Omaggio a Gabriel Garcia Marquez, il “Gabo” colombiano, premio Nobel per la letteratura 1982, lo scrittore che ci ha condotto per mano nel villaggio di Macondo…..
Alla vigilia di Pasqua lo scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel nel 1987, ci ha lasciati.
La morte di un grande uomo di cultura ci coglie sempre impreparati ed è sempre improvvisa .
A lui è dedicata la pagina di questo mese. A lui e alla sua terra in cui nulla è più naturale del soprannaturale, alle sue “povere creature” di un grandezza colossale e alle sue storie leggibili come favole.
Qui di seguito il bellissimo incipit del romanzo più famoso di Marquez, “Cent’anni di solitudine”
“Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni, verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l’ottava meraviglia dei savi alchimisti, della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schivarsi, e persino gli oggetti perduti da molto tempo ricomparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in una turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades.”Le cose hanno una vita propria,” proclamava lo zingaro con aspro accento, “ si tratta soltanto di risvegliarsi l’anima.” Josè Arcadio Buendìa, la cui smisurata immaginazione andava sempre più lontano dell’ingegno della natura, e ancora più in là del miracolo e della magia, pensò che era possibile servirsi di quella invenzione inutile per sviscerare l’ora della terra. Melquìades , che era un uomo onesto, lo previene: “Non per quello non serve”. Ma a quel tempo Josè Arcadio Buendìa non credeva nell’onestà degli zingari e così barattò il suo mulo e una partita di capri coi due lingotti calamitati”. …