A ricevere il prestigioso premio Pulitzer nel 2009 per il libro “Olive Kitteridge, è stata la scrittrice americana Elisabeth Strout nata a Portland, nel Maine, nel 1956.
Ed è appunto in una piccola contea di quella regione che Olive Kitteridge, un’ex un insegnante di matematica che sta invecchiando goffamente, lega per tredici episodi strutturalmente conclusi, la sua vita a marito e figlio, e la intreccia con quella di parenti, amici e conoscenze occasionali.
E’ lei che ha l’impressione che la vita sfugga, che sta diventando sarcastica e intransigente nei confronti delle persone che la circondano e che ha trasformato in tirannide l’amore verso l’unico, sfuggente figlio. Eppure è proprio lei che, con una saggezza troppo antica e insospettabile in quel corpo ingombrante dai ruvidi modi esteriori, divide la vita in “ grandi e piccole esplosioni”: grandi e piccoli eventi, grandi e piccole necessità o obblighi o emozioni, cui aprirsi incondizionatamente. Ciò non significa che la vita non sia anche buia e apparentemente senza via d’uscita. Ma mentre le grandi esplosioni possono deluderci, le piccole non ne hanno il tempo anzi, ci riempiono il tempo, e appartengono a quella parte della vita difficilmente raccontabile. Non sono state ancora trovate le parole adatte. Non c’è la necessità di raccontarla.
Per una inoppugnabile scelta narrativa dell’autrice, il lettore deve obbligatoriamente fidarsi dello sguardo della signora per conoscere le storie di quel piccolo lembo di terra americano che non fa sconti a ragazze anoressiche, ad amori traditi o a speranze abbandonate, e che non occupa, probabilmente, nessun posto nelle cronache o nei trattati geografici, né negli itinerari turistici.
Invece assume un ruolo fondamentale nell’essere scena e materia di un’ opera che unisce al minimalismo degli autori della più illustre tradizione americana, la sensibilità di una donna del Maine. E se non ci accorgiamo che il racconto attraversa 40 anni della vita dei protagonisti e della nostra, è perché il trascorrere del tempo è un concetto relativo e nei sentimenti addirittura misterioso.
UNA PICCOLA ESPLOSIONE
…“Nel corridoio arriva un improvviso tintinnio di cristalli. “Un brindisi a Fidelity Select!”, esclama la voce di un uomo.
Olive si raddrizza e fa scorrere la mano sulla superficie della scrivania riscaldata dal sole. Christopher è cresciuto con quella scrivania , e la macchia di medicinale è ancora al suo posto. Lì accanto adesso ci sono una pila di raccoglitori con sopra la calligrafia del dottor Sue e tre grandi pennarelli neri. Lentamente Olive apre il cassetto superiore della scrivania. Una volta c’erano le calze e le magliette di un ragazzino, ma ora il cassetto è pieno della biancheria della nuora, liscia, tutta pizzi, colorata e ammassata alla rinfusa.
Olive tira un elastico ed ecco uscire dal cassetto un reggiseno azzurro pallido scintillante, dalle coppe piccole e delicate. Olive lo rigira lentamente tra le mani tozze, poi lo appallottola e lo infila dentro l’ampia borsa. Ha le gambe gonfie, stanche.
Guarda i pennarelli sulla scrivania, accanto al raccoglitore di Suzanne. Miss So Tutto, pensa Olive; ne prende uno, toglie il cappuccio e annusa il suo odore da aula scolastica. Vorrebbe strofinare il pennarello sopra il copriletto chiaro che quella sposa ha comprato insieme a lei. Guardandosi intorno nella stanza invasa, desidera passarlo sopra ogni oggetto comprato nel corso dell’ultimo mese. Si avvicina allo sgabuzzino e apre la porta. I vestiti le suscitano impulsi violenti. Vorrebbe agguantarli e tirarli fuori di lì, spiegazzare la stoffa scura e costosa di quegli abitini appesi con l’aria pomposa agli appendiabiti di legno.
E poi ci sono i maglioni, diverse tonalità di verde e marrone, ripiegati ordinatamente dentro uno scaffale ricoperto di plastica. Ce n’è uno, quasi sul fondo, che è addirittura beige. Per l’amor del cielo cosa c’è di male in un povero colore? Le dita di Olive tremano per la rabbia, e perché naturalmente chiunque in quel momento potrebbe entrare nel corridoio e infilare la testa oltre la porta aperta. Il maglione beige è pesante, il che è ottimo, perché vuol dire che la ragazza non lo indosserà prima dell’autunno. Olive lo spiega rapidamente e traccia una linea nera con il pennarello lungo la manica. Poi, tenendo il pennarello in bocca, ripiega il maglione in fretta più e più volte, ordinatamente come prima. Alla fine ce la fa. Nessuno aprendo il ripostiglio si accorgerebbe che qualcuno ci ha frugato dentro, è tutto così in ordine. A parte le scarpe. Sono sparse qua e là per tutto il pavimento dello sgabuzzino. Olive sceglie un mocassino scuro e consumato che ha l’aria di essere stato indossato molto; in effetti li ha visti spesso ai piedi di Suzanne. Immagina che una volta accalappiato un marito ormai la ragazza possa permettersi di ciabattare in giro con le scarpe consumate. Chinandosi, per un attimo in preda al terrore di non riuscire ad alzarsi, Olive caccia il mocassino nelle profondità della borsa; poi, issandosi, riesce a risollevarsi, ansando appena, e piazza la fetta di torta al mirtillo avvolta nella pellicola di alluminio in modo da coprire la scarpa.
“Sei pronta?”
Henry è fermo sulla porta, il volto luminoso e felice ora che ha terminato il giro dei saluti si è dimostrato il genere di uomo che tutti adorano, un tesoro. Per quanto desideri raccontargli quello che ha appena sentito, per quanto desideri liberarsi dal fardello solitario di ciò che ha fatto, Olive non gli dirà nulla”....