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Home Arte cultura e tempo libero Breve storia delle carceri di Roma. Di Alberto Alfieri Bordi e Riccardo Davide Montalbano

Breve storia delle carceri di Roma. Di Alberto Alfieri Bordi e Riccardo Davide Montalbano

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Dal carcere Mamertino o Tullianum alle case di reclusione di Rebibbia e Casal del Marmo, un percorso diacronico che ci fa incontrare grandi personaggi del passato remoto e figure importanti della storia recente del nostro Paese

 

 

Il sistema carcerario è parte fondamentale non solo della amministrazione della giustizia ma dell’intera organizzazione dello Stato che, nell’intento di garantire la sicurezza ai cittadini, realizza strutture in grado di isolare i soggetti più pericolosi, di sanzionare penalmente quanti si sono macchiati di vari crimini ed inoltre di contribuire al recupero di coloro che, pur avendo delle colpe pregresse a danno della società, devono avere una occasione per riprendere una vita nel rispetto delle leggi.

Le strutture penitenziarie di Roma note ai più sono la Casa Circondariale Regina Coeli e quella di  Rebibbia, ripartita in più settori, ma la realtà carceraria  nella città eterna è ben più composita, senza tralasciare i luoghi di pena esistenti in un passato che arriva anche molto lontano, ai tempi di  Catilina, Giugurta, Vercingetorige ed altri ancora.

-          Il carcere mamertino o Tullianum

-          Basilica di San Nicola in Carcere

-          Castel Sant’Angelo

-          Carcere di Tor  di Nona

-          Le carceri di San Michele a Porta Portese

-          Le carceri nuove o Carcere Innocenziano

-          Il carcere romano di Regina Coeli.

-          Il carcere di Rebibbia

-          Il carcere di Casal del Marmo

Il carcere mamertino o Tullianum

Il carcere mamertino è il più antico di Roma e si trova, non a caso, nel Foro Romano, proprio perché ospitando i nemici di Roma, costituiva il simbolo del suo  potere  nel mondo.  Qui furono ospitati , in ceppi, i grandi vinti e i grandi traditori di Roma: dal re dei Sanniti Ponzio, al re dei Galli Vercingetorige, da Giugurta  a Pietro apostolo fino ai congiurati di Catilina.

La struttura consisteva di due piani sovrapposti di grotte scavate alle pendici meridionali del Campidoglio, a fianco delle Scale Gemonie per questo dette Scale dei sospiri, verso il Comitium. La più profonda risale all'età arcaica (VIII-VII secolo a.C.) ed era scavata nella cinta muraria di età regia che - all'interno delle Mura serviane - proteggeva il Campidoglio; la seconda, successiva e sovrapposta, è di età repubblicana. Al di sotto di tutto, un'antica fonte esistente tuttora. Il complesso si trova oggi sotto la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, del XVI secolo, nell'area del Foro dove, in età romana, si amministrava la giustizia.

Il Tullianum, il livello più profondo del carcere, fu realizzato, secondo Livio, sotto Anco Marzio nel VII secolo a.C. Il nome deriva da tullus (polla d'acqua), anche se alcuni lo fanno derivare da alcune tradizioni che lo collegano all'iniziativa di Servio Tullio o di Tullo Ostilio. Il piano superiore viene realizzato nel VI secolo a.C., e più volte restaurato, fino a quando, nella prima età imperiale, venne costruita l'attuale facciata.

Sulla cornice della facciata della prima età imperiale sono incisi i nomi di Caio Vibio Rufino e Marco Cocceio Nerva, che intervennero sul monumento nell'anno del loro consolato (22 d.C.).

La cristianizzazione del complesso è databile attorno all'VIII secolo, periodo al quale risalgono le tracce di un affresco rinvenuto nel Tullianum, ed entrambi gli ambienti furono convertiti in cappelle. In questo stesso periodo il luogo cominciò ad essere chiamato Carcere Mamertino.

