Conviene sempre liberalizzare i servizi pubblici locali? - di Raffaella Nicastro
Negli ultimi venti anni si e assistito ad un processo di profonda rivisitazione e ad un riposizionamento del ruolo dello stato nella vita economica. Tale processo, iniziato dai governi di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald Regan negli Stati Uniti hanno portato alla ribalta concetti quali liberalisation, privatisation, deregulation, e competition che sono diventati le parole chiave che accompagnano la quasi totalita degli articoli, dei documenti ufficiali, delle relazioni a convegni e dibattiti.
La pressione neo-liberista, oltre che essere indirizzata verso quei settori produttivi per i quali e stato agevole dimostrare l’effetto distorsivo della presenza diretta del comparto pubblico, in un secondo tempo non ha risparmiato il campo dei servizi pubblici.
La necessita di tradurre in modelli organizzativi e gestionali effettivamente applicabili le prescrizioni della teoria economica hanno avviato una generale trasformazione dei servizi pubblici nella maggior parte dei paesi industrializzati negli anni Ottanta e Novanta.
In Italia, poi, il fenomeno si e intrecciato, con il susseguirsi di disposizioni relative alla riforma della Pubblica Amministrazione e alla modifica delle norme costituzionali, riguardanti il rapporto tra lo Stato e le Autonomie Locali, e al rispetto dei principi e delle finalita del Trattato dell’Unione Europea.
L’avvio della riforma dei servizi pubblici locali puo essere fatto coincidere, sotto l’aspetto temporale, con la legge 142/90: all’articolo 22, infatti, si individuavano, fra le forme di gestione possibili, le societa per azioni.
L’evoluzione e poi proseguita fino ad arrivare a quanto previsto nell’art. 35 della legge 448/2001, che ha stabilito l’impossibilita di ricorrere ad un modello diverso dalla s.p.a. per la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza industriale e la necessita d’assegnazione esclusivamente tramite gara.
Esaminando, inoltre, la ricaduta del modello gestionale delle societa per azioni sui criteri di gestione, si assiste ad un’evoluzione legata soprattutto alle esigenze di competitivita. Lo scopo generale della liberalizzazione e quello di promuovere la concorrenza in quei mercati istituzionalmente protetti o dati in concessione ad un unico soggetto. Il risultato atteso dalle riforme e il miglioramento dell’efficienza nella fornitura di questi servizi e la possibilita di trovare finanziamenti per lo sviluppo delle infrastrutture.
Nella realta questo processo si e svolto in modo abbastanza compiuto nelle telecomunicazioni, mentre negli altri casi assistiamo ad una generale gradualita, o lentezza, nell’avanzamento delle riforme.
Recentemente, poi, le societa ITC possedute o controllate dalle Amministrazioni Regionali sono entrate, a torto o ragione, nell’occhio del ciclone polemico. Le accuse sono pesanti si parla di monopoli de facto, di spregiudicato ricorso agli affidamenti in-house come fattore di disturbo della concorrenza, ma si parla anche d’inefficienza complessiva del sistema, di scarsa qualita.
Se consideriamo che il mercato dei servizi, nell’economia attuale, costituiscono il 70% del Pil e che in particolare il mercato dei servizi ITC e un elemento indispensabile per il rilancio competitivo del nostro sistema industriale, ben si comprende la rivisitazione del tema e l’esigenza di fare chiarezza su un tema che coinvolge interessi diversi molto ampi e che chiama direttamente in causa il processo d’innovazione e ammodernamento del nostro paese.
Il panorama non e assolutamente semplice, né cosi omogeneo come si potrebbe pensare, ma anzi piuttosto variegato con approcci a modelli differenti.
Gli interventi a tutto tondo sul fronte delle liberalizzazioni, dalle farmacie alle banche, dai taxi agli ordini professionali, di questi ultimi giorni, ci spingono a domandarci: conviene sempre liberalizzare? qual e l’assetto organizzativo migliore per tutelare l’interesse pubblico?
