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Home Arte cultura e tempo libero Viaggio nelle religioni monoteiste. La rubrica si fonda interamente sul testo dell’opera “RELIGIONE - Storia ed esegesi dei tre monoteismi abramitici” di Bruno Amadori. Capitolo II: la storia dell’ Ebraismo

Viaggio nelle religioni monoteiste. La rubrica si fonda interamente sul testo dell’opera “RELIGIONE - Storia ed esegesi dei tre monoteismi abramitici” di Bruno Amadori. Capitolo II: la storia dell’ Ebraismo

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Questo sulla religione è il sesto libro di Bruno Amadori, forse il più impegnativo del suo bagaglio di scrittore stante la complessità monumentale della materia trattata. L’ingegnere, nativo di Fano, ha realizzato pubblicazioni sempre interessanti, di argomento vario, alcune delle quali legate alle sue esperienze da professionista, impegnato per molti anni in varie e lontane zone del mondo;

una è dedicata alla storia di Roma dalle origini fino ad oggi. Singolare ed affascinante l’opera in cui affronta in un quadro olistico l’enigmatico mondo dei numeri, mentre nel suo primo libro c’è una autobiografia decisamente originale.

 

Elenco delle opere pubblicate:

1.Scribo ergo sum: la mia vita un forma rapida Agosto 2016

2.Numeri: dalla preistoria ai giorni nostri Marzo 2019

3.Africa: come l’ho vista e vissuta io Dicembre 2019

4.Roma: 1200 anni di civiltà Dicembre 2020

5.Resto del Mondo: da me visto e vissuto Ottobre 2021

6.Religione: storia ed esegesi dei tre monoteismi abramitici Dicembre 2023

 

L’Autore appare sempre pronto a nuove sfide letterarie, di cui piace anticipare la tematica e forse il titolo definitivo:

Bufale: dal riscaldamento globale al politically correct 2024

Faber suae quisque fortunae: la mia vita in versione completa 2025

La mia Fano: Urbs et Orbis rapuere, Fanum me genuit 2026


Vai al capitolo I: il concetto di religione

 

La storia dell’ Ebraismo

Dei tre monoteismi che qui vogliamo trattare, sarà bene cominciare dall’Ebraismo, perché è il primo su base storica e perché dall’Ebraismo derivano nel tempo gli altri due: Cristianesimo (I secolo) e Islam (VII secolo), come sue ramificazioni, ma che mano a mano, pur mantenendo le origini comuni, sono diventate sempre più distanti, diverse e conflittuali.

Nonostante le fonti bibliche da cui noi partiamo (Genesi) ci facciano pensare ad un patto di alleanza con la divinità fin dall’inizio del mondo, cioè da Adamo, seguito poi più chiaramente con Noè, che Dio scelse come salvatore del mondo che lui stesso aveva creato perché l’umanità era diventata cattiva, si suole dare inizio all’Ebraismo solo con Abramo, all’inizio del secondo millennio prima di Gesù Cristo, perché con lui l’alleanza divenne operativa con condizioni rigide, tra cui monoteismo assoluto e circoncisione come simbolo di appartenenza, per essere il popolo eletto da Dio ed averne protezione e privilegi.

Di stanza in Mesopotamia, nella cosiddetta mezzaluna fertile, a ridosso del fiume Eufrate, vivendo ad Ur in terra di Caldei, il capostipite dell’Ebraismo si mosse con tutta la famiglia dalla città natale vero nord-ovest, a Carran e qui ricevette da Dio l’ordine di spostarsi verso sud-ovest, in Palestina, alla ricerca di terre migliori, quelle di Canaan, che faranno in seguito la storia degli Ebrei, perché promesse nei patti oltre a una grande discendenza, alla protezione divina e grandi futuri tra i popoli del mondo. Un patto vero e proprio, un’alleanza che sarà estesa e confermata con la sua discendenza: Isacco, Giacobbe, Mosè, Davide..

Diciamo subito che prima di Abramo non si può parlare di monoteismo, di un solo Dio, perchè il popolo a cui si rivolgeva Dio non ne aveva uno solo, e il politeismo aveva la meglio un po’ dappertutto, ma anche dopo Abramo, nonostante l’alleanza con un solo Dio (YHWH), il politeismo e la venerazione di idoli non era disattesa dal popolo, anzi spesso e volentieri queste pratiche religiose tornavano alla ribalta a dispetto dei patti e le condizioni stipulate col Signore Dio che voleva essere l’unico per assicurare protezione e radioso avvenire.

Queste ricorrenti trasgressioni venivano riconosciute dagli stessi Ebrei come la motivazione di tante ire del Dio e causa di disgrazie, dolori, distruzioni, esilio e tanta lunga diaspora.

Per quanto mi risulta, la storia del popolo ebraico è segnata da continue tribolazioni nei millenni, da sempre conflittuale con non poche popolazioni e in vari luoghi del mondo, non solo in terra di Palestina. Prima di Abramo, il territorio originale della Mezzaluna Fertile, dalla Mesopotamia all’Asia minore, all’Egitto, coi suoi terreni, qui fertili e lì desertici, offriva alle popolazioni diverse condizioni di vita: nomadi e/o sedentarie. Tranne la fascia costiera dal Mar Mediterraneo orientale dei Fenici e Filistei e la Mesopotamia e l’Egitto dove il carattere stanziale era possibile data a fertilità creata dai fiumi Tigri, Eufrate e Nilo, molta parte era oggetto di nomadismo e tante tribù si muovano da un luogo all’altro di continuo.

L’Ebraismo come popolo, sempre secondo le fonti bibliche, si fa risalire indietro all’inizio dei tempi, fino alla creazione del mondo, come se solo loro esistessero, gli Ebrei, e da loro venisse la discendenza di tutti gli altri popoli della terra. Il monoteismo e il Dio (YHWH ) non tardò molto a trovare spazio e giustificazione, specie coi re Saul, Davide e Salomone (1000-900 a.C.), espressione di un potere unico anche nell’ambito politico e sociale e portare il secondo significato come religione di quel popolo, ma principalmente dopo l’arrivo dei Babilonesi nel VI sec. a.C., che distrussero il primo tempio e crearono negli Ebrei il senso di colpa per infedeltà all’unico Dio. In realtà tutte le religioni tendono a richiamarsi alle origini stesse della vita sulla terra e i primi libri dell’Antico Testamento sono dovuti ad elaborazioni molto tarde, risentono di precedenti influssi egiziani, babilonesi, persiani ed anche greci. Questi non ci danno una documentazione diretta sui primordi del popolo ebraico, ma ci riferiscono quello che su queste origini si credeva in Israele tra il III e II secolo a.C.. La storia documentata di tutti gli altri popoli del vicino ed estremo oriente e dello stesso mondo mediterraneo, risale ad alcuni millenni più indietro. La religione giudaica che conosciamo, sulle spoglie dell’ebraismo originario, contrariamente a quanto si crede, si è formata in tempi abbastanza recenti, cioè dopo l’esilio di Babilonia verso la fine del sesto secolo a.C..

Storicamente tracce con menzione di Ebrei risalgono al XIV secolo a.C.; il nome Israele, attribuito a popolazioni dimoranti in Palestina, si ha per la prima volta in una iscrizione egiziana del 1225 a.C. circa, sulla stele di Meremptah, che riportava in quegli anni la vittoria sulle popolazioni limitrofe, tra gli altri di Libia, Canaan e quella di Israele, che si dà per distrutta e ormai inesistente, forse perché decimata e cacciata dall’Egitto proprio in quel periodo e in fuga con Mosè (1250-1210 circa). Genti di lingue profondamente diverse, alcune di origine semitica (Cananei, Fenici e Filistei), altre probabilmente di derivazione indoeuropea abitavano già da secoli in terra di Canaan e Palestina, prima che gli Ebrei vi entrassero violentemente, armi in pugno. Il nome di Palestina, fascia costiera sul Mediterraneo orientale significa letteralmente paese dei Filistei (in ebraico Pelistim, in latino Philistaei). La penetrazione ebraica in Palestina rientra quasi certamente in quei grandi spostamenti di tribù beduine, che hanno avuto luogo tra il XVIII e XIII sec. a.C., dando luogo al passaggio dal nomadismo alla vita sedentaria, dalla pastorizia alla coltivazione dei campi, con la scoperta di nuovi strumenti, e l’uso di nuovi materiali, passando dalla pietra al metallo (ferro). A questo periodo risalgono le migrazioni dei Dori in Grecia, tribù italiche in Italia e degli Hyksos, che portarono il cavallo, il carro da guerra e strumenti per lavorare la terra nel XVIII secolo a.C. in Egitto dalla terra di Canaan. L’Egitto era il granaio della regione e non pochi popoli d’intorno vi trovavano uno sbocco per la sopravvivenza dalle periodiche carestie.

