Ancora una mattina con una sveglia fastidiosa. Fuori, sugli alberi intorno alla mia casa, la natura è indaffarata, si prepara al nuovo giorno cantando inni tribali. Per me tutto inizia sempre con qualche sbuffo e tante attese. La luce del sole mi fa incuriosire e mi chiedo cosa accadrà oggi; ma si può vivere aspettando qualcosa o qualcuno che possa dare una scossa, un piccolo terremoto, un’emozione? Si può correre intere settimane aspettando un venerdì in grado di riscattare anonime serate e superficiali relazioni? Saltello su un piede solo per calzare quegli strumenti di tortura che noi donne chiamiamo scarpe, cercando di velocizzare le operazioni altrimenti arrivo tardi.
Autostrada incasinata, code e nervosismo… almeno arrivasse questa primavera che si annuncia e scompare nuovamente vinta dal grigio di un cielo arrogante. Lascio le mie cose e riparto. Riunione fuori… prenderò la metropolitana.
Questa stazione, nella pancia di Roma, è sempre stracolma, a qualunque ora. In un termitaio saremmo più soli! Arriva il metrò, ma il mio posto è ridotto a un angolo sulla porta e si riprende la corsa, tutti insieme appassionatamente, tanti suoni e tanti odori colpiscono i miei sensi. C’è talmente tanta gente che oggi è sospeso il servizio supplementare di “musica dal vivo” dei vari disperati alla ricerca di spiccioli. I turisti sono euforici e intrecciano lingue del mondo e meraviglia, stupore per una città che è sempre un miracolo per gli occhi. Penso all’effetto che può fare questa città a chi non ha la fortuna di viverci… noi siamo anestetizzati alla sua prepotente bellezza.
Fermata brusca del treno e il mio sguardo distratto va oltre le porte, fuori dove ci si accalca alla conquista di una collocazione dignitosa, e ti vedo. La tua andatura un po’ claudicante stona con la tua ricercata eleganza ed il caso ti costringe a starmi vicino.
Percorriamo insieme un tratto di vita e mi sorridi. Per una manciata di minuti le nostre esistenze si sovrappongono in una vicinanza quasi imbarazzante.
Respiro il tuo profumo e i tuoi sorrisi. La situazione mi costringe a riflettere e trovo che, nonostante tutto, non c’è niente di equivoco o provocante in quello che, forse, non sta accadendo. La vita ci conduce talvolta ad attraversare altre vite, a spiare i display di cellulari irrequieti, ad ascoltare la musica che non avremmo mai scelto, ad essere parte di confidenze intime regalate sottovoce nel rumore delle ruote sulle rotaie.
Ascolto il mio cuore e sento un calore dentro che mi infonde una sensazione di protezione, ne ho bisogno. Questo è un momento di particolare solitudine emotiva e questo tacito sostegno mi fa stare bene senza troppi perché.
Le fermate si susseguono e la fauna metropolitana si scambia il posto, chi sale, chi scende incontro alle sorprese di una giornata uguale alle altre. L’ufficio può aspettare e mi crogiolo accanto a questa entità sconosciuta quando le porte si aprono e mi saluti, discreto, prima di andare via.
Sei scomparso in un attimo e non saprei neppure riconoscerti se dovessi incontrarti ancora. Un lieve, forse immaginario, soffio mi accarezza, mi pervade mentre la mia mano scivola in tasca. Resta tra le dita una piccola candida piuma e una certezza si fa spazio nella parte irrazionale di me e scava nella mente: tu sei il mio angelo custode.