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Home Arte cultura e tempo libero “Se Bollywood sbarca in Italia” di Valeria Bordi

“Se Bollywood sbarca in Italia” di Valeria Bordi

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Tra i fenomeni legati alla presenza dei cittadini indiani non va trascurato il ruolo del cinema di “Bollywood”, che si fonda sul trapianto del mondo hollywoodiano nella città di Bombay e che ora riscuote successo anche nel nostro Paese

India, terra di sapori e odori speziati, di sacralità e di misticismo, cui l’Italia è legata da forti interessi economici, tanto da essere annoverata come partner strategico oltre che quinto fornitore europeo, anche in virtù di consistenti importazioni verso il continente indiano di macchine utensili, apparati elettronici, perfino di navi, mentre la progettazione condivisa sembra incentrarsi sulle automobili di piccola cilindrata e sul food processing, ancora poco conosciuto in una economia che può vantare la posizione di primo produttore di cibo al mondo. Citando l’ex Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, questi “sono gli anni dell’India” ma, a dispetto dell’unanime considerazione di “Paese emergente”, i flussi migratori da queste terre verso il nostro Paese non accennano a diminuire e anzi la crescita di residenti nei diversi comuni italiani è sempre sostenuta. Nel 2006 gli indiani residenti in Italia si aggiravano sulle 70mila unità, quasi raddoppiate nel 2010 e disseminate in circa 4mila comuni, con maggiore concentrazione in Lombardia (circa 50mila), seguita da Emilia-Romagna (17mila), Veneto e Lazio (15mila), impiegati prevalentemente nei settori della ristorazione, del turismo alberghiero e del commercio ambulante. Un piccolo rivolo del miliardo e duecento milioni di indiani che popola le terre sud-asiatiche, secondi, con il 17% della popolazione mondiale, solo ai cinesi.

Praticamente assenti dalle cronache per fatti di criminalità, gli indiani hanno una spiccata vocazione per l’agricoltura, nella quale esprimono un impegno stakanovista e un comportamento generalmente rispettoso, che li rende particolarmente apprezzati dai datori di lavoro, che in molti casi sono protagonisti di uno sfruttamento sistemico. Non a caso la concentrazione di comunità indiane si registra in macroaree caratterizzate dalle coltivazioni intensive: tra le prime 15 località per residenti indiani figurano Sabaudia, Fondi, Terracina e Anzio, tutte in

posizione rivierasca e interessate da un bacino orto-frutticolo di rilievo.

Nel 2011 l’International Herald Tribune ha dedicato un lungo reportage, con il titolo “I contadini indiani permettono al latte italiano di continuare a scorrere”, alla realtà della provincia di Cremona dove ancora oggi si continua a registrare una copiosa presenza di immigrati indiani del Punjab, per lo più sikh. Ad essi va riconosciuto un ruolo predominante nel mantenimento di quella cultura agricola e rurale che andava scomparendo, sostituendosi ai giovani italiani “che non vogliono lavorare con le vacche”. Ecco cosa ha creato l’incontro con gli indiani, da sempre annoverati tra i destinatari dei decreti flussi stagionali che ogni anno permettono l’accesso a una manovalanza apprezzata dall’imprenditoria nostrana. Quindi un successo sotto il profilo economico ma soprattutto nell’ottica dell’integrazione, che si realizza solamente in presenza del rispetto reciproco delle identità culturali e politico-religiose tra comunità accogliente ed etnia ospitata, senza alcun tentativo di sovraordinazione o di imposizione dell’una da parte dell’altra.