Qui le fonti sono confuse su date e identità, ma nulla ci vieta di pensare con Erodoto, Flavio Giuseppe, Diodoro Siculo che questi Hyksos fossero proprio gli israeliti figli di Giacobbe (Israele) che entrati in Egitto con Giuseppe nel XVIII secolo a.C. ci restarono 400-500 anni, fino alla cacciata o fuga con Mosè nel XIII secolo a.C. anche su suggerimento di Dio, per liberarsi delle misere condizioni di schiavitù a cui erano stati ridotti. In effetti, dopo qualche secolo felice di convivenza in Egitto, la presenza ebrea si era fatta troppo numerosa e soffocante e i faraoni cominciarono a temere che il numero potesse creare rischi a loro potere. Gli Ebrei, che contavano ormai un popolazione di alcuni milioni (da tre a cinque) e quindi uguale o superiore di quella egiziana furono resi schiavi e sottoposti a lavori massacranti e infine all’uccisione dei maschi fin dalla nascita.

Ma torniamo indietro. Come già accennato, la storia biblica, mitizzata e scritta dal VI sec a.C., dopo l’esilio di Babilonia, vuole che i monoteismo fosse da sempre cercato, anche se difficilmente praticato e periodiche alleanze fossero stipulate con precise condizioni fra le parti, Dio e gli uomini. Quando Dio si arrabbiò per la cattiveria degli uomini che lui stesso aveva creato, decise di sterminarli e lasciare un uomo solo, Noè, buono e corretto, con famiglia e animali per dare inizio a una nuova stirpe. Ma non bastò. Più tardi Dio dovette confondere le lingue ai costruttori della Torre di Babele che volevano arrivare al cielo, arroganti verso il Signore come Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden e volevano raggiungere Dio ed essere come lui. E non bastò ancora, perché Dio dovette anche distruggere le città di Sodoma e Gomorra perché piene di uomini corrotti e peccaminosi, dovette lasciare gli Ebrei alle prese di nemici che lungo tutta la loro storia li perseguitarono, li massacrarono e li dispersero in giro per il mondo per quasi duemila anni.

E gli Ebrei sempre a cercare il perché delle loro tribolazioni, attribuendole ai loro peccati, primo quello di idolatria, poi forse anche di deicidio (Gesù), poi a quant’altro di peccaminoso avvenisse nella loro vita. Questo popolo che sul piano religioso ha operato una rottura radicale con i suoi vicini, impone con zelo ai propri membri un senso di responsabilità e appartenenza non comuni. Un senso di appartenenza che spesso ha reso più netto il rifiuto di cui questo popolo disperso e minoritario è stato fatto oggetto nel seno di società desiderose di una maggiore omogeneità o integrazione . Nel libro di Ester, Aman, cattivo consigliere del re, denuncia già questa singolarità insopportabile, cioè la presenza di “un popolo segregato e anche disseminato fra i popoli di tutte le provincie ”del regno “ le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo”

La principale spiegazione della sopravvivenza degli Ebrei va probabilmente cercata proprio in questo senso di appartenenza, combinato con una notevole integrazione “sui generis”, che contribuisce alla loro perpetuazione. Appartenenza come parentela comune, discendenza da Giacobbe o di una provenienza comune e quindi allargata.

I diversi nomi per indicare il popolo si rifanno sia alla prima (Israele altro nome di Giacobbe, di cui gli Ebrei sono figli), sia alla seconda (Giudei da Giudea e anche Ebrei in qualche modo in origine).

Quello che caratterizza l’appartenenza è fondamentalmente l’accettazione della legge mosaica del Sinai (Torah) nella vita e la circoncisione nella carne per il riconoscimento fisico. Anche se, come dice un “midrash”: “ settanta volti ha la Torah”e sul piano religioso ogni comunità ebraica ha suoi costumi e proprie liturgie e nel tempo e nella diaspora la vita ebraica ha moltiplicato gli innesti e le tradizioni e le interazioni con le culture locali, vedi le lingue, dallo Yiddish germanico al Ladino spagnolo, al bagitto toscano o alle mille sfumature del giudeo arabo.

Non esiste una cultura ebraica in assoluto quindi, ma tante culture, tanti giudaismi che si incarnano in Sefarditi, Askenaziti, Ebrei tedeschi, francesi, ucraini, argentini o israeliani che vivono a Mosca, Gerusalemme o New York: una diversità indissociabile dall’ebraismo. Ma quando e come nasce l’Ebraismo? Capirlo e conoscere la sua storia ci porta necessariamente a capire i fatti, gli avvenimenti a noi più vicini dei secoli XX e XXI, alle ragioni della nascita dal suo seno del Cristianesimo e dell’Islam.

Partiamo dall’inizio. Sempre da fonti bibliche e secondo anche la preziosa testimonianze di Flavio Giuseppe del primo secolo dopo Cristo (Antichità Giudaiche), gli Ebrei si fanno discendere direttamente da Adamo, cioè dall’inizio dei tempi, fino dalla creazione del mondo, che secondo loro dovrebbe essere avvenuta per opera di Dio (non per evoluzione) solo 3760 anni prima di Gesù Cristo. Adamo era già prescelto da Dio, che con Eva avrebbe dovuto popolare la terra restandone bello e buono nel giardino dell’Eden, un luogo di dolcezze e delizie, circondato da quattro fiumi, di cui tre Nilo, Tigri, Eufrate, pertanto collocabile nella Mezzaluna fertile o meglio in Mesopotamia, appunto la terra tra i fiumi e precisamente gli ultimi due. Le condizioni di questa scelta divina (prima alleanza) erano però di ubbidire al divieto di mangiare frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male, che ovviamente non furono rispettate, perché da sempre all’uomo non andava giù l’idea di non poter essere come Dio, tanto che più volte in seguito furono infrante con ovvia recrudescenza di Dio contro gli uomini.

Come tutti sappiamo Adamo ed Eva furono maledetti e cacciati dall’Eden e soggetti alle più gravose condizioni di vita per sopravvivere, lavorare con fatica e sudore, partorire con dolore .

Comunque, nonostante questo, una volta nel mondo reale e dopo i primi due figli: Caino e Abele e la morte di quest’ultimo per mano del fratello, Adamo a 130 anni ebbe da Eva un terzo figlio, Set e poi tanti altri figli e figlie e per un migliaio di anni le cose andarono avanti senza incidenti o fatti degni di nota. Da ricordare solo quello che gli uomini allora campavano in media 950 anni e Matusalemme, settimo discendente di Adamo (il cui nome significa uomo del dardo/lancia o la sua morte porterà giudizio), come si sa, fu il più longevo di tutti e campò fino a 969 anni. Ma fin da subito i fatti e i tempi si fanno incerti, inaffidabili, talvolta incre- dibili, se seguiamo solo la tradizione biblica. La ricerca storica ci può aiutare, ma non più di tanto e molto lascia alla mitologia e alle leggende, nonostante dall’inizio del XIII secolo a.C. le cose diventino un po’ più chiare, plausibili ed accettabili, La prima menzione degli Ebrei si ha su documenti del XIV secolo a.C., ma prove evidenti di Israele, si hanno verso la fine del XIII secolo come già detto su scritte che il faraone egiziano Meremptah fece scolpire su una stele e ai ritrovamenti archeologici attestanti la presenza di popolazioni ebraiche dimoranti in Palestina in quel periodo.

