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Home Le decisioni dei giudici Con la sentenza n.8230 del 2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione mettono un punto fermo sulla validità delle transazioni immobiliari

Con la sentenza n.8230 del 2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione mettono un punto fermo sulla validità delle transazioni immobiliari

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Un immobile è incommerciabile ed il relativo atto di trasferimento è nullo se il venditore non dichiari il titolo in base al quale è stato costruito l'immobile oppure se risulti che detto titolo sia inesistente o riferito ad un fabbricato diverso da quello venduto

 

 

In sede di compravendita immobiliare,  le parti interessate, gli avvocati ed i  notai non possono non tenere conto della sentenza  delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 8230 del 22 marzo 2019 che ha fissato taluni principi fondamentali  in merito alla validità dell’atto di passaggio di proprietà.

Il puntuale riferimento a detta sentenza risulta valido ed indefettibile anche dopo la legge Salvini “Salva casa” n. 105 del 2024

La Suprema Corte, intervenuta a sanare il contrasto nella giurisprudenza della Sezione Seconda relativamente alla interpretazione della natura della sanzione di nullità prevista dalla “sanatoria” L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, e art. 46 del TU n. 380 del 2001 entrato in vigore il 30.6.2003, ha stabilito che gli atti di trasferimento di immobili difformi da quelli descritti nel titolo urbanistico sono validi a condizione che gli estremi del titolo menzionati nell’atto siano reali e non mendaci  e riferibili a quell’immobile, mentre è irrilevante e non costituisce motivo di nullità la conformità o difformità dell'immobile rispetto al titolo menzionato. E’ di tutta evidenza come il principio affermato dalla Corte Regolatrice sia  di estrema importanza e risolva uno dei temi più delicati relativo alle operazioni commerciali in campo immobiliare.

 

Ampio e dettagliato  l’excursus svolto dagli ermellini  sulla copiosa normativa che regola la  materia dell’ edilizia  e sulla giurisprudenza correlata, come quella sulla famosa legge Bucalossi (n.10/1977), compiendo una attenta disamina  sulle  tesi formaliste e sostanzialiste in materia di nullità, fonte del contrasto esegetico  venutosi a determinare.

Le Sezioni Unite, a soluzione del contrasto, hanno così affermato i seguenti principi di diritto :” - La nullità comminata dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, e dalla L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40, va ricondotta nell'ambito dell'art. 1418 c.c., comma 3, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità "testuale", con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un'unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell'immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell'immobile." "In presenza nell'atto della dichiarazione dell'alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all'immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato".

In ballo  ci sono l’esigenza  l’esigenza di tutela dell’affidamento dell’acquirente e l’esigenza di prevenzione degli abusi.

La tesi sostanzialista della nullità delle transazioni immobiliari, alla stregua della normativa  citata (47 del ni  1985 e 380 del 2001) , rappresentava un rilevante ostacolo alla compravendita di beni immobili non conformi al titolo, perché costringeva i professionisti del settore immobiliare, l'acquirente ed il notaio rogante di accertasi della c.d. regolarità urbanistica del bene, ovvero della conformità reale del bene a quello descritto nelle planimetrie allegate alla richiesta del titolo abilitativo, al fine di garantire la commerciabilità del bene e quindi la validità della vicenda traslativa.

 

L’intervento della Corte  scioglie un nodo importante, capace peraltro di incidere sul principio della continuità delle trascrizioni di cui all'art 2650 c.c., assicurando la commerciabilità giuridica del bene immobile e rendendo peraltro più agevole il compito dei notai e dei professionisti del settore.

Esso ha il pregio di  evitare all'acquirente il rischio di subire le eventuali azioni restitutorie del venditore ed una sensibile riduzione del valore dell'investimento realizzato e mette al riparo i notai dalla responsabilità professionale e disciplinare discendenti dalle norme contenute nell’ordinamento  professionale del 1913.

In estrema sintesi,  un bene immobile è incommerciabile ed il relativo atto di trasferimento è nullo se:

1) il venditore non dichiari in atto in forza di quale titolo è stato costruito l'immobile che intende alienare;

2) il venditore dichiari che l'immobile è stato costruito in forza di titolo abilitativo che poi si dimostri inesistente o riferito ad un fabbricato diverso da quello venduto.

In mancanza di tali condizioni, l’atto, alla luce della sentenza delle sezioni Unite del 2019,  resta valido anche se poi si dimostri che il manufatto sia stato realizzato in maniera difforme rispetto a quanto previsto dal titolo stesso.

Ovviamente, resta  immutata la questione circa la  regolarità urbanistica del bene immobile, il quale, laddove si rivelasse difforme rispetto al titolo urbanistico, resterebbe soggetto, senza limitazioni di tempo, all'azione repressiva della pubblica amministrazione, fatta salva la possibilità di sanatoria della difformità in forza della normativa vigente ( in particolare l'art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 - t.u. edilizia e delle altre norme applicabili alle fattispecie concrete).

Tale approccio  ermeneutico, che ha il pregio di render chiaro il confine normativo dell’area della non negoziabilità degli immobili, a tutela dell’interesse alla certezza ed alla sicurezza della loro circolazione, appare, quindi, al Collegio quello che meglio rappresenta la sintesi tra le esigenze di tutela dell’acquirente e quelle di contrasto all’abusivismo: in ipotesi di difformità sostanziale tra titolo abilitativo enunciato nell’atto e costruzione, l’acquirente non sarà esposto all’azione di nullità, con conseguente perdita di proprietà dell’immobile ed onere di provvedere al recupero di quanto pagato, ma, ricorrendone i presupposti, potrà soggiacere alle sanzioni previste a tutela dell’interesse generale connesso alle prescrizioni della disciplina urbanistica.

 

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