In questi termini risulta possibile l’integrazione e quindi uno scambio simbiotico tra le civiltà coinvolte, che comprende arte, cultura, cinema, ballo, gastronomia e quant’altro, includendo talvolta anche gli stili comportamentali e le concezioni filosofiche ad essi correlate. Certo è che, in presenza di una convivenza integrata, non sempre le reazioni sono indolori e non è raro avvertire negli indiani giunti nel nostro territorio una fisiologica diffidenza verso il popolo ospitante, quasi si sentissero violati o derubati di qualcosa che appartiene solo a loro e che un occidentale può solo sminuire o non comprendere. La costruzione di templi induisti in Italia può essere invece letta come un segnale chiaro di disponibilità e di fiducia da parte delle pubbliche amministrazioni italiane nei confronti di questa popolazione immigrata. Prossima al completamento, nel mantovano, è la costruzione di uno dei più grandi templi induisti, fortemente voluto dall’associazione locale Shri Hari Om Mandir. Un altro evento significativo in ordine al processo di integrazione in atto è l’inaugurazione del tempio sikh di Pessina Cremonese, uno dei Gurdwara più grandi d’Europa e alla cui apertura hanno partecipato circa seimila sikh provenienti da tutto il Nord Italia. I Gurdwara sono luoghi aperti a tutti, perché alla base del sikhismo c’è proprio il concetto dell’accoglienza nei confronti dell’altro, tant’è vero che annessa a ogni tempio c’è sempre una grande cucina, chiamata langar, dove chiunque arriva deve essere sfamato e ospitato gratuitamente, come segno del fatto che Dio accoglie tutti, a prescindere dalla religione o dalla etnia.

Nel contesto integrativo dei cittadini indiani in Italia non va trascurata una componente, apparentemente lontana e marginale, che si chiama “Bollywood”, un fenomeno che si fonda sul trapianto del lucente mondo hollywoodiano nella città di Bombay, che ha avuto un impatto dirompente sulla popolazione indiana, letteralmente stregata dalle storie cantate e ballate nella cinematografia dei registi made in India. Tra intermezzi di balli coinvolgenti e di musiche festose, le storie d’amore si intrecciano, con tonalità garbate e gradevoli sipar

ietti, alle tematiche sociali più disparate, con epiloghi spesso a lieto fine. Un cinema/musical decisamente particolare, spesso manicheo per la marcata riconoscibilità delle presenze positive rispetto a quelle malvagie nell’intreccio proposto, un’arte/industria che proprio quest’anno compie il suo centesimo anno di vita. In tutto il mondo impazzano celebrazioni, festival, rassegne e galà che non possono essere in alcun modo ignorati dagli indiani sparsi in ogni angolo del pianeta.

La data del primo vero lungometraggio è in realtà controversa, essa dovrebbe orientarsi intorno al 1912 o il 1913, tuttavia l’esplosione del cinema popolare cominciò dopo l’indipendenza,con una differenziazione tra il cinema impegnato, quello girato a Calcutta, e quello di “cassetta” prodotto in altre location. La produzione nazionale è in grado di sfornare circa 1.500 film l’anno, un numero da capogiro, inducendo milioni di persone a fare file estenuanti per avere un “pass” per assistere all’ultimo film, per vivere un altro sogno indiano. Paradossale appare, però, il fatto che questo business per anni sembra essere stato finanziato e gestito dalla mafia locale, i cui boss riciclavano i proventi del contrabbando e del traffico d’armi e droga. Le star sono venerate al pari degli dei e l’importanza di queste celebrities è stata confermata anche dall’annuale lista della rivista Forbes che ha incoronato Shahrukh Khan come il più grande “divo” indiano sia per successo che per guadagni.

I personaggi dei film si muovono tra identità tradizionale e confronto con la società occidentale, i modelli proposti sono in gran parte tradizionali, data la prevalenza dell’autorità paterna, della famiglia numerosa e delle sue esigenze;