Dicevamo che per un migliaio di anni dopo Adamo, dieci generazioni si susseguirono dai suoi discendenti, sì perché allora le generazioni duravano in media un centinaio d’anni quando in genere i figli diventavano padri a cent’anni e la loro vita ne durava circa 900. Dopo Adamo (130) venne Set (105), poi vennero Enos (90), Kenan (70), Malaleel (65), Iared (162), Enoch (65), Matusalemme (187) Lamech (182) da cui nacque infine Noè. Quest’ultimo segnò la storia in modo indelebile.

Nato dunque mille anni circa dopo la creazione del mondo, Noè aveva 500 anni quando mise al mondo Sem, Cam e Jafet, ma Dio era già stanco degli uomini che aveva creato lui stesso, a causa della malvagità, la corruzione e la volenza con cui ormai vivevano sulla terra e decise di sterminarli (c.a. 2200). Ma Noè, “uomo giusto e integro fra i suoi contemporanei, camminava con Dio”, trovò grazia agli occhi del Signore che gli affidò il compito di rigenerare l’umanità, salvando solo la sua famiglia e tutte le specie viventi sulla terra stabilendo con lui una nuova alleanza (la seconda dopo Adamo). E venne il Diluvio universale: quaranta giorni e quaranta notti di piogge incessanti che sommersero tutto e ci restarono centocinquanta giorni senza scampo alcuno, tranne a Noè, la sua famiglia e agli animali raccolti in un’arca come richiesto dal Signore, che rimase galleggiante sopra le acque e si posò sul monte Ararat quando le acque cominciarono a ritirarsi dopo 150 giorni. Dio allora confermò l’alleanza con un arcobaleno in cielo e sette precetti.

Al tempo del diluvio Noè aveva seicento anni e i suoi tre figli circa cento. Da questi cominciò la ricostruzione dell’umanità, perché ognuno ebbe una notevole prole che si sparse un po’ dappertutto nella Mezzaluna Fertile e oltre, tra il 2100 e 1900 a.C. (Genesi 10, 2-19). I discendenti di Jafet (jafetiti) si spinsero in Grecia, nelle isole e in Europa, quelli di Cam (camiti) in Etiopia, Egitto, e come Cananei e Filistei in terre che dai loro nomi divennero Canaan e Palestina, quelli di Sem (semiti) restarono, spargendosi in Mesopotamia (Assiria e Babilonia) e in Arabia, dando origine con Abramo agli Ebrei e agli Arabi, anche se oggi il termine semita si attribuisce erroneamente e quasi sempre solo agli Ebrei. Vuoi perché pur avendo lo stesso padre Abramo gli Arabi si ritengono figli della schiava egiziana Agar con Ismaele (ismaeliti dunque) e non della moglie ufficiale Sara, con Isacco.

Tutte queste genti che la tradizione biblica vuole discendere da uno stesso ceppo, nel corso dei secoli ebbero identità e storia in conflitto fra di loro, e non di poco conto, vedi il contrasto feroce e insanabile tra paesi arabi ed israeliani che continua ancora oggi. Nonostante l’alleanza con Dio, il monoteismo non era ancora una cosa fatta e sicura, data la dispersione delle genti dopo il diluvio e il contatto con altre popolazioni e altri dei. Non solo. Arroganza e presunzione presero il sopravvento e ancora come era avvenuto con Adamo ed Eva, l’ambizione di raggiungere il cielo portò gli uomini a concepire la costruzione di una torre alta, troppo alta per non indisporre Dio, che dovette intervenire per riportare le genti a più miti consigli.

Che si voglia credere o sia mitologia e leggenda per scoraggiare il popolo alla sfida della divinità, la lingua, che era una sola, venne confusa e scompigliata in tante lingue che gli uomini non si capivano più fra loro e dovettero desistere dalla loro intenzione e rimasero sparpagliati sulla terra.

Passarono quasi tre secoli dopo il diluvio universale, prima che arrivasse sulla scena il vero capostipite dell’ebraismo e dei monoteismi che da questo presero corpo, il Cristianesimo e l’Islam: Abramo.

Tra il XX e XIX secolo a.C., Abramo (padre di molti), figlio di Terah, lasciò dunque la nativa Ur in Caldea, a sud, vicino al fiume Eufrate per cercare fortuna a nordovest, nella città di Carran (oggi Harran in Turchia), qui Dio gli ordinò di spostarsi in terra di Canaan (Palestina) con tante promesse, se avesse seguito i suoi comandamenti: ti darò una grande discendenza, questa terra, il dominio della tua dinastia e la mia protezione.

In terra di Canaan non cominciò bene perché venne la carestia e Abramo con sua moglie Sarai e Lot, figlio di suo fratello Aran che era morto, andò in Egitto a cercar riparo e sussistenza finché il faraone non scoprì che Sarai, spacciata per sorella per godere delle sue attenzioni e dei suoi doni, era sua moglie e lo cacciò. (Sarai era in realtà anche sorellastra perché figlia dello stesso padre Terach ma di madre diversa, come quasi sempre in uso nelle comunità ebraiche, tanto per restare in famiglia).

Data l’avvenenza della donna, seppur attempata (forse aveva già raggiunto 65 anni), il faraone l’aveva presa per concubina, cosa che si ripeté qualche tempo dopo anche con Abimelek, re di Gerar. Tornato presto in terra di Canaan nei luoghi dove era stato prima, Abramo si divise da Lot, che scelse invece la valle del fiume Giordano stabilendosi nella città di Sodoma, che già aveva usi, costumi e moralità molto discutibili.

Dio si rifece vivo e confermò ad Abramo le promesse sulla discendenza, la terra e la sua protezione, ma Sarai che era sterile, ormai vecchia (75 anni) e non poteva assicurare più una prole al marito, fece allora la proposta ad Abramo di unirsi alla giovane schiava egiziana Agar per avere un figlio. E così fu: a 86 anni Abramo ebbe un figlio maschio che chiamò Ismaele. Dopo tredici anni Dio riapparse, rinnovò l’alleanza, assicurò la discendenza diretta, la sua protezione, cambiò i nomi di Abramo (da Abram che era) e di Sarai in Sara, a patto di mantenere l’alleanza e lui come unico Dio e di praticare la circoncisione a tutti i maschi e per tutte le generazioni a venire in segno di fedeltà e appartenenza.

Nel frattempo Dio aveva percepito la malvagità e la perversione della gente di Sodoma e Gomorra e decise la loro distruzione, ma Lot, nipote di Abramo che abitava a Sodoma, andava salvato. Allora due angeli discesi dal cielo, si presentarono alla casa di Lot per avvertirlo di fuggire prima che la città venisse distrutta.

Venuti a conoscenza che due bei giovani, quali apparivano gli angeli, erano a casa di Lot, una gran folla si presentò alla sua porta chiedendo di averli ed abusare di loro, come era abitudine a Sodoma. Lot, per il sacro diritto di ospitalità e non esporre i due angeli alle indecenti proposte, offrì le sue due figlie vergini alle voglie insane della folla. Con l’aiuto degli angeli, Lot e le due figlie si salvarono scappando verso le montagne, mentre la moglie (di cui nessuno ha mai saputo il nome), fu tramutata in una statua di sale, perché fuggendo si era voltata a vedere indietro, contravvenendo all’ordine degli angeli di non farlo. Lot e le figlie si rifugiarono in una caverna sui monti per qualche tempo e qui pensarono bene di dare una discendenza maschile al padre, ora che non aveva più una moglie. Facendo bere e ubriacando Lot, secondo le Sacre Scritture, prima una e poi l’altra giacquero col padre che non riconoscendole sotto i fumi dell’alcool, le mise incinta tutte e due. Da queste nacquero due maschi che diedero origine ai popoli dei Moabiti ed Ammoniti che si stabilirono ad est del mar Morto e del fiume Giordano.

Ma tornando ad Abramo e Sara, nonostante le sue perplessità, un angelo promise a Sara che seppur sterile e vecchia ormai di novanta anni avrebbe avuto un figlio tutto suo e così fu: nel giro di neanche un anno arrivò Isacco. Questo stravolse i rapporti con Agar e Ismaele, e Sara che adesso aveva avuto un figlio suo convinse il marito a cacciare madre e figlio divenuti inopportuni in modo che in futuro non avessero pretese di alcuna sorta. Agar e suo figlio Ismaele, con un po’ di pane e un po’ d’acqua furono allontanati verso il deserto di Bersabea con poche speranze di sopravvivenza. Dio però ascoltò il pianto di Agar, intervenne e salvò entrambi, promettendo anche a Ismaele una grande nazione: gli Ismaeliti (che sono oggi gli arabi).

