nicoletti parla appunto di una “architettura-città”.

l Palazzo di Giustizia di Piazzale Clodio è un complesso eterogeneo e amorfo di edifici, costruiti per mera addizione nel corso di cinquant'anni. Il primo nucleo fu costruito tra il 1958 e il 1969, su progetto di un gruppo guidato da Giuseppe Perugini

Spesso tale struttura giudiziaria è stata nominata "il porto delle nebbie", un vero e proprio labirinto, con scale interne, cunicoli e spazi poco esplorati che si prestano a facili nascondigli e ad improvvise imboscate. I corridoi interni bui, pavimentati con sampietrini, dovrebbero rappresentare, secondo il  progettista, la vicinanza della Giustizia alla vita vissuta, ai camminamenti ed ai comportamenti quotidiani. La mancanza di grandi finestre aperte sull’esterno, ma con sottili prese di luce, specie di feritoie, obbliga a tenere lampade accese a mezzogiorno. L’ambiente cupo e tenebroso ricorda la descrizione del “tribunale” di Ugo Betti nel suo dramma: “Corruzione al Palazzo di Giustizia”; rappresentata per la prima volta nel 1949.

Nei primi anni 2000 si avviarono i lavori di costruzione della nuova sede della Corte d’Appello di Roma. Opera, progettata dall’Arch. Paolo Cuccioletta, e appaltata alla Italiana Costruzioni dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. La costruzione, con un tetto a cupola in vetri (mirabile intenzione, rimasta però solo sulla carta, di rendere luminoso e chiaro un luogo spesso buio e opaco, ha lo scopo di dotare il tribunale di una struttura in grado di accogliere gli uffici e le aule della Corte di appello penale. L’accesso all’edificio avviene da Via Antonio Varisco, attraverso un’ampia scalinata che conduce ad uno spazio centrale coperto da una cupola vetrata.

 

La madonnina del Don Orione

La “Madonnina”, a due passi dal centro dei ragazzi, orfani o mutilati, del Don Orione, è una statua alta 9 metri elevata su un piedistallo di 18 metri, che rappresenta con i suoi 27 metri complessivi, uno dei simboli della storia recente di Roma. Fu collocata sul colle di Monte Mario come compimento di un voto popolare durante la Seconda Guerra mondiale, promosso dagli Orionini e incoraggiato da Pio XII, per il quale si raccolsero oltre un milione di firme. La liberazione di Roma avvenne il 4 giugno 1944 quando, tra lo stupore di tutti, l’esercito tedesco lasciò la capitale incrociandosi con l’esercito alleato che vi entrava, senza alcuna forma di violenza. I documenti storici documentano quanto è avvenuto, ma la modalità con cui avvenne la liberazione, rapida e pacifica, fece pensare a una speciale protezione di Maria.

A compimento del voto, nel 1953, fu posta sul colle di Monte Mario la bella statua della Madonna “Salus Populi Romani”, opera dello scultore ebreo Arrigo Minerbi, protetto e salvato dalla comunità orionina del Quartiere Appio. È divenuta tradizione cara ai romani festeggiare e ringraziare la Madonnina proprio il 4 giugno di ogni anno, anniversario della liberazione della Città avvenuta nel 1944.

 

Hotel Hilton, ora Waldorf Astoria Hotel

L'imponente albergo di via Cadlolo 101 fu inaugurato in una tiepida sera del 19 giugno 1963, a pochi giorni dalla scomparsa di Giovanni XXIII, con il Vaticano senza Papa (Paolo VI fu eletto due giorni dopo). Non mancarono, anche alla moderata festa per l'inaugurazione, le polemiche degli ambientalisti che vedevano nel colosso sopra monte Mario una «ferita» nel verde della collina romana. Una polemica iniziata subito, dal 1954, quando la società Hilton firmò l'accordo con la Generale Immobiliare per realizzare l'albergo in un'area destinata a verde pubblico, dove era previsto un piazzale panoramico modello Gianicolo. Una costruzione dibattuta anche in tribunale con numerosi processi fra la Società Generale Immobiliare e i giornali, che si concluse - tuttavia - con la costruzione dell'hotel in soli tre anni (1960 - 1963) e il risultato secondo l'urbanista Italo Insolera «è stato in realtà ancora peggiore di quanto si poteva prevedere».

Progettato dagli architetti Ugo Luccichenti, Emilio Pifferi e Alberto Ressa, l'hotel ebbe la collaborazione di Pier Luigi Nervi per i calcoli del cemento, che di fronte alle polemiche preferì restare defilato. Si chiamò Cavalieri in omaggio ai viaggiatori a cavallo del passato che, percorsa la via Francigena, alle porte della città eterna erano soliti fermarsi qui a riposare prima di arrivare a San Pietro.

La catena Hilton, con oltre 1 milione di stanze in tutto il pianeta, è la prima società alberghiera al mondo, con strutture di alto profilo in 113 Paesi, con oltre 5.700 proprietà e una nuova apertura ogni giorno. Gli alberghi della catena Hilton sono stati i primi a introdurre la Tv in camera, i primi ad informatizzarsi (anche con prenotazione computerizzata), i primi a prevedere gadget per gli ospiti.

