Secondo classificato al Primo concorso letterario intitolato a Luigi Squitieri avente per tema "Oltre il quotidiano storie di emozioni ed incontri"
Quante volte abbiamo avuto il desiderio di andare oltre ma ci siamo bloccati per timidezza, per paura, per quel senso di inadeguatezza che non ci ha mai permesso di spiccare il volo.
Quante volte ci siamo sentiti accusare di essere andati troppo oltre.
Quante volte abbiamo invidiato, di una sana invidia, chi è riuscito ad andare oltre, conquistando quegli spazi e quei momenti che avremmo voluto fossero nostri.
Ma quante volte siamo andati oltre pentendoci di averlo fatto o uscendone soddisfatti….
Ancora una volta ripresa per la camera in disordine, un altro brutto voto all’interrogazione di matematica e, come se non bastasse, colta di sorpresa al rientro da scuola mentre me la ridevo con l’amica del cuore fantasticando sui nostri amori improbabili … con la sigaretta in bocca!
Fu così che mio padre il giorno dopo mi fece saltare scuola, ma intendiamoci, non per premiarmi ma per farmi capire quale fosse l’importanza dello studio e la durezza del lavoro.
Mi fece infatti trascorrere la giornata con lui e fu veramente una giornata indimenticabile, fantastica, di quelle che ti cambiano la vita.
Mio padre faceva il giardiniere, e andava a potare piante, rastrellare foglie e tagliare erba per diverse famiglie, molto spesso questo lo portava lontano dal quartiere semplice e modesto in cui abitavamo.
Quel giorno doveva occuparsi del giardino di una delle famiglie più ricche e potenti intorno alla quale giravano le voci più disparate. Mio padre si raccomandò di non allontanarmi mai da lui.
Il maestoso giardino era chiuso da una muraglia gigantesca ed era stato realizzato in stile giapponese, con i suoi tre elementi basilari indispensabili: acqua, roccia e verde.
L'acqua, che simboleggia la vita deve scorrere da est ad ovest, come il sole quando sorge e tramonta.
Le rocce bianche e rotonde, invece, ci donano un’atmosfera di pace. E’ fondamentale posizionarle in modo giusto perché esse devono dare l'impressione di essere in quel posto da sempre.
Il giardino deve essere verde tutto l'anno, soltanto nella primavera si assiste alla fioritura dell'azalea, del rododendro, della camelia.
Ogni cosa assume un preciso significato e la finalità è quella di infondere serenità, pace ed armonia.
In contrapposizione alla serenità del giardino, si presentava al centro di esso un inquietante labirinto dove, dicevano, fosse facile perdersi, ma non tanto per la complessità del suo disegno quanto per il fatto che il suo percorso era in continuo movimento e cambiamento.
Non solo. Percorrendolo ci si poteva imbattere in animali e cose parlanti, personaggi appartenenti al passato o al mondo fantastico.
Mentre mio padre era intento alla potatura di formazione dei bonsai centenari presenti nel giardino, io guardai il labirinto con sospetto e al tempo stesso curiosità. Quest’ultima alla fine prevalse e, dopo un giro di ricognizione attorno alla folta parete di bosso, decisi di avventurarmi all’interno certa di scoprire che tutte le voci sul labirinto non erano altro che sciocche credenze e dicerie.
Superata la soglia provai subito la sensazione di essere in uno di quei luoghi dove si radunano maghi e streghe per il Sabba.
Mi ritrovai presto circondata dalle pareti di bosso e con l’orizzonte limitato da una barriera di tigli e di carpini, senza avere più alcun punto di riferimento. Il percorso a scelte, le
irregolarità e le pareti curve, tutte uguali, i tratti ciechi, gli incroci, le biforcazioni mi portarono in brevissimo tempo allo smarrimento e mi fecero capire immediatamente che più che in un labirinto mi trovavo in un dedalo.
I continui cambi di direzione mi fecero perdere l’orientamento e mi ritrovai più volte negli stessi luoghi appena percorsi.
Decisi allora di segnare il mio cammino. Cominciai a strappare le foglie dalle siepi per poter lasciare dietro di me una traccia del mio passaggio.
Con stupore mi resi conto che ogni volta che toglievo una foglia sentivo levarsi un lieve gemito. Cominciai a guardarmi attorno. Sentivo la presenza di mille occhi su di me.