Nella stanza inferiore la  leggenda vuole che alla colonna a sinistra vi fossero legati gli Apostoli Pietro e Paolo.

L'ingresso originario doveva essere attraverso la porticina murata posta a livello più alto del piano di calpestio attuale, nella parete destra. Da questa porticina si accedeva anche alle lautumiae, ambienti ricavati nelle antiche cave di tufo pure usati come prigione.

Un foro nel pavimento, oggi chiuso da grata, era l'unico accesso esterno all'ambiente sottostante, oggi raggiungibile tramite una scala.  Il sito è oggi un museo visitabile proprietà del Vicariato di Roma.

Basilica di San Nicola in Carcere

Altro pezzo di storia carceraria anche se i resti di questo luogo di pena si trova sotto una bella chiesa in via del Teatro di Marcello, la Basilica di San Nicola in Carcere

Tra VII e VIII secolo, sui basamenti di tre continui templi di età repubblicana, Janus, Juno Sospite e Spes, nell’antica area del Foro Olitorio, tra il teatro di Marcello e gli attuali uffici dell’anagrafe del comune di Roma, venne costruita questa chiesa. L’appellativo “in carcere”  fa ritenere la esistenza  di un carcere di origine romana o bizantina sito nei locali sottostanti alla chiesa stessa.  Tale tesi è avvalorata dal ritrovamento dei piccoli ambienti  rinvenuti sotto il Tempio di Giunone Sospita, molto simili a piccole celle, ma non è escluso che si trattasse di piccoli locali utilizzati dai  cambiavalute  operanti insieme ai commercianti nel Foro Olitorio. Il carcere in epoca bizantina sembra fosse denominato Carcer ad Elephantum. Sicuramente, in epoca medioevale, i sotterranei vennero utilizzati come cimitero, come testimoniano tuttora i resti ben visibili dei defunti. Ristrutturata da Alessandro VI nel XV secolo,  la chiesa fu ricostruita nel 1599 da Giacomo Della Porta, su commissione del cardinale Pietro Aldobrandini, epoca alla quale risale la facciata. Nel 1865 fu nuovamente restaurata per volere di Pio IX finché nel 1932, nel corso del “rinnovamento” della zona, furono distrutti gli edifici medioevali che la circondavano, lasciandola isolata dal contesto circostante.

La mole Adriana/Castel Sant’Angelo

La Mole Adriana, altro nome con cui è conosciuta questa imponente struttura, collegata al Vaticano dal famoso Passetto, un a stretta via di fuga  realizzata per mettere in salvo i pontefici da attacchi indesiderati, fu fatta costruire dall’imperatore Adriano, nel II secolo d.C. per essere adibito a mausoleo, ovvero come edificio per ospitare le sue spoglie e dei suoi familiari e che peraltro ospitò  i resti non solo di Adriano e di sua moglie ma anche degli imperatori Antonino Pio, Marco Aurelio, Settimio Severo e Caracalla.

Fu nel 590 che l’edificio assume il nome attuale di Castel Sant’Angelo quando, secondo la tradizione, l’arcangelo Michele apparve a papa Gregorio Magno in cima alla Mole Adriana mentre infoderava la spada. Un segno che venne interpretato come l’imminente fine della peste come poi effettivamente avvenne.

Anche Castel sant’Angelo fu luogo di prigionia, anche se specificamente destinato a preti ed alti prelati della Santa sede. Vescovi, cardinali e pontefici vi furono  rinchiusi e torturati. Giovanni IV vi fu fatto morire di fame nel 642; Giovanni X vi fu soffocato nel 928 e Benedetto VI   strangolato nel 974. Vi trovarono la morte il cardinale Giovanbattista Orsini (1561) ed il cardinal Carlo Carafa, strangolato nel 1561 mentre vi restò imprigionato il cardinale Alessandro Farnese, futuro papa Paolo II. Il prigioniero più illustre fu sicuramente il nolano Giordano Bruno, arso nel rogo di campo de’Fiori il 17 febbraio 1600 per le sue concezioni religiose, ritenute eretiche dalla Chiesa e dal papa Clemente VII.