Credo che quando si affrontano queste tematiche non bisogna affrontarle in modo ideologico. Non si utilizza il modello societario perché l’impresa privata e meglio della pubblica amministrazione. La scelta del percorso da intraprendere va presa valutando la situazione in base a criteri oggettivi e a seguito di un’attenta analisi costi/benefici.
La costruzione di societa pubbliche o miste che offrono servizi ad una particolare amministrazione o ad un insieme d’amministrazioni di un determinato territorio, puo e deve, a mio avviso essere presa in considerazione, nessuno lo vieta, ed anzi la normativa lo consente.
Quando, pero, ci si trova di fronte ad un’estensione del fenomeno senza limiti di questo modello, non possiamo non accorgerci del fatto che si e passati dall’analisi reale ad una semplice moda ed e qui il pericolo.
La liberalizzazione dei servizi non puo essere considerata una panacea di problemi complessi, ma puo rappresentare un’alternativa credibile alla semplice gestione in economia se ne sussistono le premesse, e se il processo e gestito definendo con precisione le strategie e gli obiettivi che l’Ente Locale intende perseguire attraverso essa.
La sola valutazione dei costi non e di per se esplicativo al ricorso di una certa forma di gestione. L’Ente Locale dovrebbe a tal fine mettere a punto un modello econometrico che ricostruisce quali fattori risultano effettivamente incidere sulla scelta della forma di gestione. In particolare, fra i fattori che risultano essere significativi:
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la presenza nel territorio di un numero elevato d’imprese private che operano nel settore;
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l’esistenza di significativi risparmi attesi dal passaggio dalla forma in economia a quella in appalto;
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il contesto delle regole con il quale e regolamentato il settore che si vuole liberalizzare;
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qualita del servizio, piu elevata rispetto alla gestione in economia.
E' necessario, valutare non solo i possibili risparmi dal punto di vista dell’Ente locale, ma accertare che una parte di questi vengano traslati all’utenza sotto forma di maggiore qualita del servizio e/o minori tariffe.
Vanno, inoltre, tenute presenti altre considerazioni.
Esaminando i dati del mercato IT nazionale si evidenzia che la domanda d’innovazione vive da qualche anno una situazione di stagnazione generalizzata, all’interno del quale si segnalano anche pericolosi crolli settoriali. Questa stagnazione determina una crisi di mercato, con ripercussioni negative sull’intera economia che perde competitivita. L’Italia sembra muoversi in assoluta controtendenza rispetto alla ripresa mondiale, che pone l’innovazione tecnologica e le infrastrutture ITC al centro d’ogni strategia di crescita economica. I dati del Rapporto ASSINFORM 2006, parlano chiaro, le spese IT della Pubblica Amministrazione Locale registrano un lieve rallentamento in termini di crescita, pur segnando una performance positiva che la porta ad attestarsi su un valore pari a 768 milioni d’euro.
Questa dinamica decrescente era gia iniziata nel 2004, anno in cui l’incremento della spesa era stato pari all’1,9% ed e imputabile prevalentemente all’esaurirsi dei progetti d’e-Government. Si rileva una bassa informatizzazione del back office, ma anche l’assenza d’integrazione tra i sistemi informatici degli Enti. A questi fattori si aggiunge un forte vincolo proveniente in primo luogo dai budget limitati in secondo dal livello inadeguato della cultura informatica, e va inoltre considerata l’asimmetria informativa dei contraenti che non hanno sufficienti informazioni per giudicare se la gestione e stata insoddisfacente per un impegno non adeguato del management oppure per circostanze avverse.
Il settore della Pubblica Amministrazione Locale continua a presentare un quadro generale d’arretratezza e un forte divario tra Comuni piccoli e grandi, oltre che tra le diverse aree geografiche del paese, sia per quanto riguarda le dotazioni tecnologiche sia per la capacita di spesa.
