Non sono in molti a conoscere la versione più volgare, coniata dalla tradizione popolare, sui personaggi di primo piano del passato glorioso della città caput mundi
Ce narrano le storie che Romolo Quirino
appena fondò Roma ci mise su un casino;
poichè le bolognesi non erano vicine
dovette accontentarsi di vergini sabine.
Ma tutte sono storie di un tempo assai lontano:
adesso, in quei palazzi, c'hanno fatto er Vaticano.
I tre fratelli Orazi, recandosi a duello,
invece delle spade affilavano l'uccello;
le spese di quell'atto le fecero i Curiazi,
che furono trafitti nel culo da quei cazzi.
Il prode Muzio Scevola, lanciando il suo pugnale,
trafisse nelle chiappe, per sbaglio, un generale;
e allora il Re Porsenna, per dargli una lezione,
gli fece abbrustolire la fava sul carbone;
però il re Porsenna, essendosi voltato,
si ritrovò di dietro quel seme arroventato!
Il prode Attilio Regolo, rinchiuso in una botte,
a furia di girare ne avea le palle rotte;
ma, a forza di cazzate, si fece un'apertura,
e, con la fava in fuori, frenava l'andatura.
Così che quando giunse al fondo della valle
al prode Attilio Regolo restavan sol le palle!
Il prode Giulio Cesare, guadando il Rubicone,
per non bagnarsi il cazzo s'inculava un centurione;
però quel centurione, essendosi arrabbiato,
sul bagnato
Richiesero a Cornelia se avesse dei gioielli,
ed ella mostrò i Gracchi, ragazzi molto belli,
però non eran quelli i beni più adorati:
di negri avea un serraglio dai cazzi ammaestrati.
Il prode Muzio Scevola guardando sul catino
le seghe d'ora in poi le spara col mancino.
E come disse Enea al figlioletto Iulo
anche questa volta ce l'hanno messo in culo.
Venne in Italia Annibale, sconfisse tutti quanti,
finchè non lo incularono assieme ai suoi elefanti;
mentre lo combatteva il console Marcello
un dardo gli si infisse diritto nell'uccello;
e Quinto Fabio Massimo, il Temporeggiatore,
pagava una marchetta godendo per tre ore!
Dicono ancor ch'Enea, in grotta con Didone,
poichè era inibito si fece un gran raspone.
Il console Camillo, urlando come un pazzo,
gettò sulla bilancia le palle con il cazzo;
gridò, rivolto a Brenno, stravolto e quasi in coma:
«Col cazzo e non coll'oro noi difendiamo Roma.»
Lo dice la leggenda, la storia non rinnega
che Roma fu salvata per mezzo di una sega.
Si dice che Virgilio, poeta mantovano
scrivesse le Bucoliche tenendo il cazzo in mano.
Si dice che Caligola, imperatore pazzo,
pisciasse per il culo e cagasse per il cazzo.
Cleopatra lussuriosa, regina degli Egizi,
giocava fina da piccola con cazzi e missirizzi;
e, quando venne Cesare, il condottier romano,
accondiscese subito a prenderglielo in mano,
poi, quando venne Antonio, dal cazzo prepotente,
lo prese ancor più rapida e più voracemente.
Infine, un giorno nero, moriron tutti quanti:
non le bastavan, misera, i cazzi d'elefanti;
allor, la sventurata, nel fare un masticone
sbagliò per una fava la testa di un pitone!
Suo nonno Tutankamen, il re dei Faraoni
di star tra le piramidi ne avea pieni i coglioni;
fu allora che decise, in men che non si dica,
di andare per il mondo in cerca di una fica.
A quando infine, provvida, il re l'ebbe trovata,
pagò duemila talleri un'umile chiavata.
Gli venne in mente allora di quando era ragazzo,
chiavava come un riccio, e non pagava un cazzo.
Il prode Tutankamen il Re dei Faraoni
tornò nella sua tomba a rompersi i coglioni.
Diceva il Cicerone al figlio Aristodemo:
«Con tutte queste seghe, tu mi diventi scemo.»
Rispose Aristodemo al padre Cicerone:
«Se faccio mille seghe divento senatore».
Diceva Senofonte al figlio Leocofonto:
«Non farti troppe seghe sennò diventi tonto».
Rispose Leocofonto al padre Senofonte:
«Se non mi dai la figa io vendo il culo al monte».
Gridava Messalina, dall'alto dei palazzi:
«è meglio un dito indice che centomila cazzi!»
Le rispondea Nerone dal fondo del giardino
ma scendi dal palazzo e fammi un bel pompino.
Gridava poi distesa sul suo letto imperiale:
«Presto, ancelle, accorrete! Portatemi un ditale!»
Nerone le obiettava, con gusto sopraffino:
«Non preferire al cazzo il vile ditalino!»
Gridava Messalina, fremente nelle nari:
«Tu, quante seghe al giorno, dì, quante te ne spari?»
Le rispondea Nerone, mangiando lepre al forno:
«Io me ne faccio venti od anche trenta al giorno!»
Gridava Messalina, frenando la gettata:
«Portatemi una pezza, o muoio dissanguata».
Le rispondea Nerone, seduto sul poggiolo:
«A te non una pezza ci vuole, ma un lenzuolo!»
Si dice che Nerone dall'alto di una nave
con centomila seghe sbiancasse tutto il mare.
Gridava Messalina dall'alto dei palazzi:
«Io voglio nella fica trecentomila cazzi».
Le rispondea Nerone, dal fondo delle grotte:
«è meglio un culo sano, che cento fiche rotte!»
A lor poi obiettavano i nobili Romani:
«è meglio un bel figone che cento culi sani».
Si dice che Petronio, l'esteta decadente,
si nichelasse il bischero per renderlo attraente.
Nel latte delle asine Poppea, l'imperatrice,
faceva sempre il bagno, per quanto ci si dice:
ma una mattina tragica, la storia ci racconta,
sbagliò Poppea le asine coi ciuchi della monta.
Così l'imperatrice, agendo in cotal modo,
si ritrovò, da improvvida, a nuoto nello sbrodo.
Si dice che Camilla, la vergine romana
per mantener la madre facesse la puttana.
Pisciavano i romani dall'alto delle arcate,
facendo con l'orina sublimi trogolate;
allora Vespasiano ebbe un'idea grandiosa:
riempì tutto l'impero d'orinatori a iosa.
Ma questo fatto ebbe delle ripercussioni,
poichè i finocchi invasero codeste costruzioni