Lo sappiamo tutti: di Eduardo ce n'è uno solo, come pure della sua commedia "Natale in casa Cupiello", ma non per questo un patrimonio artistico che oramai è parte integrante della cultura italiana deve rimanere ad infinitum in un cassetto o essere repertorio delle sole compagnie affermate.
Va invece rappresentato, reinterpretato, riproposto, con il giusto approccio di passione, di umiltà e di impegno, perchè senza questa miscela magica il rischio è altissimo e può portare perfino all'indignazione dei cultori della commedia del genere scarpettiano. Per fortuna tutto questo non è avvenuto al piccolo Eliseo nei primi tre giorni di giugno, quando in scena, di fronte ad una platea gremita, è andata la compagnia teatrale del Circolo UniCredit - Banca di Roma. Fin dall'immediato lo spettatore ha percepito la sensazione di aver di fronte una compagine attrezzata per questo impegno: giusta l'ambientazione, misurate le movenze dei protagonisti, come pure i ritmi dei primi dialoghi, che possono serbare talvolta enfasi fuori luogo, picchi stentorei o imbarazzanti cadute ipofoniche.
Niente di tutto questo: Luca Cupiello (un apprezzato Alberto Conte) non ha lesinato scambi coloriti con la moglie Concetta (la brava Consuelo Casali) e soprattutto con il figlio Tommasino detto Nennillo, reo di non apprezzare il suo oggetto di culto maniacale, ossia il presepe. Gli inevitabili confronti con Eduardo attore o con Pupella Maggio hanno lasciato presto il campo ad una valutazione autonoma della rappresentazione al teatro capitolino di via Nazionale, che non ha avuto cadute di tono, a parte qualche pianto "forzato" e la percezione di un tocco di "romanità" in un passaggio del terzo atto, fisiologicamente estraneo alla tragicommedia napoletana. Ad Antonio De Iudicibus, interprete di Pasqualino, bisbetico fratello del protagonista, spetta la palma di migliore in campo, anche grazie ad una fisionomia e ad una recitazione da "napoletano d'autore", come ribadito in una interpretazione della "Livella" di Totò, a fine spettacolo, davvero toccante e coinvolgente. Il clima dell'antivigilia della festa natalizia, per quanto scosso da baruffe e piatti rotti (tanti !!) rispetta in pieno la tradizione partenopea come rappresentata mirabilmente dalla commedia di Eduardo, segnata (stranamente) da un epilogo funesto, quale la morte del vivace protagonista (solo allora il figlio risponderà di sì alla domanda ritornello " te piace o' presepe?"). A vantaggio del futuro della compagnia, senza tema di smentita si può affermare che sono andati davvero bene tutti i giovani in scena, sia Valerio Portale nelle vesti di Nennillo e sia la contesa Ninuccia, una Giulia Giordano costantemente fedele al ruolo assegnato di donna decisa e confusa al tempo stesso, di vittima consapevole di contrasti affettivi quasi ossimorei. Trucchi e costumi decisamente professionali, con una regia (Carlo Tuzzi, che ha curato pure l'adattamento e la scenografia) di buonissimo livello.
Il plauso convinto della platea di fronte ad una performance "ad alto rischio" perchè confrontabile con i mostri sacri della commedia napoletana non può che dare ancora più forza ai progetti di una compagnia che, al di là del contesto amatoriale in cui sorge, costituisce un gruppo di oggettivo valore artistico, complessivamente pronto ad altre prove significative che legittimano una programmazione a lungo termine.
La commedia forse più nota di Eduardo, portata in scena per la prima volta nel 1931, segna di fatto l'avvio vero e proprio della felice esperienza della Compagnia del "Teatro Umoristico I De Filippo", composta dai tre fratelli e da attori già famosi o giovani alle prime armi che lo diventeranno (Agostino Salvietti, Pietro Carloni, Tina Pica, Dolores Palumbo, Luigi De Martino, Alfredo Crispo, Gennaro Pisano). A giugno Eduardo aveva firmato un contratto con l'impresario teatrale che lo impegnava per soli nove giorni di recite per presentare il suo nuovo atto unico ma il successo della commedia fu tale che la durata del contratto fu prolungata sino al maggio 1932. Originariamente si trattava di una commedia ad atto unico (quello che, nella versione definitiva, costituisce oggi il secondo atto), ampliato successivamente in due distinte fasi.