Benvenuto Cellini (Firenze, 3 novembre 1500 - Firenze, 13 febbraio 1571) è stato uno dei prigionieri più famosi delle tetre carceri di Castel Sant'Angelo. Scultore, orafo, incisore, scrittore, è considerato uno dei più importanti artisti del periodo manierista. Dal carattere violento e burrascoso e, come apprendiamo dalla sua stessa autobiografia, autore di svariati omicidi, Cellini mostrò la propria indole già all'età di 16 anni: in seguito a una rissa, infatti, fu esiliato insieme al fratello a Siena, dove iniziò a studiare oreficeria. Pier Luigi Farnese, infatti, con l'accusa di aver rubato alcuni gioielli di proprietà di Clemente VII durante il Sacco del 1527, lo fece arrestare e richiudere a Castel Sant'Angelo. L'artista riuscì a fuggire dal carcere, riuscendo a forzare la porta della cella dopo aver sottratto un paio di tenaglie al carceriere, e poi calandosi con il classico metodo delle lenzuola annodate dal bastione di San Giovanni. Dopo essersi fratturato una gamba nel corso della fuga, si rifugiò presso il cardinal Cornaro, che però lo riconsegnò al Papa. Imprigionato nuovamente a Castel Sant'Angelo, le sue condizioni di reclusione furono rese ancora più dure: gli fu assegnata una cella completamente buia, dove penetrava un raggio di sole per solo mezz'ora al giorno da una piccola finestra, ed egli approfittava di questo momento per leggere la Bibbia. Con la gamba gonfia e dolorante, non riusciva nemmeno ad alzarsi dal pagliericcio per necessità fisiologiche e in breve tempo la sua cella divenne invivibile: uno strato di urina ed escrementi si formò addirittura sul pavimento, almeno stando al racconto della sua autobiografia. In questa cella egli fu recluso fino al dicembre del 1539, quando, dopo aver scontato la sua pena, venne accolto dal cardinale Ippolito d'Este, per il quale eseguì magnifici lavori in oro, argento e stucco.

 

Carcere di Tor  di Nona

Le carceri di Tor di Nona sono state le principali prigioni di Roma dal principio del XV secolo,  insieme a quelle di Corte Savella.  Nelle sue celle  vennero reclusi Benvenuto Cellini, il riformatore toscano Pietro Carnesecchi, i fratelli di Beatrice Cenci, Giacomo e Bernardo, e Giordano Bruno. Venne rinchiuso anche Caravaggio in quanto si aggirava per piazza Madama armato di spada anche se il papa  ne aveva vietato  il possesso ai cittadini comuni.

Il carcere dal 1400 ospitava celle riservate,  dette “sale preti” , dove pare si sperimentassero anche nuove forme di tortura.

Situate nei pressi dell'attuale lungotevere omonimo, vennero collocate dalla Camera Apostolica nella torre che nel 1395 per legato testamentario di Giovanni di Jacobello Orsini passò all'ospedale della Compagnia del Salvatore, che prese il nome probabilmente dal fatto che rappresentava la nona torre che si incontrava venendo da Porta Flaminia ed anticamente era parte delle mura di cinta a difesa della città. Altra ipotesi sull'origine del nome è il riferimento ad un deposito medievale di granaglie chiamato Turris annonae, popolarmente deformato in Tor di Nona. Il sito ha dato il nome all'attuale tratto di Lungotevere tra piazza Sant'Angelo e piazza di ponte Umberto I. Nel 1670 venne trasformato nel Teatro Tordinona.

 

Le carceri di San Michele a Porta Portese dette Gabelli

L'ospizio apostolico di San Michele  è una grande struttura architettonica sul porto di Ripa Grande, nata tra la fine del XVII e il XVIII secolo come struttura polifunzionale - orfanotrofio, ospizio e carcere - per accogliere bambini abbandonati e vecchi poveri, ed anche come carcere minorile e carcere femminile.