Ma non bastò: Dio pretese da Abramo una prova di fedeltà e sottomissione e ordinò di sacrificare Isacco in olocausto, cosa che Abramo avrebbe portato a compimento se non fosse intervenuto un angelo a fermarlo, accettando la prova in nome di Dio e proponendo di sacrificare un agnello al suo posto.

Isacco crebbe e a tempo debito gli fu trovata una moglie in famiglia: Rebecca, sorella di Labano (di cui parleremo in seguito per Giacobbe), nipote di Milca, moglie di Nacor, fratello di Abramo, cioè figlia del cugino di Isacco: Bethuel. Rebecca, seppur sterile, rimase incinta di due gemelli: Esaù, che venne al mondo per primo e quindi col diritto di primogenitura, e Giacobbe. Un giorno che Esaù tornò a casa affamato e sfinito per la caccia affrontò il fratello e rinunciò alla primogenitura per un piatto di lenticchie.

Dio confermò a Isacco la promessa fatta a suo padre, ma questi per una carestia dovette spostarsi a Gerar, presso Abimelech, re dei Filistei, col quale fece come a suo tempo suo padre con sua madre anche in Egitto col faraone, e spacciò Rebecca per sua sorella, essendo di bell’aspetto e poteva attirare le attenzioni di qualche potente e lui rischiare la vita.

Isacco in punto di morte voleva benedire Esaù e passargli le consegne come primogenito senza sapere che si era già venduto al fratello. Fu messa in scena una farsa incredibile, che sempre secondo le tradizioni bibliche funzionò: Giacobbe si presentò al padre al posto di Esaù con i suoi abbigliamenti e i suoi odori tali da ingannare Isacco al tatto e all’olfatto, sapendo che non ci vedeva quasi più. Esaù ebbe a pentirsi in seguito dell’inganno e della perdita de suoi diritti e cercò di vendicarsi contro suo fratello Giacobbe senza riuscire però. La storia di Giacobbe da qui in poi, è tutta da raccontare, come ce la passano le Sacre Scritture, perché è con Giacobbe che nasce la terza (quarta se consideriamo anche Adamo) e forse più importante alleanza con Dio, la sua definizione; con la sua famiglia nasce anche l’identità ebraica con le dodici tribù nella terra promessa di Palestina, dopo la cattività egiziana, in un periodo storico, religioso, eroico, fino alla prima distruzione del tempio nel VI sec. a. C. e la seguente dissoluzione del regno di Israele e una parte del monoteismo, quindi tutti gli stravolgimenti epocali e fondamentali che seguirono, con la seconda distruzione del tempio, la riformulazione religiosa nel Giudaismo e la diaspora definitiva fino quasi ai nostri giorni.

Giacobbe, ottenuta la primogenitura dal fratello Esaù cercò moglie, sempre in famiglia (come è abitudine tra gli ebrei) e si rivolse allo zio Labano, fratello della madre Rebecca; andando da lui incontrò alla fonte la più giovane e carina delle sue figlie, Rachele e la chiese in sposa. Lo zio Labano pose le condizioni: lavorare per lui sette anni per ottenerla e questo Giacobbe fece, ma al momento di ricevere il giusto guiderdone, al posto di Rachele trovò senza farci caso nel suo letto la sorella Lia, più anziana e meno bella di lei. Era buio pesto e lui stanco dal lavoro.

Il mattino seguente lo zio si giustificò dell’inganno da lui perpetrato adducendo il fatto che la più anziana di regola aveva il diritto di trovare marito per prima, ma la sorella Rachele non era perduta.

Nessun problema, la legge permetteva la poligamia e anche Rachele poteva essere sua, ma dopo altri sette anni di lavoro per il padre. Giacobbe accettò anche questo e restò in tutto ben quattordici anni a lavorare per suo zio Labano, in compenso contento o no aveva due mogli. Alla fine la famiglia allargata aveva tutti i presupposti per cominciare una sana e ricca proliferazione come Dio comandava. Ma Rachele non era fertile, mentre Lia cominciò a sfornare figli uno dopo l’altro: Ruben, Simeone, Levi e Giuda, e allora, come già Sara aveva fatto con Abramo, Rachele acconsentì a concedere la sua serva Bila al marito pur di avere da lei una “sua” prole e questa le diede Dan e Neftali.

A questo punto cominciò una gara a chi facesse più figli, ma Lia sembrava aver perduto la fertilità, perciò offrì anche lei la sua serva Zilpa a Giacobbe per averne altri e così ne vennero due, prima Gad e poi Aser. La competizione fra sorelle continuò per guadagnare preferenza e maggiori diritti coniugali e Lia riprese a far figli: arrivarono Issacar e poi Zabulon, in tutto sei maschi che con i due della serva Zilpa facevano otto, a cui Lia aggiunse alla fine anche una femmina, Dina. Alla fine Dio si ricordò di Rachele, gli fece pena e la rese fertile, arrivò dunque il maschio sospirato da lei e dalla storia: Giuseppe.

La vita in famiglia e i rapporti col suocero Labano non furono mai corretti ed idilliaci e resero tante difficoltà a Giacobbe per venirne fuori, ma questo lo tratteremo all’ultimo capitolo, in esegesi. Adesso diremo che Rachele che ne morì di parto, ebbe ancora un secondo figlio, Beniamino, in tutto quattro, che con gli otto di Lia facevano in tutto dodici figli maschi diretti di Giacobbe, quelli delle dodici tribù israelitiche che segneranno la storia del popolo ebraico nel futuro.

Qui va ricordato che lasciata la casa di Labano in Mesopotamia, Giacobbe tornò in Palestina con tutti i familiari e qui secondo il racconto biblico incontrò più volte il Signore, ebbe con lui anche uno scontro fisico notturno, una lotta, che vinse pure e alla fine fu benedetto da Dio che gli confermò le promesse fatte ad Abramo e Isacco, la sua missione di capo di una grande stirpe su una terra tutta loro. In questa occasione Dio mutò il nome di Giacobbe in Israele (shr= lotta; el= Signore, combatte con Dio), Israele diventò il paese, Israeliti i suoi abitanti.

Anche i rapporti con i fratelli non furono esemplari; si sa che Giuseppe fu venduto da questi che erano gelosi e invidiosi di lui, a dei mercanti Ismaeliti madianiti, di passaggio nel deserto coi loro cammelli, per non ucciderlo e ingannando il padre con una messinscena, l’attacco di una bestia feroce che lo uccise e portando le vesti stracciate e insanguinate dal padre facendo perdere le sue tracce e il suo ricordo. Ma qui nasce il bello, perché Giuseppe arrivato in Egitto coi mercanti si fece notare dal faraone per la sua intelligenza: gli aveva spiegato i sogni e le previsioni delle sette vacche magre e grasse che si avverarono regolarmente come sette anni di grassa e di magra, tanto da prevenire in tempo le future crisi alimentari, e poi anche per la sua onestà: non aveva accettato le profferte amorose della moglie che per vendicarsi lo aveva mandato in prigione con false accuse, poi scoperte per fortuna dallo stesso faraone.

Il faraone lo prese a benvolere, tanto da affidargli incarichi sempre più importanti nella amministrazione della cosa pubblica fino alle più alte cariche dello stato e diventare viceré d’Egitto. Le fonti bibliche narrano che frequenti carestie spinsero le popolazioni limitrofe a trovare scampo in Egitto e così fu anche per la famiglia di Giuseppe che dalla Palestina venne in terra di Gosen, a nordest. La storia qui prende una svolta anche troppo bella e commovente, perche’ i fratelli incontrandolo in Egitto vengono perdonati, il padre ritrova un figlio che credeva perduto e come una favola tutti ben trattati come parenti del vicerè, vissero felici e contenti per molto tempo con i discendenti. In Egitto a Giuseppe nacquero due figli: Efram e Manasse, che Giacobbe adottò come suoi in punto di morte, facendo diventare quattordici in tutto i suoi figli e le tribù, ma il numero 12 resta convenzionale e istituzionale con accorpamenti (Simeone-Giuda, Efraim-Manasse) o esclusioni (Levi in quanto senza territorio perché casta sacerdotale), a seconda dei casi storici.

