Sentenza della Corte di Cassazione n. 234 del 2013. Ribaltato l'avviso espresso al riguardo dal Giudice di Pace
I fatti: nel corso di una animata discussione un lavoratore di 65 anni perde le staffe e si rivolge al proprio capo dicendogli “lei non capisce un c…..” Indipendentemente dalla intelligenza del capoufficio, il collaboratore non avrebbe dovuto ingiuriare in quel modo il suo interlocutore, perché quell’atteggiamento costituisce, secondo la Corte di Cassazione, un reato. La decisione della suprema corte, n.234 del 2013, ha così ribaltato la precedente decisione del Giudice di Pace, conclusasi con un verdetto di assoluzione per il dipendente, in quanto l’espressione utilizzata nell’animata discussione è entrata nell’uso comune come formula di totale dissenso ma scevra da un mirato intento offensivo a danno dell’interlocutore. Per la Procura, invece, la frase oltraggiosa, esaminata nel contesto considerato, ha rappresentato una volgare affermazione di totale incapacità all’indirizzo del responsabile dell’ufficio.
Secondo gli “ermellini”, al di là della riconducibilità o meno della volgare espressione al parlare comune, nel caso di specie essa ha assunto un carattere ingiurioso in quanto connotata da particolare asprezza di tono nel contesto esaminato, andando al di là di un mero contrasto di opinioni e connotandosi come offesa alla dignità professionale del capo ufficio. (V.B.)