Fu la risposta dello Stato Pontificio alla dilagante povertà  nella città di Roma, dalla seconda metà del Cinquecento  seguita al Sacco di Roma, attraverso punti di assistenza, “luoghi pii” e strutture assistenziali di vario genere, tra i quali l’Ospedale dei poveri a via Giulia, costruito da Domenico Fontana a Ponte Sisto nel 1586-1588 .

Il primo nucleo del San Michele  fu edificato nella proprietà Odescalchi immediatamente alle spalle del porto di Ripa Grande, affinché accogliesse gli orfani assistiti dall'opera pia di famiglia.

Il suo successore Clemente XI pensò tuttavia che fosse prioritario aggregare, all'ospizio per gli orfani, il carcere per i minorenni, con finalità correzionale, e nel 1704 fece costruire a questo scopo, su progetto di Carlo Fontana, dal lato verso Porta Portese, un nuovo corpo di fabbrica, dettandone personalmente il regolamento.

Negli anni seguenti Clemente XII fece infine costruire da Ferdinando Fuga, ultimo edificio verso Porta Portese, il carcere delle donne, collegato all'ospizio dei fanciulli da un ulteriore corpo di fabbrica più basso, che venne destinato a magazzini e caserme per la dogana, per costituire ulteriori spazi di servizio e fonti di rendita. Nel 1735 il complesso si poteva dire completato, nell'aspetto che conosciamo oggi, e che è riprodotto nella pianta del Nolli.

Le ultime modifiche alla fabbrica furono apportate da Pio VI nel 1790, aggiungendo la chiesa, completata solo nel 1835 da Luigi Poletti, che fu anche insegnante nell'Istituto, e costruttore di una ruota idraulica destinata a cavare acqua potabile dal pozzo dell'Istituto.

Nell'Ottocento venne anche destinato a carcere per i detenuti politici.

Del complesso, passato al Comune nel 1871, rimase attiva la funzione carceraria: le strutture destinate al carcere femminile, alla dogana e al correzionale vennero infatti unificate e andarono a costituire l'Istituto Romano S. Michele, che venne interamente destinato a carcere minorile, e intitolato ad Aristide Gabelli mentre il resto dell'immobile fu abbandonato. Il riformatorio rimase  attivo fino al 1972. Il resto dell'immobile restò praticamente abbandonato, divenendo rifugio di sfollati durante la guerra, e poi di senza tetto,  fino all'inagibilità.

L'immobile fu acquisito dallo Stato nell'agosto 1969, e destinato a sede dell'allora Direzione centrale Antichità e belle arti del ministero della pubblica istruzione.  Dopo più di tre anni di progettazione, nel 1973 iniziarono il risanamento, il restauro e la messa in sicurezza, della struttura che fu comunque in più parti interessata da crolli e da degrado. Nell'edificio sono allocati attualmente vari uffici del Ministero della cultura.

L'edificio, costruito all'estremo limite della città, è di dimensioni rilevantissime tanto da essere annoverato tra gli edifici più grandi della capitale: 334 metri di lunghezza, 80 di larghezza media tra il fiume Tevere e la via di San Michele, per una superficie complessiva di oltre 2 ettari e mezzo (26.720 m²) Lungo il Tevere ha tre piani sopra il piano terra, ma ognuno dei cinque corpi di fabbrica è sopraelevato da un attico, sicché risulta alto 21 m fino al cornicione e 25 in totale[12].

I moduli si snodavano attorno a otto cortili di cui i due maggiori erano  quello dell'ospizio dei Fanciulli e quello dell'ospizio dei Vecchi.  Tanti i film, per cinema e televisione, che hanno  utilizzato i locali di questa imponente struttura; citiamo  tra gli altri:  Detenuto in attesa di giudizio (1971), Imputazione di omicidio per uno studente, regia di Mauro Bolognini (1972), Il domestico (1974), Farfallon (1974) etc.