La storia, non solo biblica, riporta la presenza di popolazioni non egiziane in Egitto per circa 500 anni tra il XVIII e il XIII secolo a.C.. Molti storici antichi, tra cui Erodoto, Giuseppe Flavio, Diodoro Siculo fanno riferimento agli Hyksos che presero il sopravvento e la cui presenza nei primi tre secoli assicurò agli Ebrei una certa tolleranza e benessere, poi col ritorno al potere dei faraoni e alla crescita esuberante della popolazione ebraica, resero le condizioni di vita molto difficili, tanto che il loro numero divenuto circa uguale se non superiore a quello egli egiziani portò a lavori sempre più faticosi e alla schiavitù degli ebrei fino all’uccisione dei figli maschi. Siamo al XIV-XIII secolo secondo la versione più accreditata dagli storici antichi e moderni, quando a causa delle misere condizioni in cui ormai versavano, gli Ebrei furono costretti a fuggire dall’Egitto.

Ma Dio non aveva abbandonato il suo popolo e trovò il modo di provvedere alla loro liberazione: affidò la missione a Mosè verso la metà del XIII secolo a.C., al tempo del faraone Ramses II che li perseguitava. Durante la spietata uccisione degli Ebrei nati maschi, Mosè, discendente per padre e madre dalla famiglia di Levi (Giacobbe), fu nascosto dalla madre e, dice sempre la Bibbia, lasciato dentro una cesta spalmata di bitume sulla acque del Nilo, fu trovato dalla figlia del faraone (Bithia), che si impietosì e lo salvò, lo adottò e lo chiamò Mosè, che vorrebbe dire in ebraico “estratto dall’acqua” e in egiziano fanciullo o figlio, come Tuthmose figlio del Dio Toth o Ramose figlio di Ra. Una volta cresciuto, Mosè si rese conto delle misere condizioni in cui vivevano i suoi fratelli e in una lite uccise un Egiziano che malmenava un Ebreo, colpendolo con un bastone; la cosa lo costrinse alla fuga e alla latitanza per quarant’ anni tra i Madianiti, dove trovò riparo dal sacerdote Ietro e ne sposò la figlia Zippora, ma trovò pure il richiamo di Dio, che si manifestò in un roveto ardente che però non si consumava bruciando.

Dal cespuglio Dio si presentò come YHWH “io sono colui che sono”, il dio dei suoi avi Abramo, Isacco, Giacobbe e gli ordinò di far uscire il suo popolo dall’Egitto per portarlo in un paese dove “scorre latte e miele” (Esodo 3,17). Pur poco convinto, ma con l’aiuto di Dio, prova ne era un bastone che gettato a terra diventava serpente, la lebbra comparsa sulle mani e l’acqua del Nilo che diventava sangue, Mosè tornò in Egitto e affrontò il faraone, ma la missione non cominciò bene, anche perché Dio si era subito offeso per la mancanza della circoncisione di Mosè e dei figli che aveva avuto da Zippora, che fu costretto a fare pur in ritardo per riconquistare l’aiuto del Signore. Mosè tra l’altro non parlava bene, era impacciato e dovette ricorrere all’aiuto di suo fratello Aronne che parlava per lui.

Mosè aveva ottanta anni e Aronne ottantatre quando parlarono al faraone.

Ci fu bisogno della minaccia di dieci piaghe per portarlo a miti consigli: dopo l’acqua del Nilo tramutata in sangue furono l’invasione delle rane nei corsi d’acqua di tutto il paese, poi quelle delle zanzare, delle mosche, poi la morte del bestiame, l’ulcera su animali e uomini, la pioggia di fuoco e grandine, l’invasione delle cavallette o locuste, le tenebre e infine la morte di tutti i primogeniti di uomini ed animali. Nel frattempo, prima dell’ultima piaga, prevedendo la riuscita della fuga dall’Egitto, Dio decretò il festeggiamento della Pasqua e l’inizio del tempo per la comunità di Israele, con tutte le prescrizioni e i riti che ne conseguono (pane azzimo per sette giorni), compreso la cosparsa del sangue della bestia immolata sullo stipite delle case degli Ebrei affinchè Dio li riconoscesse e non li colpisse con la decima piaga. Solo allora il faraone spaventato lasciò che gli Ebrei partissero lasciando l’Egitto, portandosi via anche il bestiame, oggetti d’oro e d’argento senza lasciarli agli Egiziani. (era circa il 1250 a.C.) La Bibbia dice che fossero seicentomila uomini senza contare i bambini, le donne, i vecchi e altri profughi (in tutto forse 3-4 milioni), che scappavano dopo più di quattrocento anni: i periodi ricorrenti col quattro come anche i quaranta, la durata dell’esodo, sono più biblici che storici. A Dio in omaggio del suo aiuto per l’uscita dall’Egitto era dovuta la consacrazione dei primogeniti di uomini e animali.

Cominciò quindi il cammino verso oriente, per tornare alla terra di Canaan, dove Abramo per primo aveva dimorato circa seicento anni prima e dove aveva acquistato dagli Ittiti per 400 sicli d’argento un terreno con la caverna di Macpela presso Ebron, per seppellire sua moglie Sara e dove erano stati sepolti in seguito anche lo stesso Abramo, Isacco e sua moglie Rebecca e poi ancora Giacobbe e sua moglie Lia. Ma il viaggio durò quaranta anni e Mosè non arrivò vivo nella terra promessa, lo fece Giosuè, suo successore.

Il signore Dio era però sempre al loro fianco, facendo strada di giorno con una colonna di nuvole e di notte con una colonna di fuoco e lo rese possibile, il viaggio, con una serie di suoi interventi straordinari a loro salvaguardia, quali il superamento del mar Rosso, dove le acque furono separate per permettere il passaggio a piedi degli Ebrei e richiuse all’arrivo degli Egiziani pentiti di averli lasciati andare, che furono decimati, morendo annegati tra i flutti; poi arrivarono la manna, caduta dal cielo come cibo, e l’acqua sgorgata dalla roccia per il loro sostentamento durante la traversata del deserto. Dio intervenne anche in aiuto contro tanti popoli ostili al loro passaggio incontrati durante il viaggio come gli Amaleciti e consentì di non essere sopraffatti. Dio però non era disinteressato.

Scelto il suo popolo e stabilite le condizioni con i suoi avi, doveva assicurarsi il rispetto dei patti, il mantenimento della sua persona come unico Dio e aggiunse e precisò i dettagli, le prescrizioni per l’alleanza destinata a perpetuarsi per tutta la discendenza. Tre erano i fondamenti: un Dio, un popolo, una terra: ora la terra stava per essere raggiunta, il popolo era scelto e questo doveva ubbidire al suo Dio. Dio chiamò Mosè sul monte Sinai (detto anche Oreb) e gli dettò tutte le leggi che lo riguardavano. Queste leggi prima tenute ed osservate per via solo orale fanno il testo fondamentale degli Ebrei e furono andate scritte solo 700 anni dopo, in occasione dell’esodo forzato dai babilonesi, nella seconda metà del VI sec. a.C., conosciute col nome di Torah o Pentateuco, cioè cinque libri in greco.

Di questo e degli altri Scritti Sacri parleremo più diffusamente nel secondo capitolo avanti; qui ricorderemo l’importanza degli eventi e in particolar modo il decalogo delle tavole in pietra che Dio stesso scolpì sul monte e che sono, salvo qualche ritocco, ancora la base dei tre monoteismi, non solo per gli Ebrei, ma anche per i Cristiani e relativamente per i Musulmani.

Il monoteismo fino a questo momento, pur con molteplici alleanze, non fu sempre e facilmente praticato verso il Dio (YHWH) che lo pretendeva per assicurare le sue grazie e il suo sostegno e fu necessario ribadirlo sul marmo per ben due volte; le prime tavole furono spezzate quando Mosè, tornando fra i suoi dopo quaranta giorni passati ad ascoltare Dio sul monte Sinai e raccogliere le sue leggi, trovò il suo popolo dedito al culto del vitello d’oro che nel frattempo era stato adottato come la divinità migliore, da venerare al posto del Dio unico pur già riconosciuto dagli avi, a partire da Abramo. Mosè dovette tornare sul monte, punì gli idolatri e riuscì a riportare l’ordine.

