Racconto visionario ed estemporaneo in cui è descritto un viaggio insolito, che parte da un circo ed arriva alla poesia; la peculiarità sta nel fatto che sono citate tutte e quaranta le figure delle carte del gioco Mercante in fiera
Questa storia inizia in un circo, dove lavoravo insieme alla mia inseparabile giraffa. Dopo essere stato ferito in un numero con un gigantesco orso bianco, decisi di cambiar vita e di fare un lungo viaggio su una nave. A bordo di una specie di caravella da crociera conobbi una donna di grande fascino, dallo sguardo ammaliante da gitana, una spagnola. Giunti in Egitto, durante una visita alle piramidi, la bruna donna di Siviglia mi confidò di amare più gli animali che gli uomini. Nei giorni seguenti le confidenze si spinsero sempre più in là, fin quando, nel corso di una cena notturna a base di funghi porcini, volle farmi partecipe del suo segreto più profondo, quello di avere come amante un cane. Quella notte, mentre finivamo di consumare un delizioso piatto di pesci ed uva, anch’io mi sentii di liberare il mio cuore e fu cosi che le raccontai del mio tormentato amore con una giapponesina, dalla quale avevo avuto una figlia, che, in omaggio alla natura, avevamo chiamato flora. Oky Uri era un essere di rara bellezza ma di singolare stranezza: viveva all’interno di una pagoda e dormiva in compagnia di un elefante che riteneva incarnazione di una divinità. Cercai di reagire a quella situazione paradossale in tutti i modi; tentai perfino di familiarizzare con un rinoceronte ma la convivenza a quattro si rivelò immediatamente impossibile per cui decisi di ritirarmi in un castello ubicato sulle sponde di un lago. Speravo di trovare la un po’ di pace ma mi accorsi presto che il vecchio maniero rappresentava il nido preferito per i colombi della zona. Un giorno avvenne qualcosa di particolare: una imponente quantità di rondini invase il salone delle armature costringendomi a riparare nella stanza da letto. Sul davanzale della finestra notai un usignolo che teneva nel becco un piccolo biglietto, che senza indugio aprii e lessi: “non fare l’eremita, torna ad essere leone, riprendi la tua vita". Quella serie di eventi mi persuase ad andar via: dopo due giorni e due notti in sella al mio cavallo Orinoco, raggiunsi il faro dove viveva la mia famiglia. Mio padre, vecchio ma indomito maresciallo, mi raccontò, di fronte al fuoco del camino, come una luce particolare avesse attraversato il cielo quando ero solo un lattante, disegnando sulla mia fronte il segno della luna. Forte del consiglio paterno, decisi di riprendere la via del mare. Durante una tempesta, udii un grido d’aiuto e tra le onde scorsi la sagoma di un uomo che stava per annegare, era un arabo caduto tra i flutti per rincorrere una bella e rarissima farfalla. L’uomo stava per essere letteralmente ingoiato da una gigantesca balena allorchè mi gettai nelle acque gelide dell’oceano, riuscendo con grande fatica a salvare il malcapitato. Alla scena aveva assistito in lacrime la moglie dell’uomo, una dama di grande raffinatezza, sempre accompagnata da uno stupendo esemplare di gatto selvatico. Mi venne vicino, mi abbracciò con grande calore, mi ringraziò, regalandomi infine una pesca. Che strano regalo per un atto d’eroismo! Dopo il primo morso al frutto, come d’incanto, mi apparve un pappagallo brasiliano che con voce squillante proferì queste parole “fai il mercante in fiera, cerca un martin pescatore e sarai felice. Sbarcato nella città dei dogi, venni a sapere che in una piazza di Venezia per tre giorni si svolgeva una fiera unica al mondo dove si vendevano animali d’ogni mole e tipo. Cercai di saperne di più e due giocatrici della palla a volo mi dissero che il mercato di Noè, quello dei mille animali, si teneva nella villa delle primole. Dopo aver camminato per circa mezz’ora nella direzione consigliata, mi misi a seguire un bersagliere circondato da sei graziose gazzelle, che mi condussero all’ingresso del mercato. Qui un canguro alto più di due metri metteva nel marsupio i soldi dei visitatori; più avanti un cervo lanciava con le corna una palla in alto per poi riprenderla e rilanciarla ancora con estrema abilità. Cose mai viste; c’era un’atmosfera di festa, di grande elettricità negli animi, ma senza paure. Ad un certo punto una faccia da pirata, con un falco in spalla e tanto di uncino in luogo della mano destra, mi sussurrò all’orecchio “sei vicino alla mèta, ora vai nella collina delle conchiglie”. Presa quella direzione, ad un certo punto, nel mezzo della folla, una ragazza vestita da mietitrice si piantò dinanzi a me, sorrise, mi prese la mano e mi sussurrò all’orecchio: “io sono quella che hai sempre cercato, io sarò la compagna della tua vita, il mio nome e' poesia”.