Le carceri nuove o Carcere Innocenziano (…SECVRIORI AC MITIORI REORVM CVSTODIAE… 1655)

Intorno alla metà del XVII secolo  Papa Innocenzo X  Pamphilj,, mosso da ideali di umanità e clemenza, per sostituire le diverse prigioni sparse per la città, decise di costruire le carceri nuove, rimaste in funzione sino alla costruzione del carcere giudiziario di Regina Coeli all'inizio del XX secolo. L'edificio è ubicato  nel Rione Regola, a circa metà di Via Giulia, in una zona sconvolta dalle demolizioni iniziate nel 1938 per la costruzione di una strada fra ponte Mazzini e Corso Vittorio Emanuele, mai realizzata a causa della guerra

Le Carceri Nuove furono costruite tra il 1652 e il 1655 da Antonio Del Grande. Il papa infatti, mentre era Uditore della Sacra Rota, aveva potuto rendersi conto di persona delle condizioni disumane in cui vivevano i prigionieri delle Carceri di Tor di Nona. Esse sostituirono  le carceri sino allora esistenti in città di Tor di Nona nel rione Ponte, di Corte Savella nel rione Regola, e quelle del rione Borgo. Le Carceri Nuove furono il primo esempio a Roma di penitenziario moderno, dove al centro del sistema carcerario veniva posta l'umanità dei detenuti. La filosofia che animava questa casa di pena è sottolineata anche dall'iscrizione collocata sulla porta d'ingresso:

«IVSTITIAE ET CLEMENTIAE / SECVRIORI AC MITIORI REORVM CVSTODIAE / NOVVM CARCEREM / INNOCENTIVS X PONT. MAX / POSVIT / ANNO DOMINI / MDCLV». «Innocenzo X Pontefice Massimo eresse Nell'anno del Signore 1655 il nuovo carcere per la giustizia, per la clemenza e per una più sicura e umana custodia dei colpevoli»

Alla morte del papa nel gennaio 1655 l'edificio non era ancora completato; il suo successore Alessandro VII ne portò a termine la costruzione, ma l'edificio prima di essere inaugurato fu utilizzato durante l'epidemia di peste del 1656 come stufa  di lavaggio dove venivano lavati coloro i quali erano in quarantena a San Pancrazio e Sant'Eusebio.

I carcerati venivano continuamente assistiti da membri delle Arciconfraternite di San Giovanni della Pigna, dell'Assunta al Gesù e di San Girolamo della Carità. Le Carceri Nuove rimasero in funzione sino all'inaugurazione del carcere giudiziario di Regina Coeli a Via della Lungara, venendo utilizzate per la custodia preventiva. Dopodiché vi furono custoditi solo i minorenni.Nel 1931 il fabbricato divenne sede del Centro di studi penitenziari e del Museo criminologico. In seguito l'edificio fu sede dell'Istituto di ricerca delle Nazioni Unite per la difesa sociale. Dal 2020 esso ospita la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo

L'edificio, considerato sino al '700 un modello di prigione umanitaria. venne progettato da Del Grande seguendo un dettagliato programma di Virgilio Spada e tenendo presenti le carceri di Tordinona. All'interno del palazzo vi sono due cortili e una grande scala, ma internamente i piani sono quattro oltre  il pianterreno.

Al piano terreno c'erano le camere dove venivano interrogati gli uomini e le donne, gli alloggi dei custodi, la cancelleria, i servizi, un cortile per la passeggiata, due stanzoni per i prigionieri già processati, i detenuti per debiti e quelli accusati di delitti minori, due camere di pena, un carcere per i minorenni e una cappella.

Nel settore femminile invece c'erano tre larghe stanze al primo piano e tre segrete al secondo, la cappella, l'infermeria e l'appartamento della Priora.