Con l’arrivo di Giosuè nella terra promessa verso la fine del XIII secolo a.C., gli Ebrei non trovarono subito la pace e le condizioni ideali promesse di un paese dove “scorre latte e miele”; non sempre i rapporti con le popolazioni locali furono facili e non pochi scontri e conflitti dovettero essere sostenuti con i discendenti dei figli di Noè che erano già arrivati da quelle parti alla fine del III millennio (2.100 a.C. circa), cioè 900 anni prima: Cananei, Moabiti, Madianiti, Ammoniti, Amaleciti e specialmente Filistei. Questo stato di cose durò circa duecento anni sotto la guida dei cosiddetti “giudici” o governatori, capi militari e civili, ma continuò anche con i re che regnarono per un centinaio d’anni, tenendo insieme le dodici bibliche tribù, seppure all’inizio in due regni separati: Israele a nord con capitale Samaria e 10 tribù, Giudea a sud con capitale Hebron (al momento) e 2 tribù. Il primo re “unto” in nome di Dio fu Saul, che regnò dal 1040 al 1010 a.C. ed ebbe a combattere per tutta la vita con popoli vicini, ma alla fine dopo tante vittorie dovette soccombere ai Filistei

Seguì Davide, genero di Saul, eroe indiscusso e capostipite della dinastia che doveva regnare per sempre e portare il messia sulla terra per una nuova età di felicità e giustizia; regnò per quaranta anni, dal 1010 al 970, riunì i due regni e portò la capitale da Hebron a Gerusalemme, appena conquistata ai Gebusei, effettuò un censimento e acquistò il terreno per la costruzione del primo tempio che fu però eretto in seguito da suo figlio Salomone. Davide già chiamato Messia da vivo è ritenuto dagli Ebrei il capostipite della dinastia da cui verrà il vero Messia. Portò l’Arca dell’Alleanza a Gerusalemme e Dio fece con lui un patto di eternità per la sua discendenza, assicurandole il potere e la guida. La sua tomba è giusto fuori le mura di Gerusalemme, nel luogo detto anche monte di Sion, presso la porta di Giaffa, dove io quando ero da quelle parti tra il 2002 e 2004, ebbi a costruire la galleria Kikar Zahal lungo le mura esterne della città vecchia, fino alla porta di Damasco.

Venne infine l’ultimo re, Salomone, figlio di Davide e Betsabea, che regnò dalla morte del padre nel 970 fino al 931 a.C., quando il regno unito di Israele e Giuda si ridivise in due regni distinti che ebbero re e storie del tutto diverse. Salomone fu sapiente e saggio, costruì o almeno così si crede il primo tempio perché fatto in soli sette anni, mentre il re Erode in seguito impiegò 46 anni solo per ampliarlo dopo la distruzione dei Babilonesi nel 587. Si dice che il re fu ricco d’oro e d’argento, ma certamente anche che avesse un sacco di donne di varia provenienza e che queste lo portarono alla idolatria seguendo e venerando altre divinità e venendo meno perciò ai patti della alleanza con Dio e ai sui principali comandamenti. Questo sembra portò di nuovo alla separazione dei regni dopo la sua morte. La fama di Salomone comunque è dovuta anche alla sua sapienza e al suo giudizio che molti cercavano come saggio e indiscutibile. Famoso il caso delle due donne che si disputavano un figlio appena nato e come andò a finire, il che diede al re la nomea di buono e santo oltre che giusto. Come sapienza è nota la conoscenza tra l’altro del rapporto tra una circonferenza e il suo diametro: π o pi greco, descritto in I Re (7,23) come circa tre per costruire un serbatoio circolare per acqua piovana.

La divisione dei due regni portò al declino di entrambi nel giro di trecento anni circa: quello del nord sotto i colpi degli Assiri di Sargon II che nel 722 lo sottomisero e deportarono gli Ebrei in Media (Mesopotamia) e quello del sud che nel 587 fu sottomesso dai Babilonesi che distrussero anche il tempio, deportando gran parte della popolazione in esilio sulle rive dell’Eufrate per una cinquantina d’anni fino all’arrivo dei persiani di Ciro che li liberarono. Questi fatti e queste date sono di estrema importanza perché in aggiunta alle passate trasmigrazioni in Egitto in condizioni di disgrazia e segregazione, danno, salvo brevi periodi, una idea della continua soggezione e dispersione di gente fino ai nostri giorni. Ma l’importanza dell’esilio di Babilonia è dovuta anche alla cesura della storia etnica e religiosa che avvenne in queste circostanze e alla coscienza che il popolo ebraico, quello di Giuda, prese più rigorosamente di sé e portò con la stesura di testi scritti (Tanakh), l’approfondimento, la coesione del popolo stretto nelle prescrizioni originarie dei patti, nella venerazione di un solo Dio. .

Differentemente dagli Ebrei del regno settentrionale, divenuti politeisti, già mescolati con altre genti e ormai dispersi (le dieci tribù), quelli del regno meridionale di Giudea (due tribù, di Giuda e Beniamino), più compatti e ritrovatisi nell’esilio, hanno dato vita, riconsolidando principi che andavano allentandosi, ad un credo solido, convinto, monoteista, che ha superato tutte le disgrazie ed è giunto fino ai nostri giorni, ritrovandosi unito nel 1948.

Due centri principali del nuovo ebraismo nacquero oltre Alessandria: quello di Gerusalemme, di quanti erano tornati in patria e quello babilonese, ancora più ricco e fecondo, di quanti invece preferirono restare in Babilonia sotto il regime libertario e tollerante dei Persiani. E così l’Ebraismo prese anche il nome di Giudaismo, perché ristabilito e canonizzato dagli Ebrei provenienti dalla Giudea, che lo aggiornarono, lo rivisitarono dopo la caduta del primo tempio e lo tennero saldo e compatto nelle comunità sparse in tutte le parti del mondo, fino ad avere un nuovo congiungimento nell’antica terra promessa abbandonata nel 136 d.C. Oltre al rispetto più rigido delle tradizioni patriarcali e al monoteismo, due cardini in particolare furono osservati per preservare la propria purezza: il rifiuto di sposare donne non ebraiche e quello di fondersi con altre e differenti etnie.

Col rientro dall’esilio babilonese in Giudea di molti Ebrei, nacque l’attesa del Messia come salvatore delle genti e con la benevolenza dei nuovi signori, i Persiani, fu avviata la ricostruzione del tempio con Zorobabele, primo governatore, che a parte un ampliamento da parte di Erode il grande alla fine del primo secolo a.C., restò intatto come secondo tempio per circa seicento anni, fino all’arrivo dei Romani di Tito che lo distrusse una seconda volta nel 70 d.C.. Il tempio non fu più ricostruito anche perché 65 anni dopo cominciò la diaspora, la più lunga, che durò circa milleottocento anni e del tempio non resta oggi che una parte del muro occidentale, “il muro del pianto”, ancora oggetto di venerazione e di culto degli ebrei e meta di tanti turisti.

Scomparse le dieci tribù del nord col regno di Israele, alla fine del VIII secolo a.C., in seguito ai fatti raccontati, resta dunque, anche se con alterne vicende la parte ebraica meridionale del regno di Giuda, i Giudei. Questi, già durante l’esilio di Babilonia del VI sec. a.C. e a seguire fino al V secolo d.C., dovunque si trovassero, ellenizzati in Alessandria, o in Babilonia o a anche Gerusalemme, diedero vita a una revisione dell’Ebraismo e una riscrittura dei testi sacri in modo integrale e/o complementare.

L’Ebraismo come Giudea divenne persiano, poi assiro, poi nel IV sec. a.C. ellenistico con l’arrivo di Alessandro il macedone, che fondata Alessandria nel 333, ne fece un centro culturale di tutto rispetto e diede agli Ebrei uno spazio vitale e una libertà di culto.

