A molti il nome di Gian Giacomo Caprotti dirà ben poco eppure si tratta dell’allievo prediletto di Leonardo da Vinci, soprannominato dal grande genio toscano“Salai”o “Salaino”, probabilmente una derivazione dall'arabo salah, che indicava una potenza infernale, un piccolo diavolo.
Così doveva apparire il giovane pittore agli occhi del maestro, forse attratto dalla sua irrequietezza che spesso diventava baldanza e spavalderia. Insomma Salai era per Leonardo una specie di piccolo demonio, forse il suo giovane amante, spesso usato come modello. Per conoscerne le fattezze possiamo fare riferimento ad un quadro realizzato da un anonimo allievo di Leonardo, databile 1502 o 1503, in cui emergono i chiari lineamenti androgini del suo volto; il ritratto non può non richiamare il capolavoro leonardesco della Gioconda ed è singolare come Mona Lisa sia l’anagramma di Mon Salai. D’altra parte quelli ero tempi in cui una realzione omosessuale poteva costar cara ed essere sanzionata dalle autorità perfino con la morte
Gian Giacomo Capriotti era il terzogenito di Pietro de Oreno e Caterina Scotti. Aveva due sorelle, Angelina e Lorenziola. Entrò bambino nella bottega di Leonardo, sistemata in Corte Vecchia, a Milano, di fronte al Duomo e accanto all'Arengo, il 22 luglio del 1490. Fu lo stesso Maestro ad annotarlo su quello che allora era il primo foglio del Manoscritto C, oggi conservato a Parigi presso l'Institut de France: "Iacomo venne a stare con meco il dì della madonna del 1490, d'età d'anni 10".
Fino al gennaio del 1491, la pagina iniziale di quel Codice, ricco di appunti dedicati alla pittura e allo studio delle acque, continuò ad accogliere note di vita quotidiana, e in particolare le malefatte del giovane orenese. “Il secondo dì gli feci tagliare due camicie, un paro di calze e un giubbone, e quando mi posi i dinari a lato per pagare dette cose, lui mi rubò detti dinari della scarsella, e mai fu possibile farglielo confessare, bench'io n'avessi vera certezza – lire 4”. Tempo dopo, sul margine il Maestro aggiunse: “ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto”.
Nella produzione pittorica del “Salai-Caprotti”non passa inosservata la Monna Vanna (Joconde nue), in cui è presente anche la mano di Leonardo, oggi custodita in Svizzera, parte di una collezione privata. Particolare anche la figura di San Giovanni Battista, oggi alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, con vaghe anticipazioni dei tratti dell’Avatar cinematografico..
Il garzone di bottega, giorno dopo giorno, conquistò il bene e la fiducia dell'artista, fino a diventare insostituibile. Ogni spostamento li vide uno accanto all'altro. Seguì Leonardo in tutti i suoi viaggi, da Milano a Venezia, poi a Firenze, quindi di nuovo a Milano e infine a Roma. Ad accompagnare il maestro nel suo ultimo viaggio a Cloux furono invece Francesco Melzi e il fedele domestico Batista de Vilanis. Solamente quando la salute di Leonardo si aggravò, Salai si precipitò in Francia. Alla corte francese ricoprì il ruolo di "domestico" (è così che figura nel libro paga del re Francesco I). In realtà Salai rimase poco a Clos-Lucé, il piccolo castello di campagna messo a disposizione dal sovrano. Quasi certamente si spostò a Parigi. Di sicuro non era a Cloux il giorno in cui Leonardo redasse il testamento e non gli fu vicino neppure il 2 maggio 1519 quando morì. Nominato comunque fra gli eredi, Salai ritornò a Milano lo stesso anno, forse portando con sé alcuni dipinti del maestro. In eredità ricevette solamente metà della vigna in Porta Vercellina, che la famiglia Caprotti occupava da almeno vent'anni. Morì nel 1524, sembra, per una fucilata accidentale, altri dicono per un'imprudenza nel maneggiare l'arma, altri ancora in una rissa.