Sino al pontificato di Leone XII (r. 1823-1829) le carceri avevano anche stanze per gli ecclesiastici, i quali in seguito furono imprigionati in appositi locali a Castel Sant'Angelo. Nel 1824 al piano terreno fu costruita una grande cucina, mentre il carcere femminile venne esteso al secondo piano.

Nel 1842 le Carceri Nuove ospitavano 600 uomini e 80 donne.

 

Il carcere romano di Regina Coeli, regalo delle “leggi eversive” del 1871.

Un Detto popolare romano, pubblicato nello "Lo scalino", antico giornalino interno dei detenuti, recitava che “A via de la Lungara ce sta 'n gradino, chi nun salisce quelo nun è romano e né trasteverino”.

Regina Coeli non può che evocare il carcere ottocentesco di via della Lungara che prende il nome dal vecchio monastero  sorto in quella strada per volere  di Anna Colonna, moglie di Taddeo Barberini. I lavori per l’edificazione del convento iniziarono  il 1 settembre 1643. Nel 1873 il monastero venne confiscato per essere adibito  a stanze per  detenuti e condannati a pene brevi. Nello stesso anno il vecchio monastero delle Mantellate, attiguo a Regina Coeli, viene adattato a carcere femminile e tale resterà fino al 1959, anno in vui le detenute saranno trasferite nel nuovo carcere costruito in località Rebibbia.

Tale carcere femminile ha ispirato anche la canzone intitolata Le Mantellate, scritta da Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi per Ornella Vanoni ed eseguita in seguito anche da interpreti di canzoni popolari romane, tra cui Alida Chelli e Gabriella Ferri.

Il testo recita:  Le Mantellate so' delle suore, ma a Roma son soltanto celle scure; 'Na campana sona a tutte l'ore, Ma Cristo nun ce sta dentro a 'ste mura, Ma che parlate a fa'?Qui dentro ce sta solo infamità. Carcere femminile ci hanno scritto, sulla facciata d'un convento vecchio, sacco de paglia al posto de' 'sto letto, mezza pagnotta e l'acqua dentro ar secchio. Tre mesi che me svejo e che t'aspetto, cent'anni che s'è chiuso 'sto portone…

Solo nel 1891 fu terminata la costruzione dell’avancorpo in via della Lungara. Con l’instaurarsi del periodo fascista fino al 25 luglio 1943 il sesto braccio del carcere venne riservato ai detenuti politici. Nelle celle del carcere furono rinchiusi numerosi antifascisti, da Gaetano Salvemini a Francesco Fausto Nitti, che descrisse i disagi subiti e le celle di rigore. Tra i nomi illustri figurano anche Alcide De Gasperi, Antonio Gramsci, Riccardo Bauer, Luchino Visconti. Solo dopo il 25 luglio 1943, grazie all’intervento di Badoglio, i detenuti antifascisti furono scarcerati.

Con la caduta del regime, il carcere si andò a riempire di fascisti, gerarchi, ministri, prefetti e funzionari. Dopo l’8 settembre, iniziata la Resistenza anche a Roma, i nazifascisti occuparono il carcere in cui rinchiusero partigiani ed antifascisti.  Il comando tedesco occupò poi il terzo braccio  sottraendolo al controllo italiano. Un’altra pagina tragica della storia di regina Coeli fu la vicenda delle Fosse Ardeatine. Dal carcere romano infatti furono prelevati cinquanta detenuti da inviare nelle cave sull’Ardeatina per essere trucidati come rappresaglia per la morte di trentatre soldati tedeschi  uccisi nell’attentato partigiano di via Rasella. La lista dei detenuti fu compilata da Pietro Caruso, questore di Roma, che pagherà la sua collaborazione al nazifascismo con la condanna a morte, eseguita a Roma, al Forte Bravetta, mediante fucilazione il 22 settembre 1945.

