L’evidenza dei crolli finanziari ha convinto governi e economisti che il liberismo economico senza regole, evocato dal famoso testo di Mandeville ‘The Fable of the Bees’, oggi, non sia più sostenibile. Claudio Buttinelli
Se vogliamo trovare un aspetto positivo nella crisi globale internazionale dell’economia e della finanza, forse possiamo dire che dopo circa duecento anni di discussioni e dibattiti tra economisti di tutto il mondo, ‘la favola’ che l’arricchimento e l’avidità del singolo agente economico porti necessariamente al benessere della collettività, in concreto, non puo essere credibile.
Si, perché la ‘Fable of the bees’, ovvero il libro di Mandeville che nel XVIII secolo teorizzava che l’intraprendenza del singolo e la ricerca del soddisfacimento dei propri vizi fossero il motore per lo sviluppo economico della collettività, all’evidenza dei fatti, non è che una splendida, accattivante favola.
A dire il vero il liberismo economico, il cosiddetto ‘laisser faire’, che insieme a fantomatici meccanismi di autoregolamentazione dei mercati, la “mano invisibile” di Adam Smith, incominciava nel diciottesimo secolo a farsi strada in Europa aveva le sue ragioni storiche per imporsi come nuova dottrina in campo economico. Le società europee erano ancora in una fase di crescita economica embrionale e l’incentivo e la legittimazione all’iniziativa privata che derivava da questa nuova dottrina sociale ed economica funzionarono come potente stimolo a una fase di accumulazione di capitale, condizione necessaria per un moderno processo di sviluppo economico.
La situazione attuale però rimescola le carte. Sembra piuttosto la prova del fallimento del liberismo, almeno nella sua parte in cui vuole liberarsi interamente delle regole che percepisce come intralci allo sviluppo.
L'Europa, in primis, ma anche gli Stati Uniti del Presidente Obama, che nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca ha citato l’avidità come uno delle cause della crisi, vogliono nuove regole per la finanza e l’economia globale.
Le riforme che sono state approvate nei recenti vertici europei prevedono regole severissime contro i fondi speculativi piu rischiosi, tipo hedge funds, e controlli sui prodotti finanziari, in genere, obblighi per le banche di costituire in tempi di prosperità riserve per le crisi, e una lotta ai paradisi fiscali ma, al tempo stesso, un no deciso al protezionismo perché bloccando il libero commercio di beni e servizi non si farebbe altro che aggravare la crisi mondiale.
Le azioni così decise dei governi, anche i piu restii a statalizzazioni dell’economia come gli Usa e GB, aprono nuove considerazioni su un tema, l’intervento pubblico nell’economia, che da sempre rappresenta un demone della cultura liberista. Forse anche adesso, come nel 1929 quando le politiche di sostegno alla domanda aggregata “inventate” da J. M. Keynes salvarono di fatto il mondo dal tracollo economico, saranno i governi a salvare “il mercato” che, se lasciato agire da solo, ha dimostrato di aver fallito il suo obiettivo principale: la creazione di ricchezza per la collettività.
E se, come risulta dai primi calcoli fatti, in tutto il mondo occidentale gli interventi pubblici per il salvataggio delle banche hanno ormai raggiunto i 470 miliardi di euro, coinvolgendo 455 banche dobbiamo riflettere e apprezzare un po’ di più il ‘paracadute’ che un intervento dello Stato in momenti di crisi puo regalare anche ai liberisti piu accaniti.