Nel 1927 gli alberghi Hilton furono i primi a offrire acqua corrente e aria condizionata nelle zone pubbliche.L'albergo affacciato sulla città eterna consta di 345 stanze e 25 suite, oltre a campi da tennis conformi agli standard della coppa Davis, a due piscine, alla lussuosa Grand Spa e ad un fitness center dove si pratica anche l'allenamento del gladiatore.

Qui hanno soggiornato grandi personalità da Fred Astaire a Marcello Mastroianni, da John Travolta a Julia Roberts, capi di Stato e magnati dell'industria accolti da piscine, fontane, lampadari di cristallo e da una collezione d'arte alle pareti che include anche opere di Tiepolo e di Warhol.

Il costo di soggiorno più economico per una stanza si aggira sui 300 euro a notte.

Il ristorante La Pergola grazie al famoso chef Heinz Beck è l'unico ristorante della capitale a fregiarsi delle tre stelle Michelin.

I fossili di conchiglie marine

Per gran parte delle persone, vedere e toccare una conchiglia fossile, costituisce un evento raro, fuori dall’ordinario; per i ragazzi di Piazzale Clodio degli anni sessanta,  invece, quelle pesanti pietre a forma di conchiglia erano una presenza familiare, spesso utilizzata come posacenere domestico, se si trattava di un guscio di ostrica particolarmente concavo. Monte Mario, “il monte del mare” secondo l’etimologia più corretta, prende il nome proprio dal reperimento di questi fossili marini, segno inequivocabile della presenza del mare, in un tempo valutabile intorno ai due milioni di anni fa. E il piacere di raccogliere queste tracce di un passato remoto, è stato condiviso nel tempo da persone di ogni tipo, da gente comune come da scienziati, primo tra tutti quel Leonardo da Vinci che gradiva raccogliere “i nicchi” sulle pendici del Monte (140 metri) che domina la città eterna.

Quando noi, ragazzi di piazzale Clodio senza tribunale, con pochi soldi e tanta voglia di avventura, decidevamo di rastrellare le pendici del Mons Maris, partivamo dalle “ scalette di via Golametto”, passavamo vicino al casale degli Strozzi, e, coltellini alla mano, cominciavamo a cercare e raccogliere gli ambiti trofei di due milioni di anni fa. Si recuperavano prevalentemente ostreidi, alcuni dei quali raggiungevano un peso considerevole e la grandezza di una mano aperta, ma si potevano trovare anche muricidi , ceritidi e turritellidi oppure gli inconfondibili dentalidi, a forma di piccole zanne d’elefante. Con un po’ di fortuna era possibile incappare in cardidi e petricolidi, bivalvi quasi mai interi. Dopo una pioggia la ricerca risultava certamente facilitata, infatti le sabbie e le arenarie diventavano morbide e si scioglievano abbastanza rapidamente, facendo affiorare, in maniera nitida ed inconfondibile, le sagome degli abitatori del mar di Tetide.

Massimo Spano non potrà non ricordare quel pomeriggio di circa venti anni fa, quando, nel breve volgere di un paio di ore di camminata sul nostro monte, riuscimmo a riempire un paio di buste di plastica con i gusci dei molluschi della preistoria.  A distanza di decenni, vuoi per mantenere inalterato il legame con la mia casa di Circonvallazione Clodia 21, vuoi per godermi l’ineguagliabile panorama di Roma dallo “zodiaco”, vuoi per disintossicarmi dalle scorie delle inevitabili libagioni della notte di San Silvestro, ho preso la bella abitudine, nella mattinata del 1° gennaio, di fare una bella passeggiata nella riserva di Monte Mario, partendo dalla entrata di via Gomenizza, rasentando villa Mazzanti nel percorso attrezzato, fino a raggiungere l’osservatorio astronomico; una abitudine piacevole che consiglio agli amanti della natura e della città eterna, magari muniti di un coltellino ed una piccola piccozza…perchè i fossili ci sono ancora………………

Una raccolta di invertebrati fossili, in prevalenza molluschi pliocenici provenienti da Monte Mario, fu donata all'Accademia dei Fisiocritici nel 1869 da Giovanni Rigacci, noto collezionista romano. Il fascino di questo monte ha catturato da sempre l’interesse di letterati di ogni parte del mondo, da Marziale a Stendhal, da D’Annunzio a Carducci e Chateaubriand. Lo spettacolo che si può ammirare dai tornanti che portano alla sommità del monte non ha paragoni: l’imponente cupola di San Pietro, la silhouette del centro storico cittadino, le anse del Tevere ben delineate, lo stadio di calcio dell’Olimpico e il Foro Italico, solo per citare qualche bellezza. Tra i reperti fossili conservati al Liceo Visconti, una delle principali raccolte di fossili è proprio quella relativa alla malacofauna pliocenica della Farnesina e di Monte Mario, raccolta in gran parte da A. Neviani.

Leonardo ipotizzò che la collina fosse emersa dal mare, mentre io da ragazzino ero solito raccontare che si trattasse di un vulcano…………………………….

I fossili di monte Mario: intervista ad Alberto Bordi, uno dei "ragazzi di piazzale Clodio" degli anni sessanta, romano di sette generazioni (S.Metroni)

 

 

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