Le vicende del carcere romano per antonomasia nel dopoguerra sono seguite con l’arresto di Arnaldo Graziosi  condannato per l’omicidio di Maria Martirano, moglie di Fenaroli. Va ricordato come nel 1958 il papa Giovanni XXIII fece visita ai detenuti in questo istituto di pena che oggi accoglie più detenuti comuni  e non è annoverato come carcere di massima sicurezza.

Una pagina importante nella storia di quella che è, amministrativamente, la casa circondariale della capitale fu scritta, il 24 gennaio 1944,  da Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, futuri presidenti della Repubblica. Quel giorno i due esponenti dell’antifascismo evadono dal carcere di Regina Coeli insieme a cinque loro compagni socialisti di prigionia. Furono arrestati il 18 ottobre 1943 e rinchiusi nel braccio nazista del carcere romano, condannati a morte in attesa dell'esecuzione. Saragat, intervistato da Gianni Bisiach nel 1977, ricorda l'atteggiamento sereno di Pertini in carcere. Dopo lo sbarco di Anzio i socialisti organizzarono l'evasione. La ricostruzione filmata degli avvenimenti che li portarono alla libertà con l'aiuto degli agenti carcerari che favorirono l'evasione, rischiando la propria vita.

A partire dagli anni 90, la maggioranza dei detenuti ristretti nel penitenziario trasteverino sono stranieri, provenienti da ogni parte del mondo. La loro massiccia presenza è legata al fenomeno dell’immigrazione che vede Roma come punto di appoggio di almeno il 25% di tutta la popolazione straniera presente sul territorio italiano. Il carcere è strutturato per accogliere 628 detenuti, ma al gennaio 2023 le presenze  risultano essere 996, di cui 500 stranieri.

La II e la IV domenica di ogni mese è possibile partecipare alla Santa Messa all’interno della Casa Circondariale Regina Coeli, previa richiesta di partecipazione che deve pervenire almeno 15 giorni prima della domenica. Per i gruppi parrocchiali inviare elenco con nome-cognome-luogo e data di nascita con la residenza, accompagnata da una lettera del Parroco. In queste occasioni è consuetudine portare dolci e beni di prima necessità per i detenuti indigenti.

Il  sistema panottico del carcere di Rebibbia

La Casa di reclusione di Roma Rebibbia è uno dei quattro Istituti penitenziari che costituiscono il c.d. Polo penitenziario di Rebibbia - La Casa di reclusione (fino al 1975 denominata Casa Penale) fu  attivata nel 1946.  Sono presenti detenuti appartenenti a diverse tipologie (circuiti penitenziari) quali - detenuti comuni a regime ordinario in esecuzione di condanna definitiva - detenuti minorati psichici (art. 65 O.P.) e detenuti ammessi al lavoro all'esterno (art. 21 O.P.) tre padiglioni detentivi ciascuno suddiviso verticalmente in due sezioni per un totale di 6 sezioni - Di queste, quattro sono destinate ad ospitare detenuti comuni del circuito a media sicurezza ed una ospita i detenuti ammessi al lavoro all'esterno - Le sezioni comuni hanno a disposizione un'ampia area alberata, dotata di attrezzature sportive.  Sono allestite due cappelle, due biblioteche e due cucine a servizio, separato, delle sezioni ordinarie e non.

La sua progettazione  ha inizio nel 1960, mentre i lavori prendono il via  nel 1965; l’ apertura dell'istituto si ha nel 1971, stanze singole 351, stanze multiple 319, superficie coperta 27 ettari, volumi edificati 354.000 mc. .

Si tratta di  una piccola città che corrisponde ad un'area urbana del V municipio di Roma capitale - Fa parte del quartiere Ponte Mammolo che si trova sulla via Tiburtina prima del Casale di San Basilio nella periferia nord-est della città. Qui tutto  è organizzato nei minimi dettagli ed alle 20,30 ogni detenuto, indipendentemente dalla attività svolta e dalla pena da scontare, deve essere presente nella propria cella.