Presi una delle tante svolte ed incappai con mio grande stupore in un alto uomo in uniforme.
Sul petto erano appuntate numerose medaglie e lui, accortosi che il mio sguardo si era fermato su di esse, cominciò, con fare tronfio, a narrarmi delle numerose vittorie riportate sconfiggendo e soggiogando il nemico. Aveva un atteggiamento altezzoso e fiero ma la tristezza dei suoi occhi contrastava con la lucentezza e i bagliori emanati dalle medaglie e dalle sue parole.
Si congedò con fare signorile. Dopo aver ricambiato il suo saluto mi voltai e lo vidi allontanarsi con le spalle incurvite.
Ancora non mi ero ripresa dallo stupore di quell’incontro che mi sentii sfiorare la spalla con tocco lieve e delicato. Mi voltai e vidi una bellissima donna, ben vestita e adornata da raffinati gioielli.
Aveva grandi occhi neri, labbra rosse e carnose. La sua eleganza e le sue movenze emanavano femminilità e sensualità.
Nel vedermi turbata, mi sorrise con dolcezza e mi rivolse la parola quasi sussurrando.
Mi raccontò delle sue tante conquiste, dei suoi tanti amori veri e
presunti. Della ricchezza e dello sfarzo in cui aveva vissuto.
Una vita nel corso della quale non aveva mai pronunciato la parola “rinuncia”.
Parlava con entusiasmo di viaggi, di regali fatti e ricevuti, delle molte persone con le quali il suo destino si era incrociato ma mai unito.
Il suo tono era brioso ma si avvertiva lo sforzo che la donna stava facendo per mantenerlo tale.
Mi salutò stringendomi in un caloroso abbraccio e quando si staccò da me vidi che i suoi occhi erano velati da copiose lacrime trattenute.
Ripresi il cammino e ormai il pomeriggio stava volgendo al termine. Cominciai ad affrettare il passo per cercare di uscire al più presto da quel posto sempre più sconcertata dagli incontri appena fatti.
Ancora un incrocio, ancora una biforcazione, una scelta. Chiusi gli occhi e mi feci guidare dall’istinto. Con passo deciso imboccai il vialetto alla mia sinistra e cominciai a correre.
Stavo per oltrepassare un piccolo sentiero che si apriva alla mia destra quando urtai con il piede contro qualcosa di metallico che mi fece rotolare a terra. Carponi, con le ginocchia doloranti per l’impatto sul selciato, alzai lo sguardo che incrociò quello di due occhi vispi e sorridenti che davano luce al bel volto di un ragazzo.
Rapita da quello sguardo solo dopo un po’ mi resi conto che l’oggetto che aveva causato quella rovinosa caduta era la ruota della carrozzella sulla quale era seduto il giovane.
Mi rivolse la parola divertito. Mi disse che si riteneva fortunato perché ormai non poteva più capitargli d’inciampare e cadere!
Mi raccontò dell’incidente che lo aveva inchiodato su quella sedia. Il suo tono era sereno e pacat
Mi disse da quanto amore era attorniato, amici che lo sostenevano e incoraggiavano ma mai facendolo sentire diverso. Della sua donna, sempre attenta e pronta a far fronte alle sue necessità senza mai essere infastidita o appesantita dalla situazione in cui si trovava.
Mi fece vedere attraverso i suoi occhi quanto fosse bella la vita.
Mi fece viaggiare attraverso la barriera della siepe e mi fece scoprire i mille colori che il cielo aveva preso, la miriade di meravigliosi animali ed insetti che allegramente ci giravano attorno.
E’ incredibile come prima di quel momento io non mi fossi accorta di tutto ciò. Il mio sguardo non era mai andato oltre la siepe.
Le sue parole mi accompagnarono fino all’uscita del labirinto e il suo saluto fu gioioso.
Appena uscita trovai mio padre furioso per la mia ennesima disobbedienza.
Normalmente alle sue sfuriate seguivano le mie audaci e pungenti repliche alle quali si aggiungevano spesso copiose lacrime di rabbia.
Lo lasciai sbalordito quando, guardandolo con occhi pieni d’amore, lo abbracciai e baciandolo lo ringraziai.
Lui non capii ma io, grazie a lui, avevo appena appreso il vero senso della vita.