L’autore ha dedicato molti anni all’insegnamento di italiano e storia nelle scuole superiori e negli anni giovanili ha scritto un memorabile saggio sulle opere di Eduardo De Filippo, ricevendo di persona l’apprezzamento del grande drammaturgo e attore napoletano
Il protagonista dell’opera si chiama Pietro e non poteva che essere un insegnante, anche se la componente autobiografica non appare del tutto calzante in questo contesto e si attesta nella misura fisiologica del racconto.
Certo non mancano spunti e considerazioni estrapolati dal mondo della scuola, come quando auspica ad un suo alunno un futuro da meccanico, lontano da sintassi e metrica o quando un momento di profonda delusione spinge il protagonista a sciorinare un icastico “Addio colleghi”, dettagliato come un registro scolastico con nomi ed aggettivazioni in rima davvero coloriti e senza un’ombra di banalità. Insomma il tema non è la scuola, che comunque è parte di quel cerchio che è sinonimo di monotona ripetitività, dalla quale è difficile uscire; l’opportunità per spezzarlo o quanto meno di intaccarlo poteva coincidere con la frequentazione di una vedova facoltosa o l’incontro con una giovane prostituta ma le scelte della vita sembrano intersecarsi inevitabilmente con il proprio essere, con i propri comportamenti relazionali, perfino con gli apprezzamenti del prossimo, che, paradossalmente vanno a mitigare la forza d’urto necessaria per uscire dalla routine esistenziale, spesso pericolosamente incline a sfociare in una nausea “melancholica” di Sartriana memoria.
La storia che ci descrive il Casaretti non ha un andamento costante e monocorde ma vive di fotogrammi e sequenze che possono apparire slegati tra di loro ma in realtà sono parte di unico disegno intimistico; così, vanno intesi come legati l’incontro fastidioso sull’autobus, la frequentazione dell’amico medico, le raccomandazioni della madre, la passeggiata al parco “tra i vecchi con facce stravolte” e tanto altro, il tutto accompagnato da fastidi più o meno invasivi, come la odiosa sicurezza di capire tutto e tutti ostentata da personaggi che gravitano intorno alla figura di Pietro. Affiora la difficoltà a vivere con leggerezza…
Il silenzio è orizzontale ed è palpabile ovunque, anche nei fastidi per le edicole ipertrofiche di titoli di ogni tipo o negli esilaranti monologhi del mondo in P, del pittore, del prete, del pappagallo, del peocio, del pavè e della provetta. Il mosaico in divenire che si costruisce dinanzi a noi si arricchisce di tessere eterogenee, fatte di eventi, di comportamenti, di sensazioni, di incontri, di riflessioni, anche estemporanee, che producono disagi e malumori che non assurgono a patologia vera e propria e che quindi non possono essere curati con un farmaco appropriato e risolutore, eppure procurano qualche danno che alberga tra vita reale e sogno, tra passato e futuro, tra le aspirazioni ed i progetti, lasciando una instabilità emotiva tangibile nel presente.
Non so se siamo di fronte ad epifanie dell’Autore, ossia a momenti di intuizione improvvisa, ma l’andamento e l’esposizione di tutto quanto accade o non accade in questo “Silenzio orizzontale” ricorda lo stile di Joyce, incluso qualche passaggio difficilmente comprensibile.
A fronte di questo scenario segmentato che ha il sapore dell’analisi freudiana e del gioco dell’oca, c’è da chiedersi dove siano le cose belle. Sicuramente non nelle previsioni astrologiche, artatamente ed ironicamente descritte segno per segno e neppure nei menu dei ristoranti, minuziosamente riportati nelle pagine del libro, inclusi “i totani paniscia flan porri sedani e lenticchie”. Altro interrogativo: E le belle persone dove sono? Non appaiono certo tali quelle signore e quei signori, perfettamente numerati, che popolano un incontro salottiero forse episodico e neppure i componenti della famigliola in tavola nel rituale di festa e tanto meno il fenomenale signor B alla stazione di Lyon, un eroe alle prese con una intrigante passeggera dello stesso treno.
Dopo il distacco, il viaggio e la malattia c’è dunque un ultima spiaggia? La natura, forse; il ritorno alle origini? Chissà, ma potrebbe non bastare; la musica, la letteratura, perché no? Il discorso, con se stessi, ma necessariamente anche con gli altri, è aperto ma va portato avanti senza strepiti. La speranza è nel silenzio, se si è bravi ad ascoltarlo, in tutta la sua forza, “rassicurante e feroce”.