Dopo Alessandro Magno e i suoi successori, Tolomei e Seleucidi, e con la dinastia degli Asmonei (discendenti di Giuda) nel 164 a.C. che sconfissero i Seleucidi, venne con Giuda detto Maccabeo (martello) più di un secolo di identità ritrovata e di una parvenza di libertà da ingerenze straniere che consentì di riconquistare e purificare il tempio (Hannuka). Ma i conflitti rimasero in famiglia per questioni di potere fino a che i Romani con Pompeo presero il sopravvento nel 63 a.C., rendendo la Giudea stato vassallo con la reggenza degli Erodiadi (Idumei, Edomiti). Flavio Giuseppe, storico coevo e rigoroso ci racconta le guerre giudaiche che portarono infine alla sottomissione completa della Giudea con l’imperatore Vespasiano e suo figlio Tito nel 70-73 d.C., ma non bastò.

La tormentata storia degli Ebrei come popolo ebbe un ultimo estremo tentativo di riacquistare l’indipendenza con la rivolta capeggiata da Simon Bar Kokhba (figlio della stella) nel 133-135, al tempo di Adriano.

E fu la fine. Ma solo dello stato, del territorio e dell’unità. Sconfitti e massacrati dai Romani, lasciarono la Giudea, terra promessa o “dove scorre latte e miele” per disperdersi in tutto il mondo per 1800 anni. La Giudea divenne provincia romana col nome di Syria Palestina e Gerusalemme prese il nome di Aelia Capitolina.

Come ricordato, il senso di appartenenza, la stretta osservanza degli antichi precetti e la smisurata fede come popolo eletto da Dio, conservando il monoteismo senza più distrazioni in possibili idolatrie, mantennero saldo il contatto e l’unione come una ragnatela sparsa nei quattro angoli del pianeta. Gli Ebrei come religiosi, avevano perso il sacro tempio di Gerusalemme, come istituzione centrale del culto e unico luogo legittimo del sacrificio, ma avevano le sinagoghe, centri infiniti di incontro, di preghiera e di fede, anche se con tante nuove e diverse sfaccettature che qui racconteremo.

Oltre a tanti “distinguo” minori avevano però dato luogo d’altro canto anche alla ramificazione del messaggio giudaico con la nascita dal suo seno del Cristianesimo prima, a cui seguirà qualche tempo dopo anche l’Islam. Da questo momento la storia dell’Ebraismo, sia come popolo che come religione è la storia della diaspora e dei gruppi di Ebrei sparsi per il mondo. La Palestina, quasi svuotata di Ebrei, passò di mano in mano: dopo i Romani vennero i Bizantini, poi gli Arabi, i Turchi Selgiuchidi, i Crociati, i Mamelucchi e gli Ottomani e infine, dopo la prima guerra mondiale arrivò il mandato britannico dal 1920 al 1947 .

La storia del popolo ebraico, seppur eletto da Dio, quindi destinato a grandi cose con la sua protezione e benedizione, è stata sempre travagliata, con veramente pochi periodi di indipendenza, pace e prosperità. Di più di quattromila anni di storia a partire da Noè, quando fu stabilita la prima vera alleanza con Dio, gli Ebrei hanno avuto un territorio, una identità e una certa pace, solo durante il periodo dei re, specialmente con la casata di Davide, e con gli Asmonei (detti poi Maccabei), per circa 400 anni in tutto.

Dopo Noè i suoi discendenti si erano sparsi un po’dappertutto intorno, dalla Mesopotamia all’Egitto, dall’Etiopia alla Grecia, ma senza vera consistenza e identità, mescolandosi coi popoli trovati sul posto, non sappiamo neanche con quanti conflitti e scontri per stabilirsi nei territori dei popoli incontrati. Nè pace fu all’arrivo in Terra Santa dopo la fuga dall’Egitto, sotto la guida dei giudici, sempre in guerra contro i Filistei e i Cananei e altri per 200 anni. Solo con gli Asmonei, di Giuda detto Maccabeo (martello) da cui questi poi presero il nome, gli Ebrei come detto, ritrovarono nuova consistenza e indipendenza per un centinaio d’anni dal 164 al 63 a.C.

Durante il potere dei Maccabei la religione in Palestina aveva sviluppato tante sette, come leggiamo con Flavio Giuseppe, di cui ricordiamo le tre più importanti: - i Sadducei, o seguaci di Sadok, sommo sacerdote del re Davide, depositari dei riti e del culto religioso, appartenenti alle famiglie aristocratiche che nominavano i sacerdoti, erano anche disposti al compromesso coi Romani e per questo furono sterminati dai ribelli a questo contrari, nella guerra giudaica del primo secolo d.C. (64-73),

- i Farisei, teorici intransigenti, dominanti, numerosi, colti e scaltri, tanto da prendere in seguito il noto significato dato loro anche da Gesù. Tra i Farisei all’inizio del primo secolo si distinsero gli Zeloti, detti anche Sicari per via del pugnale (sica) che portavano sotto le vesti per colpire chiunque in ogni momento e luogo fosse giudicato colpevole di sacrilegio. Questi erano un gruppo politico e religioso estremista, accanito nel difendere l’ortodossia e l’indipendenza del regno di Giudea dalla presenza romana, furono l’anima della resistenza nella guerra contro Tito che li portò alla distruzione nell’ultima roccaforte di Masada nel 73 d.C.

– gli Esseni, meno numerosi ma quieti, con inclinazione monastica, vivevano in comunità isolate e conducevano una vita da eremiti, con molte similitudini al Cristianesimo resi più noti dopo il ritrovamento dei rotoli del Mar Morto a Qumran nel 1947.

Tutti riconoscevano, come sarà sempre in seguito, che le sventure, specie quelle dell’esilio babilonese, la sconfitta contro Vespasiano e Tito e la grande diaspora che seguì con Adriano erano dovute al castigo di Dio per i peccati e l’infedeltà del popolo ebraico, il venir meno al patto di alleanza più volte stipulato e l’adozione di altri dei.

Col re Davide si era istaurata la riunione dei due regni, di tutto il territorio e delle dodici tribù ed era iniziato il periodo più significativo, come già accennato, con la conferma di Dio e la promessa di un regno eterno sotto i discendenti di Davide, che per questo è rimasto il padre degli Ebrei per tutto il tempo a seguire, vedi il simbolo ancora oggi sulla bandiera israeliana e tutti i documenti (la sua stella a sei punte).

L’influenza della Grecia dopo Alessandro e l’esilio babilonese avevano portato alla severa ristrutturazione e applicazione dell’Ebraismo originario nella sua purezza, ma anche alla selezione del popolo e all’allargamento degli studi e delle interpretazioni e riformulazione di molti precetti come dirò nel secondo capitolo, all’allargamento spaziale e all’adozione di diverse lingue, dal greco all’aramaico (lingua ufficiale persiana), con le quali furono scritti e/o tradotti molti dei tesi sacri. Gli Ebrei del regno del nord (Israele), seppur tornati dopo le peregrinazioni causate dagli Assiri, osteggiati in un primo momento dai Giudei perché ritenuti impuri, cercarono di ritrovare una loro appartenenza e riuscirono a costruire anche un loro tempio sul monte Gazirim al tempo di Alessandro nel 333 a.C., ma questo durò poco tempo, il tempio fu distrutto e solo una sparuta comunità samaritana superstite continua tutt’oggi a reclamare la loro vera discendenza dalla famiglia di Aronne, fratello di Mosè, ma senza una completa accettazione.

Quindi il nostro racconto continua solo con riferimento alla presenza degli Ebrei sparsi in mezzo mondo, ma la loro vita fu sempre e in vario modo contrastata e soggetta a un continuo difficile inserimento nella vita sociale ed economica nonché religiosa nei vari paesi ospitanti e spesso non sopportata o giustificata per la loro particolare indole, alcune loro discutibili attività e ingerenze specialmente in campo finanziario, anche se l’ebreo ospite era tenuto al rispetto delle leggi locali pur tenendo incontaminato il suo privato.

