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Home Arte cultura e tempo libero Lo straniero nello sport, idolo o bersaglio delle tifoserie di Alberto Bordi

Lo straniero nello sport, idolo o bersaglio delle tifoserie di Alberto Bordi

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 La proprietà commutativa sembra adattarsi al binomio sport e integrazione e se il contesto sportivo risulta essere un ambito privilegiato per promuovere l’integrazione, anche l’integrazione può essere definita uno sport particolarmente salutare

 per vivere al meglio, sotto tutti i profili, l’incontro con gli ospiti, con i diversi, anche se la storia ci ha insegnato a che anche i grandi eventi di sport possono far dimenticare quei valori che ne rappresentano la connotazione più apprezzabile ad ogni latitudine. Memorabile l’episodio che ebbe protagonista il campione di atletica Jessie Owens, un americano di colore che nel corso dell’olimpiade di Berlino del 1936 osa vincere la gara di salto in lungo superando l’atleta tedesco più famoso, per di più alla presenza di Adolph Hitler, che, si racconta, abbia preferito lasciare anzitempo lo stadio piuttosto che stringere la mano  all’atleta di razza non ariana.

Al di là di questo episodio, il binomio sport e integrazione appare inscindibile e costante nella intera storia dell'umanità, dalle gare di Olimpia fino alla più recente edizione dei giochi olimpici moderni, in programma a Londra nell’estate di quest'anno. Anzi, la diversità ha esercitato un ruolo positivo nello sport, agendo come un potere attrattivo, per gli spettatori, direttamente proporzionale alla multietnicità ed alla  varietà dei popoli rappresentati nelle gare, quasi una festa resa più apprezzabile dalla componente eterogenea degli invitati. A cementare gli incontri tra i singoli atleti come pure tra compagini contrapposte è da  oltre duemila anni un collante straordinario, chiamato sudore, che è insito nella natura umana, un liquido che è immagine emblematica dell'impegno, della fatica, dello sforzo, che nobilita ed accomuna i contendenti di ogni razza, di ogni fede, di ogni nazione.  Certamente nel mondo dello sport ci sono tante regole ma non barriere: di fronte al giavellotto, alla pedana dei lanci, ad una palla o ad una bicicletta c'è sempre una pista, un percorso, un campo di gara ed un traguardo che è uguale per tutti; saranno la preparazione, la volontà agonistica ed il talento sportivo a fare la differenza. Più che mai tutti gli uomini sono uguali nella esaltazione della vittoria come pure nella profonda mestizia della sconfitta, ma tali fisiologici atteggiamenti dei protagonisti di tutti gli sport non possono non cedere il passo al convinto  piacere di far parte dello stesso mondo, improntato alla libertà, alla uguaglianza ed alla fratellanza. Non è trascurabile il fatto che gli anfiteatri dell'antica Grecia non presentassero ordini differenziati nei posti per gli spettatori, a significare la rigorosa equiparazione degli spettatori di fronte all'evento, mentre dall'impero romano in poi si passò a settorializzare la platea, la cavea, riservando i posti privilegiati ai nobili ed alle classi detentrici di potere. Da sempre i nemici veri dello sport sono i comportamenti estremi ed esasperati del tifo (dal verbo greco tiphein= ardere, delirare) che portano a demonizzare l'avversario fino a renderlo aggredibile per ogni sua componente fisica, etnica, perfino politica o religiosa. Nonostante queste aberranti derive, purtroppo presenti e rinnovate in molti contesti civili, lo sport ogni giorno in ogni angolo di mondo è in grado di seminare comunicazione, convivenza, solidarietà, simpatia, amicizia, rispetto, salutare fisicità, valori  tutti riconducibili all'intera popolazione planetaria; è inoltre singolare come lo sportivo, in virtù di uno status non derivato ma sostanzialmente autogenerato, di norma sia lontano dalla basse e spesso banali etichettature congiunte alla razza o alla religione; l'asso dello sport, in particolare se famoso, è seguito, apprezzato, fotografato, amato, perfino idolatrato, dai propri sostenitori, lontano dagli epiteti vergognosi di cui sono talvolta oggetto i suoi conterranei i quali, anzichè essere protagonisti di grandi eventi sportivi, di prestazioni spettacolari o di record sensazionali, non vivono la propria quotidiana diversità sulle piste, sui campi di gioco o all'interno di stadi affollati,  ma nel corso del loro impegno a fare pizze, a cementare mattoni, a trasportare pesi d'ogni sorta, a fare i lavori che gli altri non vogliono fare, anche a pulire vetri di automobilisti infastiditi.

Anche i media sembrano allineati su una terminologia binomia, raffinata e generosa quando si celebrano eccellenze sportive, magari  riferibili a cittadini africani o sudamericani; standardizzata e preconcetta quando riferita a stranieri della medesima provenienza che non si esita a definire "extracomunitari, immigrati, profughi" o peggio ancora se coinvolti a vario titolo in fatti di cronaca.

Il 5 giugno, “giornata nazionale dell’integrazione” costituisce il momento conclusivo dell’evento  “identità e incontro”, promosso dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e finanziato nell’ambito del progetto MUSA – musica, sport e accoglienza, che ha  coinvolto decine di città italiane, richiamando centinaia di ragazzi, anche appartenenti a comunità per i minori.

 

E poi c'è il calcio, lo sport nello sport, lo spettacolo più popolare e più seguito, dove l'atleta, a maggior ragione se straniero, può diventare divo e mito, pur vivendo il suo protagonismo in un  macrocosmo dominato dall'effimero, ove l'esaltazione per un gol realizzato può lasciare, nel breve volgere anche di soli pochi minuti, il posto alla delusione più cocente per un rigore o un gol non segnato. Ed in quei frangenti l’attacco agli idoli scesi  dal trono punta frequentemente alla differenza di colore, di razza o di nazionalità.

Tante le iniziative, i tornei e gli incontri di calcio che hanno promosso e prodotto integrazione e non solo tra gli atleti ma anche tra le tifoserie, nel pubblico; a Scampia, per esempio, il presidente della squadra chiamata “liberiNantes F.C. può essere orgoglioso di essere riuscito a mettere su  una discreta compagine amatoriale interamente composta da rifugiati o richiedenti asilo. A Reggio Calabria i promotori di “Reggio a colori” riescono ad organizzare un campionato a forte presenza multietnica che dura cinque mesi,  esaltando il calcio come linguaggio comune per conoscersi e festeggiare insieme.

 

 

 

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