Il nome richiama il casato del cardinale Scipione Rebiba, proprietario di una grande tenuta che costituiva l'attuale quartiere attorno a ponte Mammolo - L'istituto penitenziario è a forma pressochè quadrangolare con accesso da via Bartolo Longo e dalla via Tiburtina - è stato costruito secondo il sistema panottico (dal greco pan =tutto e orao=guardare ossia guardare il tutto) stellare, per cui dal centro è possibile osservare  e controllare le sezioni detentive (un modello già in uso nel carcere dell’isolotto di santo Stefano  di fronte a Ventotene). La struttura venne consegnata nel 1972. Le stanze di detenzione sono 649.

Capienza e presenze al 1° marzo 2023; posti regolamentari 1178, posti non disponibili 69, totale detenuti 1490.

E’ utile sapere che un detenuto costa allo Stato italiano circa 137 euro una somma  che non è destinata totalmente alle esigenze personali del detenuto: al contrario, gran parte serve per coprire tutte le spese che occorrono a sorreggere l'intero sistema penitenziario italiano.

Il carcere di Casal del Marmo

L’Istituto Penale Maschile e Femminile  di Casal del Marmo è uno dei pochi istituti minorili in Italia ad avere al proprio interno una sezione femminile. Da normativa dipartimentale, i ragazzi e le ragazze non possono svolgere attività in comune se non in occasione di eventi particolari, come manifestazioni culturali o religiose.

L’istituto è composto da tre strutture detentive, autonome tra loro. Una ospita ragazzi minorenni, una ragazzi maggiorenni e l’altra ragazze senza distinzioni di età. A partire dall’estate 2021  furono  iniziati dei lavori di ristrutturazione nella palazzina dei ragazzi minorenni. Seppur formalmente considerato all’interno dell’area urbana, l’istituto è al confine nord ovest della città di Roma in un’area piuttosto isolata, in Giuseppe Barellai, 140. Vantaggio di tale collocazione è però la possibilità di avere tanti spazi esterni comuni.

I ragazzi presenti in istituto al 15 gennaio 2022 sono 21, tra maschi e femmine. A ognuno di essi è garantita la possibilità di partecipare a percorsi scolastici e attività ricreative, ma non sono erogati corsi professionalizzanti. A causa della breve permanenza media dei ragazzi, i corsi risultano difficili da attivare richiedono un numero di ore e un numero di partecipanti elevati.

La maggior parte degli operatori presenti è cresciuta professionalmente all’interno dell’istituto, al quale mostrano perciò un grande attaccamento anche affettivo. Alcuni di loro rimangono un punto di riferimento per i ragazzi anche una volta usciti.

Considerazioni sul sistema carcerario italiano. Nel nostro Paese, se si prendono in considerazione i 189 istituti di pena, riscontriamo una capacità ricettiva complessiva di 51.285 posti, mentre i detenuti presenti, alla data del 28 febbraio 2023, risultano essere. 56.319 (Nel Lazio, esaminati 14 istituti di detenzione, sono presenti 5965 reclusi a fronte di ricettività 5.295) di cui ben 15.244 sono tossicodipendenti. Questo sta a significare quanto sia rilevante il fattore della tossicodipendenza come matrice o concausa della criminalità, per cui è necessaria una massiccia azione, anche a livello socio-culturale, sul fronte della diffusione delle droghe, minaccia primaria alla serena coesistenza in tutte le collettività. In secondo luogo, se un recluso su tre è un tossicodipendente, appare improcrastinabile un intervento volto a creare una alternativa alla detenzione di questa ampia fascia di soggetti deviati, ma anche malati. La soluzione ottimale sarebbe quella di dirottare i tossicodipendenti verso strutture chiuse con marcato intento rieducativo; in questo modo si alleggerirebbe il carico per il sistema carcerario, con significativo ridimensionamento del superaffollamento cronico,  e, al tempo stesso, l’azione dello Stato permetterebbe di recuperare soggetti finiti nel mare magnum della criminalità soprattutto in ragione del loro cedimento esistenziale alla tossicodipendenza.

 

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