A questo si aggiunge che nel complesso la spesa in R&S e in Italia del 1,1% piu basso rispetto la media europea (pari al 2% circa), agli Stati Uniti (2,6%), al Giappone (3,1%), altri paesi europei si attestano invece, su livelli piu elevati: la Svezia spende il 4,3% del Pil in ricerca, la Finlandia, il 3,5%, la Germania e la Danimarca, il 2,5%, la Francia 2,2%.
Ci si chiede come delle imprese piccole e piccolissime, parcellizzate sul territorio possano riuscire a far fronte al fabbisogno continuo d’investimento necessario per adeguare l’offerta sei servizi. C’e il pericolo non trascurabile di accentuare il divario gia esistente fra le varie aree geografiche e soprattutto tra PMI e grandi aziende. Perché in linea di principio bisogna partire dal presupposto di superiorita intrinseca dell’impresa privata se le societa in house investono in ricerche e sviluppo in maniera considerevole, generando ricadute complessivamente positive per l’intero ecosistema imprenditoriale locale ed opportunita occupazionali o comunque propedeutiche all’ingresso nel mercato del lavoro come stage o borse di studio?. L’impresa pubblica non dimentichiamolo, nasce proprio per migliorare l’allocazione delle risorse nei casi in cui il mercato, lasciato a se stesso, e incapace a ridurre le rendite del produttore ed aumentare quelle del consumatore.
La conclusione principale a cui si perviene non e quindi , quello di sostenere l’esistenza di un modello d’organizzazione “ottimale” dei servizi pubblici che debba essere applicato in tutti i casi. Viene al contrario sostenuto che, a seconda delle situazioni, ci sono diverse soluzioni applicabili, ciascuna con una sua propria legittimita.
Il primo teorema dell’economia del benessere sostiene che se i mercati sono organizzati in modo perfettamente concorrenziale il sistema economico ottiene in equilibrio un’allocazione delle risorse Pareto- efficienti. Se il mercato e in concorrenza perfetta il prezzo del bene, e fissato al costo marginale e il sistema soddisfa le condizioni d’efficienza allocativa. Tenuto presente cio, sia la gestione in house quanto la liberalizzazione non e in se fattore discriminante o indicativo per l’efficienza del sistema. Sono le forze di mercato che giocano il ruolo fondamentale. Il classico modo attraverso il quale il mercato puo stimolare l’efficienza, di un’impresa e la competizione. D’altra parte la situazione competitiva non e l’unica che permette un’allocazione efficiente delle risorse. Un’impresa monopolista che e vincolata a fissare il prezzo al costo marginale, rispetta le condizioni d’efficienza Paretiana.
In linea di principio, quindi, sia un monopolio pubblico che produca la massimizzazione del benessere della collettivita, sia un monopolio privato, opportunamente regolamentato possono conseguire l’efficienza di un mercato in concorrenza perfetta.
Le imprese pubbliche, invece, risentirebbero in maniera negativa dell’intromissione nelle scelte nelle scelte produttive di politici e burocrati, che orientano le scelte dell’impresa lontano dalla realizzazione dell’efficienza interna per ottenere rendite e vantaggi personali.
Naturalmente se cio e vero nella gran parte dei casi non e detto che debba esserlo sempre. Si potrebbe, anche, ipotizzare che una classe politica resposabile utilizzi le rendite provenienti da una situazione di monopolio per avvantaggiare la comunita amministrata e quindi a fronte di tariffe piu alte tornerebbe utile e converrebbe la gestione in house.
Va anche ricordato che gli affidamenti sono effettuati con gare d’appalto, ma rilevanti appaiono le difficolta degli enti locali meridionali nel concludere a buon fine le procedure d’affidamento. Delle numerose gare realizzate quante si sono positivamente concluse soprattutto nel meridione? Nella stragrande maggioranza dei casi molte sono andate deserte, prorogate o sospese. Altre sono state impugnate.
Il proliferare di bandi in un arco di temporale limitato non e uno svantaggio superiore ad una tariffa un po’ piu alta rispetto alla continuita e sicurezza di erogazione del servizio?