Intanto il Messia, Gesù Cristo era arrivato tra gli uomini ed era stato sacrificato sulla croce; per questo gli Ebrei furono, sono e saranno sempre ritenuti colpevoli dai Cristiani e non solo, della sua condanna a morte e considerati come deicidi. Nei primi secoli della diaspora, tra il II e VI secolo dell’era cristiana, nei centri più importanti di Gerusalemme, dove erano rimasti non pochi Ebrei e in Babilonia, in molte accademie lì sorte, fiorì un profondo studio dell’Ebraismo, una riesamina, un reinterpretazione, una revisione e un completamento delle Sacre Scritture con nuovi e più precisi precetti religiosi e sociali e scientifici con la redazione della legge orale (Mishnah), quello che diventò l’Ebraismo

rabbinico ancora oggi in vigore, quale generato dai rabbini (studiosi, maestri) con la codifica del Talmud Babilonese in assenza dei sacrifici al tempio di Gerusalemme e le osservanze relative, adattandole a quelle possibili nelle sinagoghe, nei nuovi tempi e nei luoghi lontani da Gerusalemme.

Solo con l’imperatore romano Giuliano (363 d.C.), tornato pagano, quindi apostata perché il Cristianesimo era stato già riconosciuto da Costantino I, agli Ebrei fu consentito per breve tempo di tornare nella Santa Gerusalemme e ricostruire il tempio che però non ebbe luogo con l’affermarsi poco più tardi del Cristianesimo come religione di stato (Editto di Tessalonica 380 d.C.). In diverse ondate, dall’esilio babilonese di metà VI sec. a.C. alla distruzione del secondo tempio del 70 d.C. e alla disfatta della rivolta di Bar Kokhba nel 135 d.C., Babilonia (attuale Iraq) divenne il fulcro dell’Ebraismo per più di mille anni con circa un milione di Ebrei e oltre, fino circa al XIII secolo d.C..

Gli Ebrei si sparsero però prima in tutto il territorio dell’Impero Romano, poi in Europa, molti resi schiavi, tutti mai resi completamente liberi e mal sopportati con continue vicende di maltrattamenti e persecuzioni, dopo che i Cristiani ebbero preso il sopravvento. L’imperatore Teodosio, alla fine del IV secolo, oltre a rendere il Cristianesimo unica legge di stato, aveva addirittura emesso una serie di decreti per le persecuzioni degli Ebrei con tutta una serie di divieti che continuarono anche sotto Giustiniano nel VI secolo nell’Impero d’oriente. Mentre in Europa si registrano episodi di persecuzioni, pogrom, roghi, espulsioni di massa, con i Musulmani da metà VII secolo non fu ancora vita facile, ma possibile e in Babilonia specialmente le comunità ebraiche conobbero un periodo di floridezza e vitalità.

Come esempi di fanatismo antisemita o antiebraico, si ricordano il massacro di Granada del 1066 e la distruzione dell’intero quartiere ebraico e in nord Africa e viciniori, nel medioevo, casi di violenza in Egitto, Siria, Yemen e confinamenti isolati in Marocco; ma in genere l’ostilità dei Musulmani fu meno pesante di quella cristiana. Anzi, nella penisola iberica gli Ebrei ebbero condizioni migliori sotto i Musulmani che consentirono loro di vivere e prosperare in pace fino alla cacciata con la Reconquista nel 1492, operata dai regnanti cattolici Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia. Il primo massacro forse in assoluto di una comunità ebraica della diaspora storicamente attestato avvenne nel 38 d.C. ad Alessandria d’Egitto, seconda città come importanza nel bacino del Mediterraneo dopo Roma, per cause principalmente politiche piuttosto che religiose e non dovute ai Cristiani. Si trattò di una questione dello stato giuridico della folta comunità ebraica residente nella città, rivendicato e non accettato e che mise fine ad un periodo secolare di fioritura nato dopo l’arrivo di Alessandro Magno e l’ellenizza- zione dei territori, Egitto compreso e durato circa tre secoli e durante il quale la Bibbia ebraica fu tradotta in greco. I Cristiani cominciarono a prendersela con gli Ebrei solo dopo l’editto di Tessalonica del 380 sotto Teodosio e ricordiamo i tumulti di Alessandria che cominciarono a fine secolo ed ebbero nel 415 come illustre vittima anche la matematica astronoma Ipazia, in quanto ebrea.

Comunque, nonostante le rivolte e gli scontri del 66-73 e del 132-135, che portarono alla diaspora, i rapporti dei Romani con gli Ebrei furono migliorati per un certo periodo dall’imperatore Caracalla nel 222 con la sua “Contitutio Antoniniana” che li rese cittadini romani a tutti gli effetti come tutti i cittadini liberi dell’Impero, anche se ben presto le loro libertà e i loro diritti alla partecipazione civile e militare furono condizionati pesantemente a causa delle loro peculiarità religiose a cui non intesero mai venire meno. Anche quando convertiti a forza o per opportunità personali, non furono mai convincenti e giudicati sempre dissimulare la loro condizione, vedi ad esempio i fatti di Minorca del 418 d.C. con battesimo forzato di 450 Ebrei e la distruzione della loro sinagoga.

Per raccontare quanto la vita degli Ebrei fu sempre difficile e costellata di violenza, oltre a quanto già detto poco fa, potremmo riportare molti altri fatti che li riguardano dal medioevo in poi. Nel 523 gli scontri tra Ebrei e Cristiani nell’Arabia meridionale pose fine ad un regno ebraico che durava da centocinquanta anni. Nel 694, poco prima dell’arrivo dei musulmani (711), nella Spagna visigota, gli Ebrei furono ridotti in schiavitù; Tra l’VIII e il IX secolo risulta invece uno dei pochi avvenimenti di verso opposto, cioè la conversione di popoli all’ebraismo: erano i Casari, popolo turco seminomade dell’area tra il Caucaso, il mar Caspio e il mar Nero, da cui secondo alcuni ebbero origine in Europa gli Ebrei Askenaziti.

Altri, invece ritengono piuttosto che sia una questione mitica, leggendaria nata dalla ricerca delle “tribù perdute”.

Ma qui nascono discordanze e ricostruzioni pericolose per l’identità vera e l’origine di uno stato legittimamente ebraico in Palestina nel XX secolo frutto solo della risoluzione 181 delle Nazioni Unite del novembre 1947.

Tornando invece alle disavventure degli Ebrei della diaspora, ricordiamo le persecuzioni del 1011 in Egitto di origine religiosa dovute a diverse attitudini di dinastie musulmane e alla osservanza della sottomissione a fronte di dhimmitudine o pagamento di imposta (jizya) e altre condizioni sociali. Seguirono i massacri della valle del Reno, dove passò la prima crociata nel 1096, lanciata da papa Urbano II per liberare la Terra Santa, che si rivolse lungo il percorso, anche contro i responsabili della morte di Gesù Cristo, oltre ovviamente alle conversioni forzate e al saccheggio. Le persecuzioni estese ad altre parti dell’Europa non ebbero però l’ampiezza dei massacri e delle conversioni coatte che ebbero luogo nel 1391 nella penisola iberica cattolicissima, ma il loro trattamento fu spesso non privo di ambiguità: gli Ebrei non andavano uccisi in quanto erano testimoni della origine e verità del Cristianesimo e poi dovevano scontare la colpa del loro deicidio, né andavano convertiti a forza perché si sarebbero convertiti all’avvicinarsi della fine dei tempi, secondo una profezia del profeta Isaia. Le violenze periodiche non descrivono sempre la condizione degli Ebrei, ma illustrano bene quanto questa fosse instabile.

Le persecuzioni del 1096 ebbero l’effetto stupefacente della scelta del martirio nel nome di Dio (il loro), sotto la forma del suicidio e della uccisione dei familiari, compresi i bambini in attesa di un speranza messianica di vendetta e di redenzione, anche se il Talmud non prescriveva l’uccisione dei familiari per sottrarli alla conversione.

Le persecuzioni continuarono anche con la seconda crociata nel 1146, col massacro di York del 1190, di Rindfleish nel 1298 e quelle legate alla grande peste europea del 1348-49. Con riferimento agli eccidi del 1096 nacque la storia degli infanticidi praticati dagli ebrei, però questo resta tutta da dimostrare.

A metà del XI secolo l’arrivo degli Almohadi non tolleranti come gli Almoravidi rese i rapporti con gli Ebrei in Spagna più difficile e causò un nuovo temporaneo esilio dall’Andalusia.

 

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