il tempio, le cerimonie e le feste continuano a occupare un posto molto importante malgrado l’apertura e la contaminazione verso generi più occidentali, come thriller o fantascienza, non accenni a fermarsi. Tra i nomi di attori di questi ultimi anni come non citare Salman Khan, spesso impegnato in ruoli di macho imperturbabile ma con quell’ironia e quella giusta dose di scazzottate che richiamano tanto alla memoria le avventure delle pellicole nostrane interpretate da Bud Spencer. Tra le stelle bollywoodiane figura anche Shahid Kapoor, straordinario ballerino che ha tentato di uscire dallo stereotipo di bravo ragazzo che ha sempre interpretato, con una toccante interpretazione nel film “Mausam”. Tra le attrici affermate, spesso venerate, vanno citate Madhuri Dixit, Kajol, Rani Mukherjee, cui si affiancano le nuove promesse Anushka Sharma e Sonashki Sinha. Malgrado l’affermazione sul mercato interno, l’industria cinematografica indiana è sempre più rivolta a un pubblico mondiale e questo ha determinato da un po’ di tempo lo sviluppo di trame più elaborate, ma anche più impegnate nel sociale e in tematiche controverse come nel film “Dil se” dove la storia d’amore tra i due protagonisti diventa il pretesto per dipingere la dolorosa situazione del terrorismo kashmiro. Un'altra pellicola che ha ottenuto un grandissimo riscontro in Occidente è “Il mio nome è Khan”, storia ambientata sullo sfondo della tragedia dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle, incentrata sulle vicende di un giovane affetto dalla Sindrome di Asperger, che scoprirà, oltre all’amore, anche il dolore per la morte del figlio acquisito, picchiato solo per quel cognome che gli occidentali continuano ad associare automaticamente al terrorismo islamico. Da quel momento comincerà un lungo viaggio del protagonista in tutti gli Stati dell’America solo per raggiungere il Presidente e riferire “il mio nome è Khan e non sono un terrorista”. Il lungometraggio ha peraltro riconfermato al vertice dell’Olimpo cinematografico la coppia d’oro Sharhukh Khan-Kajol. Negli ultimi tempi le produzioni indiane hanno cominciato ad apprezzare come location anche il nostro Bel Paese, in particolare la Puglia, considerando anche il fatto che a Cisternino, noto centro del brindisino, risiede una rigogliosa comunità indiana. L’ashram di Cisternino, noto come Centro Bhole Baba, oggi Fondazione Bhole Baba, è sorto nel 1979 per volere del Mahavatar Babaji. La vita del Centro si svolge seguendo il modello dell’ashram di Herakhan, alternando la meditazione e la preghiera col lavoro comunitario. Nell’ashram di Cisternino, dal 1986, è presente un tempio identico a quello di Herakhan. Babaji stesso volle questo tempio come simbolo di unione profonda col suo ashram in India. Chiunque può partecipare ai riti o risiedere nell’ashram per un determinato periodo, soprattutto nei mesi estivi, periodo in cui si svolgono vari seminari, attività o incontri. Per chi è intenzionato a un approccio più ravvicinato a tale affascinante mondo o è desideroso di imparare la lingua hindi in modo leggero o desidera solamente godere della gioiosità ma anche della profonda spiritualità dei film bollywoodiani, si segnala a Roma, nel quartiere multietnico di Piazza Vittorio, la presenza di negozietti in grado di fornire, in dvd, il meglio della cinematografia indiana, oppure vestiti tradizionali per potersi calare ancor di più nell’atmosfera “speziata” del cinema indiano.

Proprio qui si può toccare con mano il crescente interesse per tale fenomeno anche da parte degli italiani. Nella Capitale sono molte le iniziative che testimoniano il grande interesse verso questa cultura, anche per quanto riguarda la danza tradizionale. Una su tutte la compagnia Apsaras dance company, concepita nel 2005 dalla fondatrice Valentina Manduchi, specializzata in “Bollywood dance” insieme a ballerine professioniste qualificate in danza classica indiana, balletto classico, danza del ventre e altre discipline. Il grande pregio di tale compagnia risiede non solo nelle colorate e coinvolgenti esibizioni, ma anche nel portare esponenti

dei diversi stili di danza indiana nel nostro Paese, proponendo interessanti e entusiasmanti stage, aperti a tutti gli appassionati. Tra questi merita una citazione il masterclass di banghra con Ravi Deep Kundan e la sua affascinante moglie italiana, che hanno fondato una delle prime compagnie in Italia di questo caratteristico ballo del Punjab, e avviato una vera attività di servizi di intrattenimento ed esibizioni nei matrimoni indiani celebrati nel nostro Paese, e quello di Karan Pangali, giovane ballerino, già partecipante al programma “just dance India” e ora coreografo e insegnante, pronto a condividere le sue abilità nei diversi stili di danza indiana e non solo. Al teatro degli Arcimboldi di Milano, nel 2010, un grande successo ha salutato il musical “Bharati”, con 60 ballerini e 900 costumi. Il cinema indiano, come la cultura e la comunità indiana, avanza senza sosta e strizza l’occhio al mondo occidentale. Un mondo che, nel nostro Paese, ha trovato lavoro e vive, in piena libertà, le proprie feste, le proprie tradizioni, e festeggia le proprie ricorrenze religiose e che noi dobbiamo rispettare evitando di cadere continuamente nel becero stereotipo di chiamare un sikh con la barba “Osama Bin Laden”.

 

(Pubblicato nella rivista “libertà civili” n.6 del 2012)

 

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